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venerdì, novembre 17, 2006

 

Fede “privata”. E pari dignità davanti alla legge

di Luigi Tosti

Il giudice Tosti chiese e chiede, difendendo la Costituzione italiana e la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, la rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici.


La laicità dello Stato implica o no che le religioni debbano essere escluse dalla sfera pubblica?

Per rispondere a questa domanda è innanzitutto necessario attribuire al termine "laicità" il suo esatto significato giuridico. Ebbene, la laicità, alla luce sia della normativa nazionale che internazionale (in particolare: Convenzione per la salvaguardia per i diritti dell'uomo) nient'altro è se non il "rovescio della medaglia" del diritto all'eguaglianza che viene riconosciuto a qualsiasi essere umano, sia dalla Costituzione italiana (art. 3) che dalla citata Convenzione (art. 14). L'art. 3 della Costituzione, in particolare, sancisce che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di....religione..." Questo significa, dunque, che lo Stato non può privilegiare una particolare religione perché, se lo facesse, discriminerebbe tutti coloro che credono in religioni diverse o che non credono in nessuna religione. E, in effetti, la Corte Costituzionale e la Cassazione hanno affermato e seguitano ad affermare -oramai con costanza- che il principio di laicità implica che lo Stato debba essere imparziale, neutrale ed equidistante nei confronti delle religioni e dei cittadini, proprio perché le religioni e i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzione ideologica. Questo principio affonda le sue radici anche nell'art. 97 della Costituzione (l'Amministrazione pubblica deve essere imparziale) e nell'art. 111 (i giudici debbono essere imparziali).

Nonostante la chiarezza di questi principi normativi, è ben noto che la realtà italiana sia tutt'altro che rispettosa del principio supremo di laicità, dal momento che la Chiesa Cattolica e i cattolici in genere seguitano a godere di assurdi ed anacronistici privilegi, "conquistati" (si fa per dire) attraverso la collusione e commistione di interessi col potere politico. Accade così che danaro pubblico sia destinato al sovvenzionamento del clero cattolico (è il caso dell'8 per mille), che lo Stato insegni nelle scuole pubbliche a spese della collettività (e, quindi, anche degli atei e dei non cattolici) la sola religione cattolica, che sulle pareti degli edifici pubblici sia esposto il solo simbolo del crocifisso e via dicendo. Si tratta -come appare evidente- di una situazione di illegalità che viene prepotentemente mantenuta dal cattolici, per lo più ricorrendo ad acrobazie giuridiche del tipo: il crocifisso non è solo un simbolo religioso, ma un simbolo culturale; i cattolici sono la "maggioranza"; anche i paesi islamici privilegiano l'islam.

In realtà, però, tutte queste "motivazioni" -sebbene accolte da giudici partigiani di fede cattolica (Consiglio di Stato in testa)- risultano assolutamente incompatibili col principio di "eguaglianza" che, come ha sancito la Cassazione, non sopporta esclusivismi o privilegi: se si accorda ad una o più religioni un privilegio, il principio di laicità risulta ineluttabilmente calpestato, sicché è pura ipocrisia affermare che uno Stato è "laico" anche se privilegia una particolare religione. Sarebbe come affermare che uno Stato può essere qualificato come "no razzista", anche se privilegia una particolare razza umana.

Da queste considerazioni discende, come corollario imprescindibile, che uno Stato veramente laico deve escludere la sfera religiosa dalla cosa pubblica e relegarla, per converso, in quella privata: in ogni caso, qualsiasi intevento pubblico deve essere rivolto a qualsiasi confessione o credo religioso, anche individuale, in modo da evitare qualsiasi privilegio e/o discriminazione.

E' importante sottolineare, poi, che le credenze religiose -appartengano o meno a gruppi più o meno diffusi- non possono interferire in nessun modo nella sfera delle libertà dei cittadini: tantomeno in quella di coloro che non si identificano in quelle credenze religiose. Purtroppo, anche questo principio è stato e viene costantemente violato nella realtà italiana, dove le predominanti "credenze religiose" dei cattolici hanno limitato e limitano diritti fondamentali di libertà di tutti coloro che non si identificano in quella religione. Si consideri, ad esempio, che la legislazione italiana ha imposto l'indissolubilità del matrimonio anche ai non credenti, e questo perché la maggioranza dei parlamentari ha votato una disposizione di legge che è ispirata, in toto, dalla credenza religiosa che il matrimonio non sia soltanto un contratto, ma anche un "sacramento dinanzi a Dio". La stessa matrice ideologico-religiosa si deve ravvisare nella normativa che impedisce l'eutanasia (la si vieta perché i cattolici vogliono imporre la loro credenza religiosa che la vita non sia soltanto un diritto, ma anche un "dovere" nei confronti di un certo Dio, che l'avrebbe "donata") e nel divieto di uso degli embrioni (si vieta alla donna, proprietaria degli embrioni, di destinarla alla ricerca scientifica, non per motivi di interesse pubblico, ma perché si crede che una semplice cellula sia fornita di anima e via dicendo). Queste prevaricazioni ideologiche dimostrano quanto sia pericolosa l'interferenza delle religioni nella sfera pubblica. Basterebbe considerare che, se ipoteticamente i testimoni di Geova acquisissero la maggioranza numerica, essi potrebbero -con la stesa "logica" sino ad ora adottata dai Cattolici - approvare leggi che vietassero le trasfusioni di sangue: e non per motivi di pubblico interesse, ma semplicemente per pura superstizione religiosa. Chissà se, allora, la minoranza cattolica capirebbe che è costituzionalmente giusto che le credenze religiose debbano rimanere relegate nella sfera privata, onde evitare che i diritti di libertà di qualsiasi cittadino, anche se in minoranza, siano calpestati non per un interesse pubblico ma in nome di una particolare credenza religiosa. In realtà ritengo che l'esercizio della libertà debba essere garantito nella sua massima estensione possibile, cioè sino a che non invade la sfera di libertà altrui. Solo in questa ottica di civiltà la convivenza è possibile, perché ognuno è libero di scegliere e nessuno è obbligato a rinunciare: chi vuole ricorrere all'eutanasia, ad esempio, è libero di farlo perché dispone della propria vita, e non della vita altrui; chi non vuole ricorrere all'eutanasia è altrettanto libero di prolungare la propria vita e le proprie sofferenze anche con l'accanimento terapeutico. Chi vuole divorziare è libero di farlo, dal momento che il contratto matrimoniale lo ha concluso lui; chi lo ritiene contrario ai propri convincimenti è invece libero di seguitare a mantenerlo in piedi, magari scannandosi entro le mura domestiche. Purtroppo, sino a quando il valore della "libertà" non sarà percepito e compreso dalla massa dei cittadini, le prospettive di progresso sono veramente esigue: è comunque un obbligo morale denunciare che tutto ciò è da imputare, pressoché in modo esclusivo, al fanatismo ed alla presunzione delle religioni, che si arrogano il diritto di essere depositarie della Vera Verità ed il diritto di imporla agli altri, nel "loro stesso interesse".

Luigi Tosti
tosti.luigi@alice.it
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Nella foto, il magistrato Luigi Tosti

Fonte:
www.lalente.net

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