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lunedì, gennaio 08, 2007

 

MENORA’ EBRAICA a fianco del CROCIFISSO

Caro Amico e cara Amica siete invitati a partecipare…

martedì 30 gennaio 2007 alle ore 9:00
al Tribunale dell’Aquila


si terrà dinanzi al GUP l’udienza preliminare
a carico del magistrato Luigi Tosti
IMPUTATO
di omissioni di atti di ufficio
per essersi rifiutato di tenere le udienze
a causa di mancata autorizzazione
ad esporre la MENORA’ EBRAICA a fianco del CROCIFISSO

amici, associazioni, intellettuali, parlamentari
e giornalisti (senza bavaglio)
sarete testimoni dello storico momento!
Striscioni, bandiere, stendardi, cartelli e volantini saranno i benvenuti.
È gradita una mail ad:
axteismo@yahoo.it per segnalare la propria presenza.
Aiutaci inoltrando questo messsaggio ai tuoi amici.

“Onesto è colui che cerca di adeguare
il proprio pensiero alla verità delle cose.
Disonesto è colui che cerca di adeguare la verità delle cose
al proprio pensiero”. Antico detto arabo

Ecco uno stralcio dalla memoria difensiva scritta dal giudice Luigi Tosti e inoltrata al GUP:

Dio è nudo

Ribadisco che non accetterei l'imposizione della croce uncinata nazista da parte dello Stato -e questo perché ripudio ed aborro i crimini compiuti dai cristiani nazisti- e che quindi -e a maggior ragione- non accetto l'imposizione del crocifisso.
E questo non solo perché si tratta di un simbolo che evoca in modo macabro e orrifico un messaggio immorale, diseducativo e psicologicamente deleterio, cioè un assassinio perpetrato da un Padre per assurde e inconcepibili finalità di "redenzione" di terzi "colpevoli", cioè dell'Umanità "peccatrice", ma anche per le intollerabili e ingiustificabili implicazioni di genocidi, di assassini, di torture, di criminale inquisizione, di criminali crociate, di razzismo, di roghi contro eretici e streghe, di schiavismo, di superstizione, di persecuzione razziale, di shoà, di rapimenti di bambini ebrei, di disprezzo delle donne e degli omosessuali, di intolleranza, di oscurantismo, di violazione e prevaricazione dei diritti umani alla libertà di opinione, pensiero e religione, di omertosa copertura dei preti pedofili, di truffe, di abuso della credulità popolare, di mercimonio di indulgenze, di bolle di componenda, di illeciti finanziari e via dicendo, crimini di cui la storia millenaria del crocifisso è irrimediabilmente intrisa.
Mi piace ricordare che la prima "gloriosa" comparsa del crocifisso negli "uffici giudiziari" risale ai Tribunali della "Santa" Inquisizione, quando si torturavano, si sbudellavano e si squartavano eretici, streghe, atei, omosessuali ed altri poveri disgraziati sotto la sua lugubre incombenza.
Essendo poi dotato di fondamenti etici e civili informati alla condivisione e all'osservanza dei fondamentali precetti del codice penale, della Costituzione italiana, delle Convenzioni internazionali sui diritti dell'Uomo e delle Convenzioni internazionali contro ogni forma di discriminazione, non intendo minimamente identificarmi in un Dio biblico assassino, terrorista, genocida, intollerante, stupratore, infanticida, schiavista, dispregiatore delle donne e degli omosessuali, razzista e a tal punto borioso e criminale da pretendere di essere venerato dagli uomini con sacrifici umani ed animali. La mia "debole" morale mi impedisce tutto ciò, anche se, ovviamente, non ho il minimo "astio" o disprezzo nei confronti di Dio, la cui unica colpa è quella di essere stato creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza e, quindi, con le loro debolezze e con le loro inclinazioni criminali. Ritengo proprio che non ci sia alcun bisogno di andare ad Auschwitz per chiedere teatralmente a Dio "dove stesse" quando gli ebrei e i rom venivano sterminati nelle camere a gas e inceneriti nei forni crematori: chi non è ipocrita e non si è bevuto il cervello sa perfettamente che Dio stava dentro le menti criminali dei nazisti cristiani (e non islamici) che perpetrarono la shoà con la connivenza dell'assordante silenzio della Chiesa Cattolica e di Pio XII.
Se qualcuno si vuole ancora identificare in quel simbolo e intende ancora glorificarsi nell' "Amore" del supposto unico Dio, lo faccia pure: ma lo faccia a causa sua, sulla sua persona, nei suoi templi, nei Tribunali dell'Inquisizione e in quelli della Sacra Rota, ma non lo imponga a me che, proprio "grazie ai Dio", mi identifico in valori morali e civili diametralmente opposti. Su questi punti intendo tornare in prossimo futuro con argomentazioni più diffuse, non intendendo minimamente tollerare che la verità della storia e la verità delle cosiddette "Sacre Scritture", cioè delle scritture che la Chiesa asserisce dettate da Dio in persona, possano essere mistificate -anche in provvedimenti giurisdizionali- sino al punto di attribuire a questo simbolo e a questo Dio valenze di tolleranza, di amore, di eguaglianza, di rispetto reciproco e di rispetto dei diritti umani che gli sono del tutto aliene: oltre al Re, anche Dio è nudo
”.
Luigi Tosti

Questo è lo stralcio significativo del testo della memoria difensiva che il giudice Luigi Tosti ha inoltrato al GUP (giudice dell'udienza preliminare) dell'Aquila per l'udienza di martedì 30 gennaio 2007, con la quale il giudice Tosti preannuncia che si rifiuterà di presenziare se il Ministro di Giustizia non avrà per quella data disposto la rimozione dei Crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane. Dal momento che Mastella ha promosso ulteriore procedimento disciplinare per avergli preannunciato questo rifiuto, il giudice Tosti ha inoltrato questa memoria anche al ministro ed al Sostituto procuratore generale della Cassazione che istruisce questo procedimento, accompagnando la memoria con lettera qui allegata.

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Lettera inviata a Clemente Mastella e Vittorio Martusciello

Rimini, li 5 gennaio 2007

Al Ministro di Giustizia
On.le MASTELLA Clemente
Via Arenula 70
00186 Roma

Al Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Dott. MARTUSCIELLO Vittorio
Piazza Cavour
00193 Roma

Oggetto: procedimento disciplinare n. 14.753/37/06 SD4A
contro Tosti Luigi fu giudice presso il Tribunale di Camerino, in atto sospeso.

Allego alla presente, quale scritto defensionale relativo all'oggetto, la memoria che ho inoltrato al GUP del Tribunale aquilano, caldeggiando il promovimento di altro procedimento disciplinare per aver io osato ribadire e reiterare per ben due volte nell'ambito del mio diritto di difesa che "nella mia veste di imputato mi rifiuto di farmi processare da giudici partigiani che si identificano platealmente nei crocifissi cattolici appesi sopra la loro testa, e non nei simboli neutrali dell'unità nazionale che, guarda caso, sono accuratamente estromessi dalle aule giudiziarie italiane: tanto più in processi nei quali questi giudici di parte cattolica -che cioè accettano di far parte di un'Amministrazione connotata di cristianità- sono chiamati ad esprimere un giudizio di colpevolezza o di innocenza in relazione ad un mio comportamento che è diametralmente opposto, cioè di rifiuto radicale di giudicare in nome di quel "loro" idolo".

Mi auspico anche che da questa mia memoria si tragga, attraverso la sapiente e pluricollaudata opera di estrapolazione di frasi e censura del pensiero, lo spunto per il promovimento di ennesimi procedimenti disciplinari e, perché no, penali (suggerisco: vilipendio della religione cattolica) e che gli stessi poi, dopo la "riservata" propalazione da parte dei mass media, "riservatamente" imbeccati dall'On.le Francesco Storace, "riservatamente" informato dall'On.le Ministro Clemente Mastella, mi siano comunicati "in via strettamente riservata" dal Presidente della Corte di Appello dorica, dopo mia "riservata" convocazione in quel di Ancona.
Capisco che le verità scomode siano sempre risultate di scarso gradimento per la Chiesa Cattolica, che le ha "giustamente" soffocate con i criminali roghi inflitti dai criminali tribunali dell'Inquisizione: presumo, però, che sarà molto difficile che io accetti di subire, attraverso persecutori procedimenti disciplinari compulsati dal Ministro della Giustizia cattolico, l'imposizione della "mordacchia" con la quale Giordano Bruno è stato da Voi cristiani arso sul rogo. Ribadisco che se qualcuno pensa di piegarmi e stroncarmi con persecuzioni attuate col classico coraggio del branco, questo qualcuno ha fatto male i calcoli.
A questa mia lettera seguiranno denunce penali ed ulteriori memorie, di cui "riservatamente" curerò la massima pubblica diffusione, ovviamente compatibile col regime di (dis)informazione pubblica, affinché la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo abbia il concreto riscontro del razzismo religioso e della violazione dei più elementari diritti umani che lo Stato Italiano, seguendo le direttive del Vaticano e della Chiesa, pratica abitualmente.
Sperando di essere stato sufficientemente chiaro, invio i miei più cordialissimi saluti ed auguri, reiterando al dott. Martusciello la richiesta di mio immediato rinvio al giudizio della Sezione disciplinare del CSM.

Luigi Tosti
Via Bastioni Orientali, 38
47900 Rimini
tel. 0541789323
mobile 3384130312
tosti.luigi@alice.it

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Conflitto di attribuzione

R.G. GIP Trib. Aquila nn. 1970,
1971, 1972, 1973, 1974, 1975,
1976 del 2006

TRIBUNALE PENALE DELL'AQUILA
Al Giudice dell'udienza preliminare

Memoria per l'imputato Tosti Luigi ex art. 121 c.p.p. per l'udienza camerale del 30 gennaio 2007


***********

Le sei imputazioni che il P.M. -anche in seguito a mie autodenunce- mi ha mosso, costituiscono la continuazione di comportamenti per i quali sono già stato processato e condannato dal Tribunale dell'Aquila con sentenza del 18.11.2005, avverso la quale ho interposto appello: ritengo pertanto che sia sufficiente richiamare le motivazioni esposte nell'atto di appello, che allego alla presente memoria ed al cui contenuto difensivo faccio esplicito riferimento (doc. 1).
In ogni caso i fatti, ridotti alla loro sintesi più essenziale, sono questi.

FATTO

Nell'ottobre del 2003 un paio di avvocati si lamentano con me dell'improvvisa comparsa, nell'aula dove stavo tenendo le udienze civili, di un vistoso crocifisso che, a loro giudizio, è stato apposto per reazione contro il provvedimento col quale il giudice dell'Aquila dott. Mario Montanaro, alcuni giorni prima, aveva ordinato la rimozione dei crocifissi dalle scuole di Ofena. Tenuto conto delle deliranti reazioni che l'ordinanza del dott. Montanaro aveva effettivamente innescato, anche ad alti livelli istituzionali, condivido appieno queste lamentele e, pertanto, stacco dalla parete il crocifisso e lo adagio sul carrello dei fascicoli.
Apriti cielo: il Ministro di Giustizia, appresa la notizia, dispone un'ispezione per valutare se sussistono gli estremi per trasferirmi d'ufficio da Camerino e per promuovere un'azione disciplinare. Sono costretto a recarmi a Roma, dove vengo messo sotto torchio da un ispettore ministeriale che mi inquisisce per conoscere i minimi particolari relativi al distacco "sacrilego" del crocifisso dalla parete. Mi si chiede persino di dichiarare quale sia il mio credo religioso.
A questa ispezione intimidatoria rispondo con una lettera con la quale chiedo al Ministro di rimuovere tutti i crocifissi dai tribunali, perché la circolare fascista che li contempla è incompatibile col principio di laicità della Costituzione repubblicana e lede miei diritti soggettivi di rango costituzionale (in particolare: diritto alla non discriminazione religiosa e diritto alla libertà religiosa) come sancito esplicitamente dalla Cassazione penale nella sentenza 1.3.2000 n. 4273, Montagnana).
Nessuna risposta da parte del Ministro.
Propongo allora nell'aprile 2004 ricorso al TAR delle Marche. L'Avvocatura di Stato resiste nel giudizio amministrativo affermando che la circolare del Ministro fascista del 1926 non è stata abrogata in modo esplicito e che, per altro verso, l'ostensione dei crocifissi nelle aule giudiziarie è un atto di "professione di fede" da parte dello Stato italiano ("laico"!!!!), come tale del tutto legittimo ai sensi dell'art. 19 della Costituzione.
Propongo istanza cautelare per la rimozione in via di urgenza dei crocefissi, rappresentando in modo esplicito che solo per senso civico mi sono sino ad allora astenuto dal rifiutarmi di tenere le udienze per evitare di violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art. 111 Cost.) e per tutelare i miei diritti costituzionali all'eguaglianza ed alla libertà religiosa (in ciò si risolve, in effetti, la cd. "libertà di coscienza"): l'istanza viene respinta dal TAR senza motivazione, cioè con l'apodittica affermazione che "non vi è pregiudizio nel ritardo". Sempre per senso civico rinuncio a fare quello che avrei, secondo la Cassazione, diritto di fare, cioè astenermi dalle udienze per libertà di coscienza legata all'imposizione obbligatoria del crocifisso, simbolo nel quale non mi identifico minimamente.
Nel frattempo inizio ad acquisire, attraverso la lettura di testi che mi vengono segnalati o addirittura regalati ed attraverso la visita di siti internet, notizie orripilanti sugli orrendi crimini di cui la Chiesa cattolica si è macchiata durante la sua nefasta storia plurimillenaria: notizie che io, come la maggior parte degli italiani, ignoro, perché sapientemente occultate dal regime di (dis)informazione pubblica.
In ogni caso, dal momento che l'osservanza del principio di laicità implica o che i crocifissi vengano rimossi, per ristabilire la neutralità dello Stato nei confronti di tutte le confessioni, o che debba essere necessariamente riconosciuto a tutti i credenti il diritto di esporre i propri simboli religiosi, per garantire l'eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, avanzo al Ministro di Giustizia la richiesta di esporre la menorà ebraica, simbolo della religione alla quale ho ufficialmente aderito ai sensi dell'art. 4 della legge n. 101/1989.
Come di consueto non interviene alcuna risposta da parte del Ministro di Giustizia.
"In compenso", però, iniziano a pervenirmi, da parte di anonimi cittadini cattolici, lettere di stampo razzistico/religioso che "mi spiegano" "perché" la menorà è "indegna" di essere esposta a fianco del crocifisso. In particolare il 12.4.2005 mi perviene una lettera di un anonimo razzista cattolico, indirizzata anche al Ministro di Giustizia On.le Castelli e al Presidente del Tribunale, con la quale questo individuo afferma che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio". Questo cattolico bolla la mia pretesa di esporre la menorà come "oltraggiosa per la Giustizia italiana" e chiede al Ministro di Giustizia "come la mia iniziativa possa essere da lui tollerata".
Alcuni giorni dopo, per la precisione il 3.5.2005, inoltro al Ministro di Giustizia un "ultimatum" col quale chiedo, in via principale, di rimuovere i crocifissi o, in subordine, di autorizzarmi ad esporre la mia menorà a fianco del crocifisso cattolico. Preannuncio che mi asterrò dal tenere le udienze a partire dal 9.5.2005, se verrà respinta anche la richiesta di esporre la menorà: e questo, sia per legittima reazione contro gli atti di discriminazione religiosa compiuti dallo Stato italiano ai miei danni, sia per "libertà di coscienza", cioè per non violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art. 111) e per tutelare i miei diritti costituzionali all' eguaglianza religiosa (art. 3) ed alla libertà religiosa (art. 19).
Invito dunque il Presidente del Tribunale a provvedere alla mia eventuale sostituzione, dal 9 maggio in poi, per garantire la prosecuzione del servizio.
Alla mia richiesta segue, come di consuetudine, il totale silenzio da parte del Ministro, sicché dal 9 maggio inizio a rifiutarmi di tenere le udienze, seguitando ad esercitare tutte le altre incombenze (GIP, provvedimenti cautelari, decreti ingiuntivi, giudice tutelare etc.).
A questo punto mi viene rivolto l'invito di tenere le udienze nel mio studio o in altra aula senza crocifisso: respingo questa proposta evidenziandone non solo l'estrema contraddittorietà (se la presenza del crocifisso, infatti, è legittimamente imposta dalla circolare ministeriale, né il Presidente del Tribunale né il Presidente della Corte d'Appello possono violarla), ma anche le connotazioni di segregazione e di discriminazione religiosa, che ledono la mia dignità di essere umano.
Nonostante ciò, si torna alla carica con una "proposta" ancora più discriminatoria, più offensiva e più contraddittoria: cioè quella di riprendere le udienze in un' "aula-ghetto", appositamente allestita per me senza crocifisso. Tale proposta mi viene comunicata con nota del Presidente del Tribunale datata 19.7.2005, nella quale si afferma che "la nuova aula di udienza sarà a disposizione di tutti i magistrati del Tribunale di Camerino, e quindi non si potrà assolutamente dire che essa rappresenti una forma di discriminazione o di "ghettizzazione" nei miei confronti".
Respingo questa offensiva proposta con lettera del 7.8.2005 (doc. n. 2) rimarcando anche la capziosità di questa argomentazione. Sottolineo, in particolare, che la circostanza che i giudici "cattolici" del Tribunale di Camerino possano frequentare, oltre alle aule "ufficiali" destinate alla loro "superiore religione", anche l'aula-ghetto in allestimento per il giudice ebreo, non è un argomento valido per escluderne le connotazioni discriminatorie e ghettizzanti. Ricordo, a tal proposito, che anche i cattolici, "inventori" sin dal 1215 d.C. dei "ghetti" nei quali furono confinati gli ebrei, ed anche i cristiani-nazisti, "inventori" dei lager nei quali trucidarono gli ebrei, ebbero anch' essi la "facoltà di frequentare" tali "luoghi" di "segregazione criminale": non per questo, però, qualcuno avrebbe potuto escludere che i ghetti e i lager siano stati luoghi di criminale segregazione.
Comunque, per tagliare la testa al toro ed avere l'immediato e concreto riscontro della sincerità della proposta che mi veniva propinata come "non ghettizzante", propongo di scambiare la "fetta di torta" che l'Amministrazione Cattolica mi offre con quella che essa si riserva, cioè dichiaro la mia assoluta disponibilità a riprendere immediatamente la trattazione delle udienze, purché l'Amministrazione provveda a sostituire gli attuali crocifissi con altrettante menorà ebraiche nelle aule "ufficiali" ed escluda qualsiasi addobbo religioso nella "nuova" aula, nella quale, dunque, avrebbero potuto operare "anche" i giudici cattolici, oltre al giudice "ebreo".
Questo "scambio delle fette di torta", guarda caso, non viene accettato, sicché ricevo la immediata e concreta dimostrazione di quanto fossero falsi, capziosi e ghettizzanti gli intenti che l'Amministrazione della Giustizia voleva perseguire.
Dopo un po' la Procura dell'Aquila apre due procedimenti penali per omissione di atti di ufficio, per "essermi astenuto dal tenere le udienze, indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula del crocifisso".
Faccio immediatamente notare al P.M. aquilano che il capo di imputazione contiene una lacuna a dir poco gigantesca, perché si è omesso di considerare che il mio rifiuto scaturisce, innanzitutto, dal fatto che lo Stato mi impedisce di esporre la menorà ebraica, mentre consente l'ingresso nelle aule pubbliche ai crocifissi: rappresento che questo comportamento discriminatorio non soltanto viola l'art. 3 della Costituzione e gli artt. 9 e 14 della Convenzione sui diritti dell'Uomo, ma integra anche il reato di cui all'art. 3 della legge 13.10.1975, a mente del quale è punito con la reclusione sino a tre anni "chi commette atti di discriminazione per motivi...religiosi". Concludo, pertanto, evidenziando che il mio rifiuto è, innanzitutto, una reazione legittima contro atti di delittuosa discriminazione religiosa, sicché ritengo a dir poco grottesco che, anziché indagare sul conto dell'aguzzino che tenta di infilare l'ebreo nel forno crematorio -cioè di Organi istituzionali dello Stato- si indaghi sul conto dell'ebreo che si rifiuta di entrarvi.
Chiedo pertanto al P.M. aquilano di integrare il capo di imputazione, facendo risultare la verità, e cioè che il mio rifiuto di tenere le udienze scaturisce, in prima battuta, dall'imposizione del divieto di esporre la mia menorà ebraica a fianco del crocifisso.
La richiesta viene immotivatamente disattesa e il P.M. chiede ed ottiene il rinvio a giudizio immediato dinanzi al Tribunale per il 18.11.2005. In questa sede dichiaro di rifiutarmi di presenziare al dibattimento per libertà di coscienza legata alla presenza obbligatoria dei crocifissi nelle aule giudiziarie italiane e chiedo, pertanto, che il Tribunale sollevi un conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia: il Tribunale disattende la mia richiesta perchè "superata" dal fatto che sono...... presente in aula!! Mi allontano allora immediatamente dall'aula e il Tribunale, all'esito del dibattimento, pronuncia condanna a sette mesi di reclusione, nei confronti della quale ho proposto appello.
Ciò premesso in fatto, sollevo le seguenti due questioni preliminari.

PRIMA QUESTIONE

Ribadisco, per l'ennesima volta, la richiesta di integrazione e/o correzione dei capi di imputazione che mi vengono mossi, dal momento che è stata deliberatamente omessa la circostanza che io mi sono rifiutato di tenere le udienze anche per legittima difesa contro atti di criminale discriminazione religiosa perpetrati ai miei danni dal Ministro di Giustizia. Questi, infatti, da un lato mi ha imposto i crocifissi cattolici e, dall'altro, si è rifiutato, per bieche motivazioni di discriminazione religiosa, di farmi esporre la menorà ebraica a fianco del crocifisso.
Rammento ancora -semmai non fossi stato sufficientemente chiaro- che un anonimo criminale, appartenente a setta cattolica, ha indirizzato al Ministro di Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino una lettera con la quale ha affermato che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio". Rammento ancora che questa anonima "istigazione" criminale è stata condivisa dall'Amministrazione Giudiziaria Italiana che, anzi, se ne è fatta strenua "paladina". Evidenzio, infatti, che la mia richiesta di esporre la menorà a fianco del crocifisso non solo è stata disattesa ma, dopo che mi sono rifiutato di tenere le udienze a causa di questa criminale discriminazione, l'Amministrazione Giudiziaria ha addirittura allestito un'aula-ghetto, senza crocefisso, nella quale mi si è fatto assoluto divieto di esporre la menorà: il che implica che l'Amministrazione Giudiziaria ha condiviso la lettera razzista dell'ignoto cattolico, al punto tale da ritenere che il simbolo degli ebrei sia da considerare "sacrilego" e "blasfemo" e, quindi, "indegno" di essere ostentato nelle aule dei tribunali italiani.
Alla luce di queste considerazioni chiedo formalmente che l'imputazione che mi è stata mossa dal P.M. venga integrata, aggiungendo alle parole "indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula del crocifisso" le parole: "o, in subordine, per il mancato rilascio dell'autorizzazione ad esporre a propria volta la menorà, simbolo della religione ebraica cui aveva aderito ai sensi della legge n. 101/1989".
Questa integrazione non è di poco conto, perché imporrà molti interrogativi e molte risposte da parte degli Organi Istituzionali cattolici di questa Repubblica e da parte di chi mi deve giudicare.
In particolare chiedo: che cosa avete contro gli ebrei? Che cosa avete, voi Cattolici, contro la menorà ebraica? La sua visione, forse, turba la vostra sensibilità? Per quale motivo voi Cattolici mi avete impedito di esporre la mia menorà a fianco del vostro Crocifisso? Eppure vi avevo esplicitamente avvisato che la "mia" menorà non era razzista e, quindi, non aveva alcun problema a stare a fianco del vostro augusto Crocifisso. E allora? Perché mi avete impedito di esporre nelle aule la menorà ebraica? Eppure vi ho informato che questa banale autorizzazione sarebbe stata di per sé sufficiente a consentirmi di seguitare a tenere le udienze nelle aule giudiziarie. E allora, qual'era -e qual'è- il vostro problema, non il mio? Forse la visione della menorah vi crea nausea e disgusto insopportabili, come la visione della pelle nera li crea ai razzisti? Forse la presenza in aula del crocifisso è "innocua", come qualche luminare del diritto sostiene, e la presenza della menorà ebraica, invece, crea turbamenti agli avventori cattolici? Ma non vi vergognate del vostro RAZZISMO? Perché avete innescato la mia reazione legittima, cioè il rifiuto di tenere le udienze nelle aule dove mi veniva vietato di esporre il mio simbolo religioso e dove invece veniva consentito il libero accesso al vostro simbolo? Eppure sarebbe stato sufficiente autorizzarmi l'esposizione della menorà: sarebbero state così evitate ai "cittadini che chiedono giustizia" quelle conseguenze negative che oggi, assurdamente, tentate di addebitare al mio comportamento.
Eppure l'art. 3 della Costituzione dice che "tutti i cittadini -quindi anche gli ebrei- "hanno pari dignità e sono uguali dinanzi alla legge, senza distinzione di religione". Eppure l'art. 8 della Costituzione dice che "tutte le confessioni religiose -e quindi anche l'ebraismo- sono egualmente libere davanti alla legge". Eppure l'art. 19 della Costituzione dice che "tutti -e quindi anche gli ebrei- hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto anche in pubblico". Eppure l'art. 9 della Convenzione internazionale sui diritti dell'Uomo dice che "ogni persona -e quindi anche l'ebreo- ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto importa la libertà di cambiare religione o di pensiero, come anche la libertà di manifestare la propria religione o il proprio pensiero individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, per mezzo del culto, dell'insegnamento, di pratiche e di compimento di riti ". Eppure l'art. 14 della medesima convenzione ("Divieto di discriminazione") dice che "il godimento dei diritti civili e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito a tutti, quindi anche agli ebrei, senza alcuna distinzione, fondata soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, sui beni di fortuna, nascita o ogni altra condizione"
E allora? Forse la richiesta di un ebreo di esporre la propria menorà nei luoghi dove lo Stato consente ai cattolici di esporre i loro crocefissi e, quindi, di avere gli stessi diritti e la stessa dignità della Superiore Razza Cattolica, può essere qualificata -come è stata di fatto qualificata dal Tribunale dell'Aquila, prima, e dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione- una...........pretesa "PRETESTUOSA"?
E' dunque "pretestuoso", per i Cattolici, che un ebreo "pretenda" di essere "uguale" a loro?
Complimenti!!!!! Soprattutto complimenti al RAZZISMO !!!!!!!!!!
E non è un caso -ma si tratta al contrario della concreta attuazione degli opposti principi costituzionali ed internazionali di eguaglianza e non discriminazione religiosa- che l'art. 58 del regolamento penitenziario (D.P.R. 30.6.2000 n. 230) accordi a tutti i detenuti -e quindi anche agli ebrei- il sacrosanto diritto di esporre, nella propria camera o nel proprio spazio di appartenenza, immagini e simboli della propria confessione religiosa, evitando così qualsiasi possibile discriminazione tra i credenti o assurdi "privilegi" a favore dei cattolici. E allora vi chiedo: forse voi cattolici pensate, col vostro sarcasmo di razza superiore, che, "grazie" alla condanna a 7 mesi inflittami dal Tribunale dell'Aquila, questo giudice ebreo si vedrà finalmente riconosciuto il diritto di esporre la sua menorà -se non proprio in un'aula giudiziaria- almeno in un "altro" "ambiente giudiziario", cioè nella cella? Siete proprio spiritosi.
E allora? Ripeto: cosa avete, voi cattolici, contro la menorà ebraica?
Forse condividete quello che sostengono l'Avvocato Generale dello Stato e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che cioè la mia pretesa di esporre la menorah degli ebrei "ha suscitato, per la sua assoluta singolarità, sconcerto e disorientamento nella pubblica opinione"?
Ma a quale "pubblica opinione" intendete riferirvi? A quella dei "razzisti"? E' questo il modo di gestire la giustizia, cioè facendosi paladini dei criminali razzisti e perseguendo penalmente e disciplinarmente le loro vittime?
In attesa di avere risposte su questo punto -anche da parte della Corte di Strasburgo- segnalo che l'On.le Maurizio Turco ha indirizzato nel settembre scorso al Ministro di Giustizia Mastella l'interpellanza n. 130/2006 (doc. n. 3) con la quale gli ha tra l'altro chiesto di "giustificare per quali validi motivi -che, secondo l'interrogante, non siano quelli di discriminazione razziale, odio e disprezzo degli ebrei e della religione ebraica- il Ministero interrogato ha negato al dott. Tosti Luigi di esporre a fianco del crocifisso la menorah, usufruendo così degli stessi diritti religiosi e della stessa dignità che l'Amministrazione fascista Italiana accordò e che quella Repubblicana seguita ad accordare ai cattolici". Segnalo anche che il Ministro Mastella si è ben guardato -a tutt'oggi- dal rispondere.
Segnalo, infine, che il Consiglio Superiore della Magistratura, con l'ordinanza n. 12/2006, depositata il 23.11.2006 (doc. n. 4), ha glissato la questione relativa agli atti di discriminazione religiosa affermando che la mia pretesa di esporre la menorà è "infondata" perché "per poter assere accolta richiederebbe che il Legislatore compia scelte discrezionali che allo stato non sono state compiute". Il che, tradotto in termini più espliciti, significa che il Crocifisso della "Superiore Razza Cattolica" può essere esposto negli uffici pubblici in base a semplici "circolari", mentre i simboli dell'infima razza ebraica necessitano, per poter essere esposti, di........ atti LEGISLATIVI del Parlamento!!!
Attendo di verificare se questa "motivazione" verrà adottata da qualche altro Organo dello Stato, magari dall'On.le Ministro di Giustizia in risposta all'interpellanza dell'On.le Turco (sempre che risponda).

SECONDA QUESTIONE

Come seconda questione prospetto al GUP quello che ho già prospettato al Ministro di Giustizia con la lettera del 5.9.2006 (doc. n. 5) laddove, dopo averlo invitato per l'ennesima volta a rimuovere TUTTI i crocifissi da TUTTE le aule giudiziarie, ho preannunciato che nella mia veste di imputato mi rifiuto di farmi processare da giudici partigiani che si identificano platealmente nei crocifissi cattolici appesi sopra la loro testa, e non nei simboli neutrali dell'unità nazionale che, guarda caso, sono accuratamente estromessi dalle aule giudiziarie italiane: tanto più in processi nei quali questi giudici di parte cattolica -che cioè accettano di far parte di un'Amministrazione connotata di cristianità- sono chiamati ad esprimere un giudizio di colpevolezza o di innocenza in relazione ad un mio comportamento che è diametralmente opposto, cioè di rifiuto radicale di giudicare in nome di quel "loro" idolo.
Dal momento che il Ministro di Giustizia Clemente Mastella non ha rimosso i crocifissi ma, sollecitato dall'On.le Francesco Storace, ha addirittura tratto lo spunto da questa mia richiesta per promuovere ennesimo procedimento disciplinare persecutorio, preannuncio al GUP che mi rifiuterò di presenziare all'udienza preliminare del 30.1.2007 per motivi di libertà di coscienza legati alla presenza obbligatoria dei crocifissi nelle aule giudiziarie.
Questo rifiuto integrerà, a mio avviso, un legittimo impedimento a presenziare di natura permanente: sarebbe difatti superfluo rinviare il processo ad altra udienza, dal momento che il Ministro si ostina a non rimuovere i crocifissi. Di qui scaturisce l'invito formale al Giudice di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale o, in subordine, un'eccezione di incostituzionalità.
Queste le motivazioni: motivazioni che -ci tengo a sottolinearlo- risultano pienamente condivise dal Consiglio Superiore della Magistratura nell'ordinanza n. 12/2006, depositata il 23.11.2006 (doc. n. 4).
Punto di partenza è la storica sentenza n. 439 del 1.3.2000 con la quale la IV Sezione penale della Corte di Cassazione ha sentenziato l'illiceità dell'ostensione dei crocifissi negli uffici pubblici perché, in primis, viola il "principio supremo di laicità" che si sostanzia -come costantemente affermato dalla Corte Costituzionale- nell'obbligo dello Stato (e, quindi, dei suoi funzionari) di essere neutrale, imparziale ed equidistante nei confronti di tutte le religioni e di tutti i singoli cittadini, in relazione alla loro fede o credo.
"L'imparzialità della funzione del pubblico ufficiale -chiarisce infatti la Corte- è strettamente correlata alla NEUTRALITÀ dei LUOGHI deputati alla formazione del processo decisionale, che non sopporta ESCLUSIVISMI e CONDIZIONAMENTI........indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia".
Trasponendo questo giudizio della Cassazione al caso che ci occupa, si deve ineluttabilmente affermare che l'esposizione del crocifisso "sopra il banco dei giudici" -imposto dal Ministro di Giustizia come "simbolo venerato"e “solenne ammonimento di verità e giustizia"- pregiudica la "neutralità" e l'"imparzialità" dei "luoghi deputati all'esercizio delle funzioni giurisdizionali (cioè le aule di giustizia), che non può sopportare esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia".
Si deve quindi affermare che l'ostensione del crocefisso nelle aule giudiziarie confligge col principio di imparzialità della giurisdizione, sancito dall'art. 111 della Costituzione, cioè con l'obbligo dei giudici di giudicare i cittadini in modo visibilmente imparziale.
Ma è altrettanto ovvio che all' "obbligo" di "imparzialità" del giudice debba corrispondere, dal lato attivo, il "diritto" del cittadino di essere giudicato da un giudice "imparziale": di qui l'interesse dell'imputato Tosti Luigi ad essere processato da un' Amministrazione Giudiziaria che non sia composta da giudici partigiani che si identificano platealmente nei crocifissi cattolici appesi sopra la loro testa, e non nei simboli neutrali dell'unità nazionale che, guarda caso, sono accuratamente estromessi dalle aule giudiziarie italiane: tanto più in processi nei quali questi giudici di parte cattolica -che cioè accettano di far parte di un'Amministrazione connotata di cristianità- sono chiamati ad esprimere un giudizio di colpevolezza o di innocenza in relazione ad un mio comportamento che è diametralmente opposto, cioè di rifiuto radicale di giudicare in nome di quel "loro" idolo.
Ma non è tutto.
La Cassazione ha infatti stigmatizzato l'ostensione dei crocefissi anche sotto il profilo della violazione del diritto all'eguaglianza: se, infatti, il "principio supremo di laicità" si sostanzia nell' "obbligo" di imparzialità, neutralità ed equidistanza" dello Stato nei confronti delle confessioni religiose e dei cittadini, questi ultimi debbono necessariamente ritenersi titolari del corrispondente "diritto" alla "non discriminazione, cioè all' "eguaglianza".
E così, in effetti, si è espressa la Cassazione: "nel nostro ordinamento la giustificazione indicata urta contro il chiaro divieto posto in questa materia dall'art. 3 cost., come ha recentemente ricordato corte cost. 14.11.1997, n. 329, laddove ha sottolineato che... il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale, se può valere come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell'art. 3, 1° comma, stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l'appunto la religione". E, nella specie, si differenzia appunto in base alla religione nel momento in cui si dispone l'esposizione del SOLO crocifisso".
La presenza del SOLO crocifisso, quindi, lede necessariamente anche il diritto di eguaglianza di tutti i cittadini che -come lo scrivente- non si identificano in quel simbolo e che, dunque, vengono discriminati a causa della mancata esposizione dei loro simboli.
Ma ancora non basta.
L'ostensione obbligatoria del crocifisso nelle aule viola, infatti, anche il diritto alla libertà religiosa dei cittadini (art. 19), soprattutto di quelli che non si identificano in quel simbolo e che sono però costretti a subirne la presenza e l'imposizione allorquando debbono frequentare gli uffici giudiziari allo scopo di esercitare il loro diritto alla difesa.
Sulla base di queste lineari premesse giuridiche (pienamente condivise dal CSM), mi vedo costretto a rivolgere al Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale dell'Aquila una formale istanza affinché -ove non ritenga di per sé già esaustivo il rifiuto oppostomi dal Ministro di Giustizia Clemente Mastella- si attivi presso quest'ultimo per ottenere la rimozione permanente dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane ai fini del ristabilimento della LEGALITA', cioè affinché sia preservato, durante l'intero corso del processo, il rispetto del mio diritto di essere giudicato da un giudice "imparziale" (art. 111 Cost.), il rispetto del mio diritto all' eguaglianza senza distinzione di religione (art. 3) e il rispetto del mio diritto alla libertà religiosa (art. 19).
Ribadisco, infatti, che:
1°). io reclamo innanzitutto la piena osservanza, nei miei confronti, del principio supremo di laicità dello Stato e, quindi, dell'obbligo di imparzialità dei Giudici (art. 111 Cost.) e, pertanto, rivendico il diritto di essere giudicato da Giudici imparziali e non confessionali, che cioè non si identifichino, a causa dell'esposizione dei crocifissi, nella religione cattolica, tanto più in un processo che mi vede incriminato per reati connessi all'imposizione coatta dei crocifissi nei tribunali;
2°). io reclamo il pieno rispetto del mio diritto costituzionale di non essere discriminato a causa del mio credo religioso (art. 3) e, quindi, contesto che il Ministro di Giustizia possa impormi la presenza dei crocifissi cattolici durante la celebrazione del processo, tanto più che lo stesso Ministro vieta l'esposizione dei simboli delle altre religioni e, in particolare, di quello ebraico;
3°). io reclamo, infine, il rispetto del mio diritto costituzionale alla libertà religiosa (art. 19) e contesto, pertanto, che il Ministro di Giustizia possa impormi, nelle aule giudiziarie che sono costretto a frequentare per poter esercitare appieno il mio diritto costituzionale alla difesa, la presenza dei crocifissi, simboli religiosi nei quali non mi identifico e la cui presenza "istituzionalizzata", anzi, non tollero a causa dei gravissimi crimini che sono stati perpetrati contro l'umanità, in suo nome, dalla Chiesa Cattolica e dai cristiani in millenni di storia nefasta.
Ribadisco che a casa mia non tengo alcun crocifisso e che detesto qualsiasi forma di "idolatria".
Ribadisco che non mi sono mai permesso di imporre i miei simboli agli altri e che pretendo, pertanto, di non subire l'imposizione del crocifisso da parte dello Stato italiano.
Ribadisco che non accetterei l'imposizione della croce uncinata nazista da parte dello Stato -e questo perché ripudio ed aborro i crimini compiuti dai cristiani nazisti- e che quindi -e a maggior ragione- non accetto l'imposizione del crocifisso.
E questo non solo perché si tratta di un simbolo che evoca in modo macabro e orrifico un messaggio immorale, diseducativo e psicologicamente deleterio, cioè un assassinio perpetrato da un Padre per assurde e inconcepibili finalità di "redenzione" di terzi "colpevoli", cioè dell'Umanità "peccatrice", ma anche per le intollerabili e ingiustificabili implicazioni di genocidi, di assassini, di torture, di criminale inquisizione, di criminali crociate, di razzismo, di roghi contro eretici e streghe, di schiavismo, di superstizione, di persecuzione razziale, di shoà, di rapimenti di bambini ebrei, di disprezzo delle donne e degli omosessuali, di intolleranza, di oscurantismo, di violazione e prevaricazione dei diritti umani alla libertà di opinione, pensiero e religione, di omertosa copertura dei preti pedofili, di truffe, di abuso della credulità popolare, di mercimonio di indulgenze, di bolle di componenda, di illeciti finanziari e via dicendo, crimini di cui la storia millenaria del crocifisso è irrimediabilmente intrisa.
Mi piace ricordare che la prima "gloriosa" comparsa del crocifisso negli "uffici giudiziari" risale ai Tribunali della "Santa" Inquisizione, quando si torturavano, si sbudellavano e si squartavano eretici, streghe, atei, omosessuali ed altri poveri disgraziati sotto la sua lugubre incombenza.
Essendo poi dotato di fondamenti etici e civili informati alla condivisione e all'osservanza dei fondamentali precetti del codice penale, della Costituzione italiana, delle Convenzioni internazionali sui diritti dell'Uomo e delle Convenzioni internazionali contro ogni forma di discriminazione, non intendo minimamente identificarmi in un Dio biblico assassino, terrorista, genocida, intollerante, stupratore, infanticida, schiavista, dispregiatore delle donne e degli omosessuali, razzista e a tal punto borioso e criminale da pretendere di essere venerato dagli uomini con sacrifici umani ed animali. La mia "debole" morale mi impedisce tutto ciò, anche se, ovviamente, non ho il minimo "astio" o disprezzo nei confronti di Dio, la cui unica colpa è quella di essere stato creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza e, quindi, con le loro debolezze e con le loro inclinazioni criminali. Ritengo proprio che non ci sia alcun bisogno di andare ad Auschwitz per chiedere teatralmente a Dio "dove stesse" quando gli ebrei e i rom venivano sterminati nelle camere a gas e inceneriti nei forni crematori: chi non è ipocrita e non si è bevuto il cervello sa perfettamente che Dio stava dentro le menti criminali dei nazisti cristiani (e non islamici) che perpetrarono la shoà con la connivenza dell'assordante silenzio della Chiesa Cattolica e di Pio XII.
Se qualcuno si vuole ancora identificare in quel simbolo e intende ancora glorificarsi nell' "Amore" del supposto unico Dio, lo faccia pure: ma lo faccia a causa sua, sulla sua persona, nei suoi templi, nei Tribunali dell'Inquisizione e in quelli della Sacra Rota, ma non lo imponga a me che, proprio "grazie ai Dio", mi identifico in valori morali e civili diametralmente opposti. Su questi punti intendo tornare in prossimo futuro con argomentazioni più diffuse, non intendendo minimamente tollerare che la verità della storia e la verità delle cosiddette "Sacre Scritture", cioè delle scritture che la Chiesa asserisce dettate da Dio in persona, possano essere mistificate -anche in provvedimenti giurisdizionali- sino al punto di attribuire a questo simbolo e a questo Dio valenze di tolleranza, di amore, di eguaglianza, di rispetto reciproco e di rispetto dei diritti umani che gli sono del tutto aliene: oltre al Re, anche Dio è nudo.
E' appena il caso di sottolineare che non intendo affatto sottrarmi alla celebrazione del processo penale con pretesti, ma esigo soltanto che siano "corrette" le attuali "modalità attuative" del processo le quali, per effetto dell'imposizione del crocifisso da parte del Ministro, determinano la lesione dei diritti costituzionali sopra elencati.
Preannuncio che, nell'ipotesi che per l'udienza del 30 gennaio 2007 non si sarà provveduto alla rimozione di tutti i crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane, in ottemperanza alla pronuncia della Corte di Cassazione 439/2000 e della stessa ordinanza del CSM, sarò costretto -per evitare la lesione dei miei diritti costituzionali all'eguaglianza, alla libertà religiosa e ad essere giudicato da giudici imparziali- a rifiutarmi di presenziare alla celebrazione del processo.
A questo punto il GUP dovrà porsi il problema della rilevanza di questo mio rifiuto.
Io ritengo -in ciò confortato dal CSM e dalla Cassazione- che esso assuma rilievo fondamentale ai fini della stessa validità del processo, dal momento che non si tratterà di una mia "libera scelta", bensì di un "rifiuto a presenziare" imposto dalla necessità di evitare la lesione di miei diritti costituzionali. Si tratta, in altri termini, di un'ipotesi di "libertà di coscienza" del tutto analoga al rifiuto che fu opposto da un testimone a cagione dei riferimenti a Dio contenuti nella formula del giuramento ed al rifiuto che fu opposto da uno scrutatore di seggio a causa della presenza dei crocifissi.
Ricordo che nel primo caso la Corte Costituzionale giustificò il rifiuto del teste perché legittimato dalla "libertà di coscienza", cioè perché ritenne che l'adempimento dell'obbligo impostogli dalla legge -che era quello di prestare il giuramento prima della deposizione- avrebbe determinato la lesione del suo diritto costituzionale di libertà religiosa a causa dei riferimenti a Dio contenuti nella formula.
Ancora più stretta è l'analogia col caso deciso dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza 439/2000, laddove è stato assolto uno scrutatore di seggio che si era rifiutato di adempiere al pubblico ufficio perché il suo "rifiuto" era stato necessitato dall'esigenza di non violare il suo obbligo, di rango costituzionale, di essere imparziale e neutrale nei confronti dei cittadini amministrati.
Le analogie col rifiuto che sono costretto ad opporre, in caso di mancata rimozione dei crocifissi, sono dunque a dir poco eclatanti: anch'io, infatti, mi trovo nella necessità di rifiutarmi di presenziare al dibattimento -così pregiudicando il mio diritto alla difesa- sia per evitare di essere giudicato da un giudice che, a causa dell' "esclusivismo" e del "condizionamento" indotti dal crocifisso, non è "imparziale" (art. 111 Cost.), sia per evitare di subire una discriminazione religiosa (art. 3) sia, infine, per evitare di subire la lesione del mio diritto alla libertà religiosa (art. 19).
Ebbene, essendo fondato sull'esigenza di evitare la lesione di diritti di rango costituzionale, il mio rifiuto integrerebbe -al di là di ogni ragionevole dubbio- un'ipotesi di legittimo impedimento a comparire e/o a presenziare ex art. 420 ter, quater e quinquies C.P.P. (si pensi al caso, che ipotizzo a fini scolastici, che il Ministro disponga con altra "circolare" che gli imputati debbano presenziare al processo seduti su sedie elettriche: non sarebbe legittimo, in questo caso, il rifiuto degli imputati a presenziare all'udienza, per preservare il loro diritto all'integrità fisica?)
E' peraltro chiaro che un mero rinvio, disposto ex artt. 420 ter e segg., si rivelerebbe del tutto inconcludente, ove non fosse accompagnato dalla richiesta di rimozione dei crocifissi da tutti gli uffici giudiziari, che il Giudice dovrà indirizzare al Ministro di Giustizia affinché sia ripristinata la legalità e sia consentita la celebrazione del processo nel pieno rispetto del principio supremo di laicità e dei diritti costituzionali dell'imputato.
E' sicuramente da escludere, in ogni caso, che il Giudice possa disapplicare la circolare del Ministro fascista Rocco o sollevare una questione di incostituzionalità della stessa: la rimozione dei crocifissi, infatti, rientra nella competenza esclusiva del Ministro (in questi precisissimi termini si è già espressa la Cassazione nell'ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005, imputato Adel Smith).
Nell'ipotesi -assai improbabile- che il Ministro ottemperi alla richiesta, sarà eliminato qualsiasi ostacolo alla prosecuzione dibattimentale del giudizio.
In caso contrario, invece, ritengo che il G.U.P. del Tribunale dell'Aquila debba sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia, ex art. 134, comma 2° Cost., e 37 L. 11.3.1953 n. 87, sussistendone tutti i requisiti oggettivi e soggettivi.
Infatti, il diniego di rimozione dei crocifissi -sempreché ritenuto dal Giudicante illegittimo- impedirebbe sine die la celebrazione del processo, in tal modo "menomando il GUP del Tribunale dell'Aquila della pienezza della funzione giurisdizionale attribuitagli dalla Costituzione". Si realizzerebbe, cioè, un'ipotesi del tutto analoga a quella dell' illegittimo rifiuto delle Camere di fornire all'Autorità giudiziaria documenti necessari ai fini probatori o a quella dell' illegittimo rifiuto dell'autorizzazione a procedere contro parlamentari, casi nei quali la Corte Costituzionale ha ritenuto e ritiene ammissibili i conflitti di attribuzione.
E sulla "illegittimità" dell'ipotetico rifiuto del Ministro di Giustizia di rimuovere i crocifissi dalle aule di giustizia non vi dovrebbero essere, in realtà, soverchi dubbi, dal momento che la Cassazione penale e lo stesso CSM si sono già pronunciati in tal senso.
Infatti, se è ben vero che l'art. 110 della Costituzione attribuisce al Ministro di Giustizia la competenza a disciplinare "l'organizzazione e il funzionamento dei servizi di giustizia" e che, quindi, rientra nella sua competenza istituzionale la potestà di predeterminare e di fornire gli "arredamenti" necessari al funzionamento dell'apparato giudiziario, è altrettanto innegabile che il "crocifisso" non sia un "oggetto di arredamento" necessario al funzionamento della Giustizia -come ad esempio un tavolo, una sedia o un computer- bensì un simbolo ideologico, la cui funzione esclusiva è quella di connotare di "cristianità" le aule di giustizia e, quindi, l'attività giurisdizionale esercitata dai Giudici (la valenza simbolica del crocifisso è pari a quella della bandiera tricolore e del ritratto del Presidente della Repubblica: solo che questi ultimi rappresentano l'unità nazionale e, dunque, sono conformi al principio di laicità).
Orbene, se si considera che i Giudici godono della prerogativa dell'indipendenza (artt. 101, 102 e 104) e dell'imparzialità (art. 111), è giocoforza ritenere che l'imposizione da parte del Ministro di Giustizia di un simbolo ideologico "partigiano", qual'è innegabilmente il crocifisso, leda tutte queste prerogative costituzionali della Magistratura e, per quel che qui interessa, violi il principio supremo di laicità e tutti i diritti di rango costituzionale, sopra menzionati, dell'imputato Luigi Tosti.
Tutto questo è più che sufficiente per decretare la palese "illegittimità" della circolare del Ministro di Giustizia Rocco n. 2134/1867 del 29.5.1926 e, quindi, la conseguente "menomazione della pienezza della funzione giurisdizionale del GUP del Tribunale dell'Aquila".
L'art. 37 L. n. 87/1953, infatti, sancisce che "Il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali".
Nel caso di specie ricorre, innanzitutto, il requisito soggettivo, in quanto il GUP del Tribunale dell'Aquila gode di assoluta indipendenza ed autonomia nell'ambito del più vasto "potere giurisdizionale" cui appartiene (si richiama Corte Cost., ord. 22/1975: "i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerare legittimati -attivamente e passivamente- prescindendo dalla proponibilità di gravami predisposti a tutela di interessi diversi").
Non sussiste, poi, l'ipotesi che "altro organo, all'interno del potere giurisdizionale, sia abilitato ad intervenire -d'ufficio o dietro sollecitazione del potere controinteressato-rimuovendo o provocando la rimozione dell'atto o del comportamento che si assumono lesivi" (Corte Cost., ord. 228/75).
Dal punto di vista oggettivo, poi, il conflitto di attribuzione che caldeggio concerne sicuramente un atto amministrativo di natura regolamentare (circolare Min. Giust. n. 2134/1867 del 29.5.1926 o, comunque, un comportamento di "rifiuto" di rimozione dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane).
Infine, la violazione della sfera di attribuzione del GUP del Tribunale dell'Aquila trova il suo fondamento negli artt. 101 e 102 della Costituzione, perché il diniego di rimozione generalizzata dei crocifissi dalle aule giudiziarie da parte del Ministro di Giustizia, implicando la violazione del diritto costituzionale dell'imputato all'equo processo da parte di un giudice imparziale (art. 111), del diritto costituzionale all'eguaglianza (art. 3) e del diritto costituzionale alla libertà religiosa (art. 19), determina l'impossibilità di celebrare un valido processo penale a carico di Luigi Tosti e, quindi, provoca una illegittima menomazione della pienezza della funzione giurisdizionale spettante al GUP del Tribunale dell'Aquila.
Si ribadisce che queste mie motivazioni risultano confortate dal Consiglio Superiore della Magistratura che nel recentissimo provvedimento depositato il 23.11.2006 ha affermato che la mia pretesa (come giudice) di ottenere la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie è pienamente fondata, dal momento che la circolare fascista del Ministro Rocco deve ritenersi tacitamente abrogata (sin dal 1948) per incompatibilità con la Costituzione repubblicana, innanzitutto perché si tratta di "un atto amministrativo privo di fondamento normativo e, quindi, contrastante con il principio di legalità dell'azione amministrativa, desumibile dagli articoli 97 e 113 della Costituzione, dal quale deriva che ogni atto amministrativo deve essere espressione di un potere riconosciuto all'Amministrazione da una norma", tant'è, soggiunge il CSM, che per poter esporre i simboli nazionali negli uffici pubblici il legislatore ha dovuto emanare ben due leggi. In secondo luogo, poi, il CSM riconosce che la circolare fascista "appare in contrasto con il principio costituzionale di laicità dello Stato e con la garanzia della libertà di coscienza e di religione, essendo pacifico (in tal senso Cassazione, Sezione Unite, 18.11.1997, n. 11432 e Sez. Disciplinare 15.9.2004, Sansa) che nessun provvedimento amministrativo può limitare diritti fondamentali di libertà, al di fuori degli spazi eventualmente consentiti da una legge ordinaria conforme a costituzione. Ne consegue, da un lato, che in materia religiosa lo Stato deve essere equidistante, imparziale e neutrale e, dall'altro, che l'ordine delle questioni religiose e quello delle questioni civili debbono rimanere separati, con la conseguenza che in nessun caso il compimento di atti appartenenti alla sfera della religione possa essere oggetto di prescrizioni obbligatorie o che si ricorra ad obbligazioni di ordine religioso per rafforzare l'efficacia di precetti statali: la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato. La libertà di coscienza (espressamente riconosciuta anche dall'art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dall'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) e la libertà di religione debbono essere lette come affermazione non solo positiva, di tutela delle convinzioni o della fede professata, ma anche in senso negativo, come tutela di chi rifiuti di avere una fede e, pertanto, deve essere garantita sia ai credenti che ai non credenti, siano essi atei o agnostici. Dal carattere "fondante" della libertà di coscienza deriva anche che nelle valutazioni costituzionali relative ai profili dell'eguaglianza in materia religiosa il dato quantitativo, l'adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione, non può essere rilevante. Alla luce dei rilievi ora svolti appare convincente la tesi dell'incolpato secondo la quale l'esposizione del crocifisso nelle aule di giustizia, in funzione solenne di "ammonimento di verità e giustizia", costituisce un'utilizzazione di un simbolo religioso come mezzo per il perseguimento di finalità dello Stato. Del pari persuasiva sembra l'affermazione che l'indicazione di un fondamento religioso dei doveri di verità e giustizia, ai quali i cittadini sono tenuti, può provocare nei non credenti "turbamenti, casi di coscienza, conflitti di lealtà tra doveri del cittadino e fedeltà alle proprie convinzioni" e pertanto può ledere la libertà di coscienza e di religione."
Il CSM ha anche "bocciato" le sentenze del TAR del Veneto e del Consiglio di Stato che hanno legittimato l'esposizione dei crocifissi nelle scuole per la loro supposta valenza "culturale": "anche a poter condividere la tesi del significato meramente culturale del crocifisso -chiarisce il CSM- il problema della libertà di coscienza e del pluralismo si sposterebbe dal terreno esclusivamente religioso a quello appunto culturale, ma non sarebbe risolto, in quanto dai principi costituzionali in precedenza individuati deriva che l'amministrazione pubblica non può scegliere di privilegiare un aspetto della tradizione e della cultura nazionale, sia pure largamente maggioritaria, a discapito di altri minoritari, in contrasto con il progetto costituzionale di una società "in cui hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse" (Corte Cost., n. 440 del 1995)".
In buona sostanza, dunque, lo stesso CSM ha ammesso che l'esposizione dei soli crocifissi nelle aule giudiziarie e, in genere, nei pubblici uffici, calpesta il principio supremo di laicità delineato dalla Costituzione italiana e, quindi, l'obbligo costituzionale dei giudici di essere imparziali, neutrali ed equidistanti; calpesta anche il corrispondente diritto dei cittadini -garantito sia dalla Costituzione che dalla Convenzione sui diritti dell'Uomo- di essere giudicati da giudici imparziali; calpesta i diritti fondamentali e costituzionali alla libertà di coscienza e di religione, che appartengono a me e a qualsiasi cittadino e, infine, calpestano il diritto costituzionale e fondamentale all'eguaglianza, senza distinzione di religione, dei cittadini non cattolici, atei o agnostici.
Segnalo al GUP che con ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005 la III^ Sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile l'istanza di rimessione presentata dall'imputato Adel Smith per motivazioni analoghe a quelle sopra esposte. La Cassazione ha giustamente affermato l'erroneità del ricorso alla legittima suspicione, dal momento che i crocifissi sono esposti, in virtù della circolare fascista, in tutti gli uffici giudiziari italiani, e non soltanto nel Tribunale di Verona.
Tuttavia, nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Corte di Cassazione ha fatto due importantissime affermazioni che, peraltro, sono state evidenziate già dai primi commentatori:
1) la prima è che la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie -e cioè il ripristino dell'osservanza del principio di laicità caldeggiato dall'imputato Smith- può essere disposta solo dal Ministro di Giustizia, in quanto "è da escludere che un giudice, di qualsivoglia ordine e grado, possa disapplicare la circolare ministeriale Rocco";
2) la seconda affermazione è che, comunque, l'imputato Smith "ha sollevato una questione importante".
La Corte di Cassazione, dunque, ha ammesso in modo esplicito che l'osservanza del principio di laicità -durante la celebrazione dei processi- incida sull'obbligo di imparzialità del giudice sancito dall'art. 111 della Costituzione, affermando però che tale problematica può essere risolta solo attraverso la fattiva collaborazione del Ministro di Giustizia, dal momento che "il compito di disapplicare una circolare amministrativa, che attiene a una materia qual'è quella della manutenzione degli uffici giudiziari e dei loro arredi, è assolutamente estranea alle attribuzioni giurisdizionali della magistratura": il che conforta la necessità di ricorrere al conflitto di attribuzione per risolvere questo problema "importante".

P. Q. M.

Chiedo che il G.U.P., preso atto della volontà dell'imputato Tosti Luigi di non presenziare all'udienza preliminare sino a che non verranno rimossi tutti i crocifissi da tutte le aule italiane, voglia attivarsi presso il Ministro di Giustizia con esplicita richiesta in tal senso e, in caso di esito negativo, voglia sollevare conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale ex artt. 134 Cost. e 37 L. 11.3.1953 n. 87, affinché si dichiari che il rifiuto di rimozione dei crocifissi determina una illegittima menomazione della pienezza delle funzioni giurisdizionali spettantigli ex artt.101 e 102 Costituzione.
Rappresento che analogo conflitto ho sollevato come Giudice monocratico del Tribunale di Camerino e che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 127/2006 lo ha dichiarato inammissibile perché il giudice remittente, che per sua stessa ammissione si era astenuto dalle funzioni giurisdizionali dal 9.5.2005, "non era attualmente investito di un processo, in relazione al quale soltanto i giudici si configurano come organi competenti a dichiarare la volontà del potere cui appartengono", non ravvisando peraltro, nella complessiva prospettazione del ricorso, una "menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite agli appartenenti all'ordine giudiziario", bensì un "disagio di un lavoratore dipendente del Ministero di Giustizia" (la Corte non ha evidentemente inteso i termini del "disagio", dal momento che quello da me espresso era lo stesso identico "disagio" che aveva portato Cesare Ruperto, Presidente cattolico della Corte Corte Costituzionale, a rimuovere il crocifisso dall'aula di udienze della Consulta).
Queste considerazioni della Consulta non valgono, però, nel caso di specie: il G.U.P. del Tribunale dell'Aquila, infatti, è nel pieno delle sue funzioni giurisdizionali e, per altro verso, il conflitto di attribuzione viene prospettato con riferimento agli artt. 101 e 102 Cost. e riguarda una "menomazione delle attribuzioni giurisdizionali" che è esattamente identica a quella ritenuta ammissibile dalla Corte Costituzionale con l'ord. n. 228 del 1975, di cui si riporta la massima: "Il rifiuto opposto al Tribunale di Torino dalla Commissione d'inchiesta in ordine alla richiesta di documenti, ritenuti necessari ai fini probatori, concreta una illegittima menomazione delle pienezza della funzione istituzionalmente spettante al potere giurisdizionale ex artt. 101 e 102, esplicata dal Tribunale medesimo, per la limitazione che ne risulterebbe all'accertamento dei fatti ed alle conseguenti valutazioni di sua competenza".
Il che, parafrasando la massima e trasponendola al caso di specie, significa necessariamente che "il rifiuto opposto al GUP del Tribunale dell'Aquila dal Ministro di Giustizia in ordine alla richiesta di rimozione dei crocifissi, ritenuta necessaria ai fini del rispetto dei diritti costituzionali dell'imputato all'equo processo, all'eguaglianza ed alla libertà religiosa, concreta una illegittima menomazione delle pienezza della funzione istituzionalmente spettante al potere giurisdizionale ex artt. 101 e 102, esplicata dal Tribunale medesimo, per la limitazione che ne risulterebbe alla possibilità di celebrare un valido processo a carico dell'imputato, legittimamente assente o contumace a causa dell'esposizione obbligatoria dei crocifissi nelle aule giudiziarie".
In via gradata, per l’ipotesi che il Giudice, nonostante la contumacia o l’allontanamento dell’imputato, intenda procedere alla celebrazione del presente processo “in sua assenza”, ritenendo cioè che tale allontanamento non costituisca un “giustificato motivo” ex art. 420 ter C.P.P. per rinviare o sospendere il giudizio, si solleva eccezione di incostituzionalità, per violazione degli artt. 2, 3, 7, 8, 19, 20 e 21 della Costituzione, degli articoli 420 ter, quater e quinquies del codice di procedura penale nella parte in cui consentono al giudice di procedere in contumacia o in assenza dell'imputato che, per libertà di coscienza legate alla presenza in aula del crocifisso, si sia rifiutato di comparire o presenziare al processo.
Copia della presente verrà inoltrata con separata missiva al Ministro di Giustizia ed al Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione dott. Vittorio Martusciello.

Allego:
1°) Atto di appello;
2°) lettera 7.8.2005;
3°) interpellanza n. 130/2006 dell'On.le Turco Maurizio;
4°) ordinanza CSM n. 12 del 31.1.2006, depositata il 23.11.2006;
5°) lettera del 5.9.2006.

Rimini, 31 dicembre 2006
Luigi Tosti

Nella foto, il giudice Luigi Tosti (foto Campanella Lasca)
Riproduzione della foto libera a condizione che sia riportata questa scritta.


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