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mercoledì, ottobre 29, 2008

 

Atti convegno Arpiola di Mulazzo

PRIMO CONVEGNO LAICO
Arpiola di Mulazzo 18 e 19 ottobre 2008

ALLE ORIGINI DEL SACRO
di Angelo Napolitano avv.anapolitano@alice.it

INTRODUZIONE

Le problematiche che riguardano la religione e, più in generale, il rapporto col sacro, sono state al centro di mie abbondanti letture. Per alcuni decenni ho letto e studiato autori impegnati prevalentemente ad affermare o negare l'esistenza di dio; la storicità o meno della figura di Gesù Cristo; la veridicità o la natura leggendaria della Bibbia; la logicità o la contraddittorietà dei vangeli; la storia dei concili; la storia dei papi e il loro rapporto col potere, con particolare riferimento alle vicende italiane.

Mi sono interessato delle altre religioni monoteiste, l'ebraismo e l'islamismo, anch'esse fondate sulla medesima Bibbia accolta dal cristianesimo; delle religioni orientali e di quelle meno diffuse, comprese le forme di religione del passato ormai pressoché estintesi: quella greco-romana; quella dell'Egitto; lo zoroastrismo; le religioni dei popoli mesopotamici; le religioni totemiche e animistiche delle civiltà sviluppatesi prima che si possa parlare di storia, la cui conoscenza è affidata non a testi scritti bensì a reperti archeologici.

E' stato ben presto inevitabile prendere atto che il fenomeno religioso è decisamente antico, verrebbe da dire che è nato con l'uomo, così come sostengono coloro che affermano che nel cuore dell'uomo è stata posta una scintilla divina.

E' stato altrettanto inevitabile prendere atto che quasi tutte le religioni propagandano e promettono, di volta in volta, pace, prosperità, abbondanza, salvezza, vita eterna; ma ho constatato anche che la storia dell'umanità è costellata da sanguinose guerre di religione, quanto meno da pregiudizi e fanatismo, perché ogni fedele è convinto che la sua religione sia l'unica vera, e pare che ciascuno degli dei messi a capo delle varie religioni reclami, pretenda, imponga il proselitismo presso gli infedeli e l'annientamento di quanti non si sottomettono alla sua signoria assoluta.

A tal punto si impone una riflessione: se è vero che le origini della religione si perdono nella notte dei tempi; se è vero che essa è un bisogno dell'uomo e, come tutti i bisogni, dovrebbe essere risolto o, tutt'al più, lasciato in santa pace, è altrettanto vero che questo bisogno è stato puntualmente e costantemente amplificato e strumentalizzato a fini politici. E' anche vero, però, che la politica è stata spesso strumentalizzata ai fini della propaganda religiosa.

A tal proposito osservava Donini (Storia del cristianesimo, cit., pag. 14):
"Non fu l'impero romano a convertirsi al cristianesimo all'inizio del IV secolo; ma, all'inverso, il cristianesimo fece proprie le strutture statali, destinate a perpetuare le antiche forme di dominio di classe, attraverso un controllo non meno duro e sanguinoso sugli strati subalterni."

Se ne potrebbe concludere che la religione appare non essere una cosa seria, perché sembra che non sia sentita e praticata seriamente proprio da coloro che se ne definiscono i difensori e/o gli unici interpreti.
Per esempio, se i pontefici hanno sempre dichiarato di promuovere e diffondere il vangelo dell'amore e della pace, non si comprende perché, per secoli, si siano macchiati di orrendi delitti ai danni di singoli (i dissidenti e gli oppositori), di intere comunità (i cc.dd. eretici), di interi popoli (le crociate contro l'Islam, l'antisemitismo).

Qualche anno fa mi è tornata alla memoria una frase di Engels riferita al cristianesimo (riportata da Ambrogio Donini nel suo Storia del cristianesimo, Teti, 1975, pag. 8):

"Una religione che ha sottomesso a sè l'impero mondiale romano, e che ha dominato per 1800 anni ancora la massima parte dell'umanità civile, non la si liquida spiegandola puramente e semplicemente come un insieme di assurdità originate da impostori. Si liquida, semmai, solo quando se ne sappia spiegare l'origine e lo sviluppo, dalle condizioni storiche nelle quali è sorta fino al raggiungimento del dominio su una vasta parte del mondo.
Si tratta precisamente di risolvere la questione di come accadde che le masse popolari dell'impero romano preferirono questa assurdità a tutte le altre religioni, tanto che alla fine l'ambizioso Costantino poté vedere nell'adozione di questa assurda religione il mezzo per affermarsi come unico dominatore del mondo romano".

Si è così imposta una modifica dell'oggetto delle mie letture: non più cercare di capire se è vera o non è vera l'ipotesi dell'esistenza di un entità trascendentale, con tutto ciò che ne consegue, per i cristiani, in termini di altre credenze (incarnazione, nascita verginale, miracoli, resurrezione), ma piuttosto andare a ritroso nel tempo per cercare di capire l'origine e lo sviluppo dell'idea stessa di religione.

Così, da riminiscenze scolastiche, è riaffiorato un pensiero attribuito a Tito Lucrezio Caro, poeta latino del I sec. e.a.:
"Primus in orbe deos fecit timor, ardua coelo fulmina cum càderent"
[La paura, per prima al mondo, ha creato gli dei, allorquando terribili fulmini si abbattevano dal cielo.].

E' riaffiorato anche il ricordo di un pensiero di Aristotele (Politica I; IV secolo e.a.):
"Quanto agli dei, se tutti gli uomini affermano che gli dei stessi sono sottoposti a dei re è perché anch'essi ora o in passato furono governati da re, e come raffigurano gli dei a propria immagine e somiglianza così attribuiscono ad essi una vita simile alla loro propria.

E poi mi è tornato alla mente un certo Senofane di Colofone, del VI secolo e.a., il quale affermava:
Fr. 15: Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero le mani e con esse potessero disegnare e fare ciò che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi, e farebbero simulacri foggiati così come ciascuno di loro è foggiato.
Fr. 16: Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri; i Traci dicono che hanno gli occhi cerulei e i capelli rossi.

E' evidente, quindi, che la ricerca dell'origine della religione, meglio, dell'origine dell'idea del sacro, deve spingersi nella preistoria, tra gli ominidi e tra le specie umane che hanno segnato le tappe dell'evoluzione dell'Uomo.

Giova una precisazione su una questione di metodo: per procedere ad indagini in un'epoca per la quale non esistono testi storici, ci si affida a reperti frammentari, alle scienze ed alla logica. In particolare, va osservato che qualsiasi oggetto, così come qualsiasi elaborato culturale di una qualche complessità, presuppongono un oggetto o un elaborato culturale meno complesso; per gli oggetti si arriva alla scoperta della materia prima e alla presenza di un artigiano che l'abbia trasformata in manufatto; per gli elaborati culturali, a ritroso, si risale a sistemi sempre più semplici, fino a risalire al momento del salto da zero a uno, e questo vale per tutte le manifestazioni dell'intelletto, ivi compresi i sistemi religiosi.



UNO SGUARDO NELLA PREISTORIA

L'espressione Uomo Primitivo chiamato in causa nel corso di queste riflessioni, è difficilmente collocabile dal punto di vista storico e temporale. Certamente ci si riferisce all'Uomo del Paleolitico, periodo che è compreso tra 3 milioni e 10.000 anni fa.

A meno che non si voglia credere ai fatti leggendari che ogni religione propone in merito all'origine dell'uomo (per il cristianesimo valgono le leggende e i miti biblici, per secoli imposti come verità di fede, indiscutibili a pena di rogo), bisogna aderire alla teoria evoluzionista di Darwin, secondo cui gli uomini e le specie animali si sono trasformati ed evoluti nel corso di milioni di anni fino a raggiungere la forma attuale. Nell'ambito di questa evoluzione, l'uomo e la scimmia hanno un'origine comune.

E' nostra esperienza quotidiana che quasi tutte le specie animali sanno cos'è la paura. E' lo stesso istinto di sopravvivenza che si allerta davanti al pericolo, e il più delle volte il pericolo proviene dall'incognito. Ciò che non conosciamo, ciò che non riusciamo a spiegarci con le nostre facoltà mentali, ci fa paura.

Ovviamente i fenomeni di cui non abbiano consapevolezza, nemmeno a livello istintivo, non spaventano noi e non spaventano alcun animale, così come non spaventano i bambini. Una delle preoccupazioni comuni a tutti genitori è che il proprio figlioletto che cominci ad esplorare la sua cameretta, com'è normale che sia, finisca per infilare le dita in una presa della corrente. Le precauzioni adottate e poi l'informazione trasmessa dai genitori evita che il bambino resti fulminato.

Ma nei tempi di cui ci vogliamo occupare, non c'erano soggetti più consapevoli che potessero predisporre precauzioni o dare informazione ai soggetti meno consapevoli. L'uomo è stato costretto a capire tutto ciò che lo circondava sulla propria pelle.

LA MORTE
C'è stato un lungo periodo di tempo nel quale l'uomo non aveva consapevolezza né della propria vita e né della propria morte, proprio come ancora oggi non ce l'ha un infante e non ce l'hanno gli animali.

A molti di noi sarà capitato di vedere un insetto morto e di constatare che i suoi simili restano del tutto indifferenti di fronte al corpo inanimato del proprio simile. Vero è che vi sono specie animali per le quali le madri si attardano accanto ai loro piccoli morti, e ci sembra finanche che manifestino dolore. Ma dura ben poco, e nessuna di esse indaga sul significato di quella morte; men che meno ci sono animali che organizzino funerali e sepolture per i propri defunti.
Analogamente è stato un tempo per i nostri progenitori.

Nel lungo processo evolutivo, l'uomo ha cominciato a prendere coscienza della sua esistenza sulla terra e del fatto che l'esistenza avesse un termine, naturale o in forma traumatica. E se la morte da trauma, intervenuta magari nel corso di fenomeni atmosferici o durante uno scontro tra clan, o durante la caccia, poteva essere assimilata alla morte degli stessi animali cacciati o uccisi per difesa, la morte naturale doveva suscitare qualche perplessità.

L'uomo ha cominciato a sentire sempre più forte il dolore per il compagno o la compagna che non si svegliava più; per il capo clan forte e coraggioso non più operativo; per il piccolo che non sarebbe più diventato adulto.
La morte, in quanto fenomeno naturale sconosciuto, incomprensibile, cominciò a fargli paura. Una paura che ancora ci portiamo addosso.

L'uomo che abitava le caverne avrà vegliato nei pressi di un corpo inanimato per qualche giorno, in attesa del risveglio. Poi per quel corpo è cominciato il processo di decomposizione, e il forte odore non solo non sarà stato gradevole, ma avrà costituito un richiamo per animali predatori.

Ben presto quel corpo è stato seppellito, ma solo per motivi igienici e di sicurezza. Tutto ciò ci viene rivelato dai primi reperti archeologici relativi a sepolture, risalenti a circa 130.000 anni fa. Il corpo è stato sistemato in posizione rannicchiata, forse perché era la posizione assunta nel sonno, forse per problemi di minore ingombro e di minore lavoro, e intorno ad esso non sono stati deposti né oggetti, né altro.

E' stata, invece, colorata di rosso la parte corrispondente alla testa, a riprova dell'identificazione del principio vitale con il sangue. In altre sepolture anche le spoglie del defunto e tutto il terreno di sepoltura risultano essere stati colorati con ocra rossa.
Ancora oggi, d'altra parte, presso alcune popolazioni i morti rinchiusi nella bara vengono avvolti in un drappo rosso; il medesimo rituale si osserva in occasione della morte del papa.

Verosimilmente, era convinzione di quelle tribù che il defunto potesse risvegliarsi, e in tal caso, si cercava di favorire il rifiorire del principio vitale.

IL SOGNO
Nel corso del processo evolutivo l'uomo ha altresì preso coscienza della sua attività onirica, e nel momento in cui il defunto è apparso in sogno ad uno o più degli appartenenti allo stesso clan, ci si è interrogati sul significato delle visioni notturne, proprio come ancora accade nel XXI secolo.
Rivedere il defunto nella sua gestualità quotidiana, sentirne ancora la voce, raccoglierne richieste, comandi; rivederlo usare le armi per la caccia o per la guerra, certamente ha indotto i nostri progenitori a ipotizzare una dimensione altra nella quale il defunto continuava a vivere.
Si calcola che questa nuova fase abbia avuto inizio nel periodo compreso tra 100.000 e 40.000 anni fa, nell'ultimo periodo del paleolitico, quando la convivenza umana stava raggiungendo un livello di sviluppo relativamente alto; quando comparve il c.d. Homo sapiens sapiens.

Avuta la prova della prosecuzione della vita oltre la morte, il culto dei defunti avrà subito una notevole evoluzione, ma per molto tempo ancora l'uso di seppellire i morti risponderà ad una sola preoccupazione: assicurare al defunto la continuazione di una vita materiale senza alcuna implicazione sacrale o religiosa.

Il cadavere veniva messo a giacere disteso tra due lastre di pietra o rannicchiato, con le gambe piegate nella posizione del sonno, rivestito dei suoi indumenti abituali. A portata di mano venivano collocate le sue armi e gli oggetti di uso quotidiano; cibo e persino i corpi di animali uccisi, affinchè di essi il defunto potesse continuare a cibarsi. Si pensava, in sostanza, che il defunto continuasse a vivere da qualche altra parte, così come attestavano le visioni notturne.



DAL TOTEMISMO ALL'IDOLO

Parallelamente al culto dei morti, sempre secondo le indagini scientifiche, si andava sviluppando il totemismo, che è forse la più antica forma di religione che la storia dell'uomo offra al nostro esame.

Per i nostri progenitori il totem rappresentava il vincolo di parentela che intercorreva tra i membri del clan e il loro capostipite, presunto o reale; in esso si concretizzava l'identità di un clan.

Il Totem poteva essere un elemento della natura, sia in senso propiziatorio (terra, sole, mare), per manifestare una sorta di devozione nei confronti degli elementi naturali positivi e vitali; sia in senso apotropaico (fulmine, tenebre, la stessa morte) per scongiurare la presenza degli elementi negativi e mortiferi.

Il Totem poteva essere un animale, e anche in tal caso sia in senso celebrativo e propiziatorio (bisonte, vitello, capra) verso quegli animali che assicuravano la sopravvivenza del clan; sia in senso apotropaico, per scongiurare la presenza di animali pericolosi e temuti (serpente, leone, tigre).

Nel corso dei millenni, l'acquisita consapevolezza della prosecuzione della vita oltre la morte ha determinato l'elevazione a totem del capo defunto, sicchè, per la prima volta, un altro essere umano veniva idealizzato, mitizzato, reso idolo.

In quel preciso momento nasceva l'Homo religiosus; in quel preciso momento l'uomo ha compiuto il salto da zero a uno, sicchè poi è stato assai semplice -si fa per dire- procedere da uno a infinito lungo l'immaginazione, l'invenzione di tutti gli altri elementi che caratterizzano la seconda vita; la vita parallela, fino a proiettarla, nell'immaginario, come vita eterna, dannata o beata a seconda dell'osservanza di regole poste da altri uomini; fino a popolarla di dei maggiori e minori, ognuno dei quali preposti ad una specifica funzione, organizzati in una specie di regno celeste fatto ad immagine e somiglianza dei regni terreni. Esattamente come ipotizzava Aristotele.

Il capo veniva ora venerato come guida, protettore, elargitore di virtù e dispensatore di punizioni qualora se ne fosse oltraggiata la memoria o, più semplicemente, qualora se ne fossero disattese le direttive manifestate in vita, o quelle comunque a lui attribuite dopo la sua morte. Lo si era cioè trasformato in idolo.

A lui andavano rivolti sacrifici, preghiere e riti magici, affinchè continuasse a prestare la sua protezione e a mantenere la sua potenza a disposizione del clan. Egli diventava ora il padrone, il creatore e doveva essere onorato come essere superiore, appartenente a quella dimensione separata, misteriosa, incomprensibile, temibile e terrificante che segnava il confine tra la vita e la morte.

Questa medesima concezione totemica rimane ancora nelle figure dell'angelo custode (totem personale) o del santo patrono (totem collettivo).
Dall'esperienza della spiritualizzazione, o meglio, della sacralizzazione, dei defunti nascerà a Roma il culto degli antenati, vera e propria venerazione delle divinità domestiche, i Lari e i Mani, o anime dei defunti, commemorati tra 13 e il 21 febbraio, nei cc.dd. dies parentales.

Il passaggio dalla sacralizzazione dei defunti alla sacralizzazione dei viventi si imporrà nel momento in cui si formeranno classi contrastanti, sicché il gruppo dominante, a sua volta dominato da un capo, innalzerà il capo stesso al rango di idolo, assurto ora al paradigma del sacro, per meglio poter dominare sui viventi,.

Significativo può essere il Preambolo del Codice di Hammurabi (Impero babilonese, XVIII sec. e.a.) recita:

«Quando Anu il Sublime, Re dell’Anunaki, e Bel, il signore di Cielo e terra, che stabilirono la sorte del paese, assegnarono a Marduk, il pantocratore figlio di Ea, Dio della giustizia, il dominio su ogni uomo sulla faccia della terra, e lo resero grande fra gli Igigi, essi chiamarono Babilonia dal suo illustre nome, lo resero grande sulla terra, e vi fondarono un sempiterno regno, le cui fondamenta sono poste tanto saldamente quanto quelle di cielo e terra; poi Anu e Bel chiamarono per nome me, Hammurabi, il principe esaltato, che temeva Dio, ad imporre la giustizia sul paese, a distruggere gli empi ed i malfattori; così avrei regnato sulla gente dalla-testa-nera come gli Shamash, ed illuminato il paese, per accrescere il benessere dell’umanità.»

Secondo Donini (Breve storia delle religioni, cit., pag. 118) La concezione antropomorfica della divinità ha incominciato a prevalere dal momento in cui la struttura di classe ha collocato alcuni individui in posizione di privilegio nei confronti della grande maggioranza degli uomini. Il dio-padrone ha allora assunto in sè tutti gli elementi delle precedenti esperienze religiose.



LA SACRALITA'

E tra gli elementi della nuova religione, certamente v'era il preesistente carattere della sacralità. Gli studiosi sono tutti concordi che prima dell'idea di dio e dell'idea di religione, che costituisce l'insieme di credenze, di miti e di riti che lega l'uomo alla divinità, è insorta l'idea del Sacro. Infatti, intanto c'è una religione, in quanto l'uomo intende mettersi in relazione con l'oggetto delle sue credenze.

L'opposizione tra sacro e profano è stata identificata dagli antropologi come una di quelle coppie di concetti che nascono dal bisogno di definire un modello di ordinamento del mondo basato sul contrasto tra un polo positivo e uno negativo: maschio-femmina; puro-impuro; bene-male; carne-spirito.

Tutto quanto si è detto in riferimento allo sviluppo del culto dei morti ed alla sovrapposizione della religione antropomorfica a quella totemica, avviene sotto il paradigma del concetto di sacro.

Sacro, dal latino sacer, vuol dire separato, non degli uomini; ad esso si oppone il Profano, dal latino profanus; da pro davanti, e fanum, tempio (da cui fanatico). Quindi, ciò che è fuori dal tempio, ciò che non è sacro ed è quindi degli uomini.

Nei templi greci la statua del dio era situata nel naos, cioè in una cella alla quale poteva accedere solo il sacerdote; gli altri sostavano nel pronaos, cioè davanti al naos; ancora oggi nelle chiese cristiano-ortodosse la zona dell'altare (presbiterio) è divisa dal resto della chiesa da una struttura (iconòstasi) che separa il dio dai fedeli.
Tutto ciò sottolinea ed accentua il senso del mistero strettamente connesso all'idea del sacro.

Ma sacer ha anche un significato negativo.
Nel diritto romano arcaico (Leggi delel XII Tafole; V sec. e.a.) c'era una terribile condanna per chi si macchiava di delitti gravi; di quel soggetto si diceva: sacer esto, cioè sia sacro, nel senso di sia separato, cioè espulso dalla comunità, dal clan; una sorta di scomunica.

E Virgilio, nell'episodio di Polidoro (Eneide, Libro III. Il re Priamo, temendo per le sorti di Troia, aveva affidato il tesoro della città al figlio Polidoro, mandandolo presso Polimestore, l'amico re della Tracia. Dopo la caduta di Troia Polimestore uccide l'ospite per impossessarsi dell'oro), usa l'espressione sacra fames auri, quid non cogis pectora mortalium "maledetta fame dell'oro, a cosa non spingi il cuore degli uomini".
Tutto ciò sottolinea ed accentua il senso del terrificante e del punitivo, anch'esso strettamente connesso all'idea del sacro.

La morte ha sempre rappresentato l'aspetto più misterioso e più terrificante nella vita dell'uomo. Allorquando i nostri progenitori hanno preso coscienza che i defunti continuavano a vivere, nelle sepolture è comparsa una grossa lastra posta sul petto della salma, per evitare che il defunto potesse tornare alla dimensione terrena contaminandola.
Il tabù nei confronti dei cadaveri è tuttora fortissimo. Profanare un morto costituisce un sacrilegio; ma anche il semplice toccarlo comporta una contaminazione.

E' viva nella mia memoria la preoccupazione dei miei genitori e dei loro coetanei i quali, tornando da un funerale, correvano a lavarsi le mani, residuo dei più complessi riti di purificazione imposti a chi avesse avuto un contatto con un cadavere; ed era assolutamente interdetto entrare in casa di altri, se prima non si era passati dalla propria casa, per non trasferire ad altri il segno della contaminazione.

La dimensione altra nella quale i defunti erano stati collocati per effetto dell'esperienza del sogno rappresentava già di per sè una dimensione separata, cioè sacra.
E' evidente, pertanto, che il processo di creazione degli idoli, delle divinità, è avvenuto costantemente sotto l'insegna della separazione, della sacralità, del tabù.
Da una parte la sacralità attribuita ai defunti, al capo tribù, al re, al dio invisibile; dall'altra il mondo dei profani, dei sudditi-fedeli e dei fedeli-sudditi.

Al di là delle diverse forme nelle quali si è storicamente espresso il rapporto tra il sacro e il profano, tra la casta sacerdotale e la massa dei profani, cioè al di la della religione che caratterizza un popolo, è costantemente insita nella religione stessa l'idea del dominante e del dominato; di chi si proclama signore o rappresentante del signore in terra e di chi si presta ad adorare il signore e ad ubbidire al suo rappresentante in terra, unico interprete della volontà del signore stesso, plasmabile a piacimento da parte del medesimo rappresentante.

Purtroppo, abbastanza presto l'uomo ha verificato quanto sia pericoloso e tragico non risolvere in termini positivi i bisogni dai quali è afflitto, prima tra tutti l'istintivo bisogno di certezze, indotto dalla consapevolezza della incomprensibilità dei fenomeni della natura, della vita e della morte; e, quindi, il naturale bisogno di consolazione, insorto dalla presa di coscienza dell'assoluta finitezza della mente umana.

La credenza in un unico dio o in una pluralità di dei appare essere, quindi, la risposta -o la non-risposta- che gli uomini hanno dato -e danno- a ciò che è Misterioso e Terrificante.

Attribuire alla divinità i caratteri della misericordia, della bontà infinita, della giustizia, è solo l'ennesima mistificazione per codificare, amplificare e non risolvere i bisogni di cui ora si è detto prima, propri di ogni essere umano; costituisce un ulteriore strumento per chi, privo di ogni scrupolo, intende ancora approfittare delle debolezze umane per attuare quel crimine che nessun'altra specie animale ha mai potuto attuare: lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo mediante il dominio delle coscienze, la paura e l'ignoranza e la violenza.



CONCLUSIONE.

L'avere proposto una ipotesi, suffragata da studi scientifici, circa le origini del sacro e della religione, non preclude certo la ricerca verso altre ipotesi.

Ciò che importa, a mio parere, è aderire all'impostazione suggerita da Engels, nel senso che la religione va studiata, nella sua genesi, come fenomeno antropologico e sociale, quindi come strumentalizzazione dei bisogni ancestrali dell'uomo. Certamente non come un male da estirpare con la violenza, con la contrapposizione o con la repressione.

La storia degli ultimi tre secoli mostra che c'è un solo modo per liberarsi, e per liberare i propri simili, dalla sudditanza verso forme di potere che falsamente si presentano come strumento di salvezza, di riscatto morale, spirituale e sociale: la comprensione culturale del fenomeno, degli scopi concreti perseguiti e degli effetti prodotti sull'umanità

Laddove c'è ignoranza, oscurantismo, mancanza -rifiuto- di dialogo, repressione della libertà di pensiero, rifiuto del diverso da sè, non può esserci alcuna salvezza e alcun riscatto.
Bisogna ricercare, studiare, approfondire e poi confrontarsi e condividere i risultati delle proprie ricerche.

Penso che il Primo Convegno Laico ha avviato esattamente questo programma. C'è da sperare, e dipende da noi tutti, che a questa prima esperienza ne seguano periodicamente altre, al fine di elevare l'unica barriera contro l'oscurantismo e il fondamentalismo: la cultura della libertà per sè e per gli altri.

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