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mercoledì, febbraio 22, 2006

 

Memoria difensiva per Luigi Tosti al Consiglio Superiore della Magistratura


CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA -Sez. Disciplinare
Procedura di sospensione dalle funzioni - Udienza camerale 13.1.2006
Memoria difensiva per Luigi Tosti
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F A T T O
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Mi riporto innanzitutto -sia per l'esposizione analitica dei fatti che per le motivazioni giuridiche- alla memoria che ho presentato dinanzi al Tribunale penale dell'Aquila, alla memoria che ho presentato dinanzi al TAR delle Marche per la discussione tenutasi il 21.12.2005 e, infine, al recente ricorso per conflitto di attribuzione che ho sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti del Ministro di Giustizia: deposito questi tre atti con 31 documenti allegati.
In ogni caso i fatti, ridotti alla loro sintesi più essenziale, sono questi.
Nell'ottobre del 2003 un paio di avvocati si lamentano con me dell'improvvisa comparsa, nell'aula dove stavo tenendo le udienze civili, di un vistoso crocifisso che, a loro giudizio, rappresenta un gesto provocatorio attuato per reazione contro il provvedimento col quale il giudice dell'Aquila dott. Mario Montanaro, alcuni giorni prima, aveva ordinato la rimozione dei crocifissi dalle scuole. Tenuto conto delle deliranti reazioni che l'ordinanza del dott. Montanaro aveva innescato anche a livelli istituzionali, condivido appieno queste lamentele e, pertanto, stacco dalla parete il crocifisso e lo adagio sul carrello dei fascicoli.
Apriti cielo! Il Ministro di Giustizia, appresa la notizia, dispone un'ispezione per valutare se sussistono gli estremi per trasferirmi d'ufficio da Camerino e per promuovere un'azione disciplinare. Sono costretto a recarmi a Roma, dove vengo messo sotto torchio da un ispettore ministeriale che mi inquisisce per conoscere i minimi particolari relativi al distacco "sacrilego" del crocifisso dalla parete. Mi si chiede persino di dichiarare quale sia il mio credo religioso.
A questa ispezione intimidatoria rispondo con una lettera con la quale chiedo al Ministro di rimuovere tutti i crocifissi dai tribunali, perché la circolare fascista che li contemplava è incompatibile con la Costituzione repubblicana e lede miei diritti soggettivi di rango costituzionale (in particolare: diritto alla non discriminazione religiosa e diritto alla libertà religiosa) come sancito esplicitamente dalla Cassazione penale nella sentenza 1.3.2000 n. 4273, Montagnana).
Nessuna risposta da parte del Ministro.
Propongo allora nell'aprile 2004 ricorso al TAR delle Marche. L'Avvocatura di Stato resiste nel giudizio amministrativo affermando che la circolare del Ministro fascista del 1926 non è stata tacitamente abrogata e che, per altro verso, l'ostensione dei crocifissi nelle aule giudiziarie è un atto di "professione di fede" da parte dello Stato italiano ("laico"!!!!), come tale del tutto legittimo ai sensi dell'art. 19 della Costituzione.
Propongo istanza cautelare per la rimozione in via di urgenza dei crocefissi, rappresentando in modo esplicito che solo per senso civico mi sono sino ad allora astenuto dal rifiutarmi di tenere le udienza per tutelare i miei diritti costituzionali all'eguaglianza ed alla libertà religiosa (in ciò si risolve, in effetti, la cd. "libertà di coscienza"): l'istanza viene respinta dal TAR senza motivazione, cioè con l'apodittica affermazione che "non vi è pregiudizio nel ritardo". Sempre per senso civico rinuncio a fare quello che avrei, secondo la Cassazione, diritto di fare, cioè astenermi dalle udienze per libertà di coscienza legata all'imposizione obbligatoria del crocifisso, simbolo in cui tra l'altro non mi identifico.
Nel frattempo inizio ad acquisire, attraverso la lettura di testi che mi vengono segnalati e/o regalati ed attraverso la visita di siti internet, notizie orripilanti sugli orrendi crimini di cui la Chiesa cattolica si è macchiata nella sua nefasta storia millenaria: notizie che io, come la maggior parte degli italiani, ignoravo, perché sapientemente occultate dal regime di (dis)informazione pubblica.
In ogni caso, dal momento che l'osservanza del principio di laicità implica o che i crocifissi vengano rimossi, per ristabilire la neutralità dello Stato nei confronti di tutte le confessioni, o che debba essere necessariamente riconosciuto a tutti i credenti il diritto di esporre i propri simboli religiosi, per garantire l'eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, avanzo al Ministro di Giustizia la richiesta di esporre la menorà ebraica, simbolo della religione alla quale ho ufficialmente aderito ai sensi dell'art. 4 della legge n. 101/1989.
Come di consueto, non interviene alcuna risposta da parte del Ministro di Giustizia.
"In compenso", però, iniziano a pervenirmi, da parte di anonimi cittadini cattolici, lettere di stampo razzistico/religioso che "mi spiegano" "perché" la menorà è "indegna" di essere esposta a fianco del crocifisso.
In particolare il 12.4.2005 mi perviene una lettera di un anomino, quanto razzista, cattolico, indirizzata anche al Ministro di Giustizia On.le Castelli e al Presidente del Tribunale, con la quale si afferma che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio"".
Essendo divenuti intollerabili gli atti di discriminazione perpetrati dalla pubblica amministrazione ai miei danni, esasperati anche da questi scritti anonimi razzisti, inoltro al Ministro di Giustizia un "ultimatum", con lettera del 3.5.05, col quale chiedo, in via principale, di rimuovere i crocifissi o, in subordine, di autorizzarmi ad esporre la mia menorà a fianco del crocifisso cattolico.
Preannuncio che mi asterrò dal tenere le udienze a partire dal 9.5.2005, se verrà respinta anche la richiesta di esporre la menorà: e questo, sia per legittima reazione contro atti di criminale discriminazione religiosa da parte dello Stato italiano, sia per "libertà di coscienza", cioè per tutelare i miei diritti costituzionali all' eguaglianza religiosa (art. 3) ed alla libertà religiosa (art. 19).
Invito dunque il Presidente del Tribunale a provvedere alla mia eventuale sostituzione, dal 9 maggio in poi, per garantire la prosecuzione del servizio.
Alla mia richiesta segue, come di consuetudine, il totale silenzio, sicché dal 9 maggio inizio a rifiutarmi di tenere le udienze.
A questo punto mi viene rivolto l'invito di tenere le udienze nel mio studio o in altra aula senza crocifisso: respingo questa proposta evidenziandone, con garbo, non solo l'estrema contraddittorietà, ma anche le connotazioni di segregazione e di discriminazione religiosa, che ledono la mia dignità di esser umano.
Nonostante ciò, si torna alla carica con una "proposta" ancora più indecente, più offensiva e più contraddittoria: cioè quella di riprendere le udienze in una sorta di "aula-ghetto", appositamente allestita per me senza crocifisso.
Ovviamente la respingo.
Dopo un po' la Procura dell'Aquila apre due procedimenti penali per omissione di atti di ufficio, per "essermi astenuto dal tenere le udienze, indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula del crocifisso". Faccio immediatamente notare al P.M. aquilano che il capo di imputazione contiene una lacuna a dir poco gigantesca, perché si è omesso di considerare che il mio rifiuto scaturisce, innanzitutto, dal fatto che lo Stato mi impedisce di esporre la menorà ebraica, mentre consente l'ingresso nelle aule pubbliche ai crocifissi: rappresento che questo comportamento discriminatorio non soltanto viola l'art. 3 della Costituzione e gli artt. 9 e 14 della Convenzione sui diritti dell'Uomo, ma integra anche il reato di cui all'art. 3 della legge 13.10.1975, a mente del quale è punito con la reclusione sino a tre anni "chi commette atti di discriminazione per motivi...religiosi". Concludo, pertanto, evidenziando che il mio rifiuto è, innanzitutto, una reazione legittima contro atti di delittuosa discriminazione religiosa, sicché ritengo a dir poco grottesco che, anziché indagare sul conto dell'aguzzino che tenta di infilare l'ebreo nel forno crematorio -cioè di Organi istituzionali dello Stato- si indaghi sul conto dell'ebreo che si rifiuta di entrarvi.
Chiusa l'esposizione sintetica dei fatti, passo alle seguenti
C O N S I D E R A Z I O N I
Immaginate che un "negro", dopo aver vinto il concorso nell'arma dei carabinieri, si presenti nella caserma di destinazione per svolgere il proprio servizio ma che i suoi colleghi di "razza bianca", "turbati" dal colore della sua pelle, gli impediscano di entrare.
Nel mio personale codice di piccolo magistrato "meticcio" -termine che mi permetto di mutuare dal filosofo On.le Marcello Pera- un siffatto comportamento viene bollato come "discriminazione razziale", o "razzismo", sanzionabile ex art. 3 della legge 13.10.1975 n. 654 con la reclusione sino a tre anni.
Immaginate ora che il "negro" protesti con una certa energia per la discriminazione razziale subìta e che i suoi Superiori, anziché deferire i colleghi razzisti all'autorità giudiziaria e garantirgli l'accesso nella caserma con la stessa dignità e con gli stessi diritti accordati ai carabinieri di razza bianca, decidano di allestirgli un' "apposito ufficio" dove potrà esercitare -isolato e sino al pensionamento- le sue mansioni.
Nel mio codice di magistrato "meticcio" questo ulteriore comportamento razzistico viene bollato come "segregazione razziale", o "apartheid".
Immaginate ora che il nostro ostinato "negro" respinga la proposta dei Superiori e che, reagendo per legittima difesa contro questi atti di criminale discriminazione, si rifiuti di esercitare le sue mansioni di carabiniere in stato di sostanziale "segregazione razziale", cioè "confinato in un'ufficio-ghetto".
Immaginate allora che i Superiori informino il competente Procuratore della Repubblica di questo suo "rifiuto di servizio" e che il pubblico ministero, ritenendo che sia più prudente sfoggiare la forza con i deboli e la debolezza con i forti, preferisca incriminare il carabiniere "negro" per il reato di "omissione di atti di ufficio", anziché i vertici dell'Arma dei Carabinieri per il delitto di "discriminazione razziale".
Immaginate che il "negro" rimanga frastornato da questo "sviluppo" processuale e se ne lamenti con il Procuratore che lo inquisisce, ma che questi chieda il rinvio a giudizio immediato dinanzi al Tribunale, affermando che il rifiuto del "carabiniere-negro" fu "indebito", dal momento che i suoi Superiori.... "gli avevano messo a disposizione un'ufficio-ghetto"!
Immaginate che l'imputato persista caparbiamente nel reclamare la propria innocenza dinanzi al Tribunale ma che questo giudice, però, lo condanni a sette mesi di reclusione e ad un anno di interdizione dai pubblici uffici, avallando la tesi del P.M. ed evitando accuratamente di spendere una sola parola per giustificare e motivare l'esclusione della scriminante della "legittima difesa" contro gli atti di criminale discriminazione razziale di cui è stato vittima.
Immaginate, infine, che i supremi organi militari promuovano anche un'azione disciplinare contro il carabiniere "negro", contestandogli di "avere omesso di svolgere la propria attività di servizio anche dopo che i suoi Superiori gli avevano messo a disposizione un'ufficio-ghetto", e ne chiedano addirittura la sospensione cautelare dal servizio "perché il comportamento del carabiniere negro, che pretende di avere gli stessi diritti e la stessa dignità dei carabinieri di razza bianca, getta sconcerto e disorientamento nell'opinione pubblica per la sua assoluta singolarità, tanto più che il carabiniere negro ha preteso di rimanere fermo nel proprio atteggiamento con il rifiuto di riprendere il proprio lavoro anche nell'ufficio-ghetto allestitogli dai Superiori".
Dopo aver fatto galoppare la vostra immaginazione con questa mia fantasiosa storia, vi faccio una provocatoria domanda: da quale parte state, dalla parte del "carabiniere negro" -cioè della vittima del razzismo- oppure dalla parte dei suoi aguzzini razzisti e dalla parte dei magistrati che hanno avallato i loro crimini?
Ora lasciate da parte la vostra immaginazione e considerate ciò che è realmente accaduto a chi scrive, perché spesso la realtà supera -se non uguaglia- la fantasia.
Con lettera del 3.5.2005 ho chiesto, nella mia qualità di magistrato "meticcio" alle dipendenze del Ministero di Giustizia, di esporre la menorà ebraica a fianco del Sacro Crocifisso, osando in tal modo rivendicare, come ebreo, gli stessi diritti e la stessa dignità che lo Stato italiano "laico" (!?!?!) riserva alla Superiore Razza Cattolica. D'altra parte -ho ingenuamente pensato- se un "carabiniere negro" ha il sacrostanto diritto di entrare in una caserma dove lo Stato consente il pieno e libero accesso ai "carabinieri bianchi", anche un giudice ebreo avrà il sacrosanto diritto di far entrare la menorà nelle aule di giustizia, dove lo Stato consente l'accesso ai Crocifissi cattolici e, anzi, li espone a proprie spese!
Nella missiva ho peraltro sottolineato le circostanze che il Papa e gli augusti Governanti italiani avevano affermato -in coro!- che l'ebraismo era il fratello maggiore del cristianesimo e che le radici culturali dell'Europa erano giudaico-cristiane, sicché non doveva esservi alcun ostacolo a che i simboli dei "due fratelli" fossero esposti, l'uno a fianco all'altro, nelle aule giudiziarie!
L'ipocrisia di chi aveva pronunciato quelle impegnative, quanto false frasi, non ha tardato però a disvelarsi in tutta la sua disarmante realtà: il Ministro di Giustizia, infatti, ha ritenuto che l'esposizione a fianco del Crocifisso dell'"infima" menorà degli "immondi" ebrei fosse un "sacrilegio" che "turbava" la "sensibilità" dei Cattolici ed ha quindi negato l'accesso nelle aule al mio simbolo.
Posto di fronte a questa criminale discriminazione, perpetrata dallo Stato Italiano ai miei danni per motivi religiosi (e ricordo che lo stesso art. 3 della citata legge 13.10.1975 n. 654 dispone che ".....è punito con la reclusione sino a tre anni chi...commette atti di discriminazione per motivi...RELIGIOSI"), io mi sono rifiutato di esercitare le mie mansioni innanzitutto per legittima difesa, cioè per evitare di subire la discriminazione religiosa che scaturisce dal fatto che mi viene negato, per abietti motivi di disprezzo ideologico, il diritto di esporre il mio simbolo e mi viene contestualmente imposto un altro simbolo, nel quale peraltro non mi identifico e dal quale, anzi, mi dissocio per la sua millenaria storia criminale, in tal modo subendo, con nesso causale diretto ed immediato, la lesione dei miei diritti costituzionali all'eguaglianza (art. 3 Cost.) ed alla libertà religiosa (art.19).
A questo punto i miei Superiori, al fine di farmi desistere dall'astensione dalle udienze, hanno pensato bene -non già di autorizzarmi ad esporre la menorà ebraica, soluzione a loro giudizio improponibile, trattandosi dell' "immondo" simbolo del popolo che si è macchiato del crimine di "deicidio"- bensì di allestirmi un' "aula-ghetto", ovviamente priva della "sacrilega" menorà ebraica che tanto offende e tanto turba la "sensibilità" della Superiore Razza Cattolica.
Nell'ottica dei miei Superiori, dunque, io avrei dovuto lavorare in quest'aula-ghetto, completamente isolato dai colleghi e in regime di apartheid, sino al mio pensionamento!!!!!
Questo ebreo, però, anziché rientrare nei ranghi, ha "osato" opporre un "incredibile" e "sprezzante" rifiuto alla proposta di essere confinato nel "ghetto": un rifiuto che verrà poi "giustamente" qualificato come "atteggiamento di sfida nei confronti delle istituzioni" (razziste, aggiungo io), dapprima dal cattolico dott. Mario Cicala, ex Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, e, poi, dall'Avvocato Generale e dal Procuratore Generale, nella loro richiesta di mia sospensione dalle funzioni.
Il Presidente del Tribunale di Camerino ha poi provveduto ad informare, "per quanto di sua competenza", il Procuratore della Repubblica.
Il Pubblico Ministero, sorvolando a pie' pari la circostanza che il mio rifiuto integrava, in primis, una reazione di legittima difesa contro criminali atti di discriminazione religiosa perpetrati dalla pubblica Amministrazione, mi ha incriminato per il reato di omissione di atti d'ufficio, "per essermi indebitamente rifiutato di tenere le udienze a causa della presenza del crocifisso".
Dal momento che per un lapsus freudiano il P.M. si era dimenticato di considerare la motivazione principale del mio rifiuto, gli ho chiesto immediatamente di correggere il capo di imputazione, facendo risultare la Verità, e cioè che il mio rifiuto scaturiva, in prima battuta, come reazione legittima contro il discriminatorio divieto di esporre nelle aule la menorà, simbolo della religione ebraica cui avevo tra l'altro aderito al sensi della legge n. 101/1989, sicché "mi sembrava un po' grottesco che si indagasse sul conto dell'ebreo che si rifiutava di entrare in un forno crematorio, piuttosto che sul conto dell'aguzzino che lo voleva incenerire!!"
Questa richiesta di correzione è caduta nel vuoto, sicché è stata intenzionalmente obliterata una verità scomoda, e cioè che la persona che si stava indagando non era il criminale vero, ma la vittima di criminali atti di razzismo religioso perpetrati da Organi Istituzionali dello Stato italiano ("laico"!!!!).
Il P.M. ha poi chiesto il mio rinvio a giudizio con rito immediato, saltando l'udienza dinanzi al GUP.
Ho presentato allora altra memoria al Collegio giudicante, insistendo per la "correzione" dell'imputazione, e i miei legali, a loro volta, hanno chiesto in sede dibattimentale la stessa identica correzione.
Risultato? Zero.
Qualche critica da muovere? No, per carità! Anzi, debbo riconoscere che questa deliberata obliterazione della verità è stata molto "opportuna", perché sarebbe stato oltremodo imbarazzante mettere in luce i comportamenti razzistico/religiosi perpetrati ai miei danni da Organi istituzionali dello Stato italiano: senza considerare che questo avrebbe poi rappresentato anche un ostacolo insormontabile ai fini della giustificazione della condanna che mi sarebbe stata inflitta. E la riprova concreta è nel fatto che l'estensore della sentenza, il presidente-GUP dott. Carlo Tatozzi che, stando alle vigenti tabelle del Tribunale dell'Aquila, non avrebbe potuto far parte del Collegio penale (mentre avrebbe dovuto farne parte il dott. Mario Montanaro, favorevole all'applicazione dei principi sanciti dalla Cassazione nella sentenza Montagnana), non ha speso neppure la radice cubica di mezza parola per motivare perché è stata disattesa l'eccezione relativa alla scriminante della "legittima difesa".
Ebbene, in esito al processo penale, per una fortuita coincidenza anch'io sono stato condannato -come quell'immaginario "carabiniere negro"- a sette mesi di reclusione e ad un anno di interdizione dai pubblici uffici.
Per un'altra fortuita coincidenza sono stato poi anch'io sottoposto a procedimento disciplinare, su impulso dell'Avvocato Generale dello Stato, "per avere omesso di svolgere l'attività di magistrato esasperando la pretestuosa pretesa di veder rimosso il crocifisso o di esporre la menorà ebraica nelle aule di giustizia".
Sempre per un fortuita coincidenza anch'io -come il carabiniere "negro"- sono stato sottoposto alla procedura di sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio "perché il comportamento del giudice ebreo, che pretende (!!!!) di avere gli stessi diritti (!!!!) e la stessa dignità (!!!) dei dipendenti appartenenti alla Superiore Razza Cattolica, getta sconcerto e disorientamento nell'opinione pubblica per la sua assoluta singolarità, tanto più che il magistrato ebreo ha preteso di rimanere fermo nel proprio atteggiamento con il rifiuto di riprendere il proprio lavoro anche nell'aula-ghetto allestitagli dai Superiori, tenendo dunque un'atteggiamento di sfida nei confronti delle Istituzioni (razzistiche: n.d.r.) che esige un provvedimento di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio che valga a far cessare la incresciosa situazione, le cui conseguenze ricadono anche sui cittadini che chiedono giustizia".
Questa, ridotta alla sintesi più estrema, la narrazione dei fatti per i quali l'Avvocato Generale dello Stato ed il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione hanno chiesto al CSM, congiuntamente, la mia sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio.
Resto ora in attesa di verificare se la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura starà dalla parte della vittima del razzismo -cioè del "giudice ebreo"- oppure dalla parte dei razzisti che lo hanno discriminato e che lo stanno tuttora discriminando sul posto di lavoro a causa del suo credo religioso.
Nel frattempo segnalo che, forse per un lapsus freudiano, l'Avvocato Generale ed il Procuratore Generale hanno rimosso dalla memoria storica dei fatti la circostanza principale, e cioè che "io mi sono sottratto ai miei doveri d'ufficio, in via principale, perché lo Stato non mi autorizza ad esporre la menorà ebraica".
Come sopra anticipato, si tratta di una circostanza a dir poco fondamentale, perché impone molti interrogativi e molte risposte da parte degli Organi Istituzionali cattolici di questa Repubblica: interrogativi per i quali utilizzerò di qui in poi la seconda persona plurale -cioè il "voi"- senza che questo possa essere interpretato come interpello rivolto ai membri della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui ignoro i personali convincimenti religiosi.
Chiedo, pertanto, a Voi Cattolici: che cosa avete contro gli ebrei? Che cosa avete, voi Cattolici, contro la menorà ebraica? La sua visione, forse, turba la vostra sensibilità? Per quale motivo, voi Cattolici, mi avete impedito di esporre la mia menorà a fianco del vostro Crocifisso? Eppure vi avevo esplicitamente avvisato che la "mia" menorà non era razzista e, quindi, non aveva alcun problema a stare a fianco del vostro augusto Crocifisso. E allora? Perché mi avete impedito -e tutt'ora mi impedite- di esporre nelle aule la menorà ebraica? Eppure vi ho informato che questa banale autorizzazione sarebbe stata di per sé sufficiente a consentirmi di seguitare a tenere le udienze nelle aule giudiziarie. E allora, qual'era -e qual'è- il vostro problema, non il mio? Forse la visione della menorah vi crea nausea e disgusto insopportabili, come la visione della pelle nera li crea ai razzisti? Perché avete innescato la mia reazione legittima, cioè il rifiuto di tenere le udienze nelle aule dove mi veniva vietato di esporre il mio simbolo religioso e dove invece veniva consentito il libero accesso al vostro simbolo? Eppure sarebbe stato sufficiente autorizzarmi l'esposizione della menorà: sarebbero state così evitate ai "cittadini che chiedono giustizia" quelle conseguenze negative che oggi, assurdamente, tentate di addebitare al mio comportamento. Eppure sarebbe anche adesso sufficiente autorizzarmi ad esporre le mie menorà per farmi riprendere immediatamente le udienze. Però non lo fate.
Perché non lo fate? Come mai non lo fate?
Eppure l'art. 3 della Costituzione dice che "tutti i cittadini -quindi anche gli ebrei- "hanno pari dignità e sono uguali dinanzi alla legge, senza distinzione di religione". Eppure l'art. 8 della Costituzione dice che "tutte le confessioni religiose -e quindi anche l'ebraismo- sono egualmente libere davanti alla legge". Eppure l'art. 19 della Costituzione dice che "tutti -e quindi anche gli ebrei- hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto anche in pubblico". Eppure l'art. 9 della Convenzione internazionale sui diritti dell'Uomo dice che "toute personne -e quindi anche l'ebreo- a droit a la liberté de pensée, de conscience et de religion; ce droit implique la liberté de changer de religion ou de conviction, ainse que la liberté de manifester sa religion ou sa conviction individuellement ou collectivement, en public ou en privé, par le cult, l'enseignement, les pratiques e l'accomplissement des rites".
E allora? Forse la richiesta di un ebreo di esporre la propria menorà nei luoghi dove lo Stato consente ai cattolici di esporre i loro crocefissi e, quindi, di avere gli stessi diritti e la stessa dignità della Superiore Razza Cattolica, può essere qualificata -come è stata di fatto qualificata dall'Avvocato Generale dello Stato e dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione- una...........PRETESA "PRETESTUOSA"?
E' dunque "pretestuoso", per i Cattolici, che un ebreo pretenda di essere "uguale" a loro?
Complimenti!!!!!
Soprattutto complimenti al RAZZISMO !!!!!!!!!!
E non è un caso -ma si tratta al contrario della concreta attuazione di questi principi di diritto costituzionale e di diritto internazionale- che l'art. 58 del regolamento penitenziario (D.P.R. 30.6.2000 n. 230) accorda a tutti i detenuti -e quindi anche agli ebrei- il sacrosanto diritto di esporre, nella propria camera o nel proprio spazio di appartenenza, immagini e simboli della propria confessione religiosa, evitando così qualsiasi possibile discriminazione tra i credenti o assurdi "privilegi" a favore dei cattolici. Forse pensate, col vostro sarcasmo razzista, che, "grazie" alla condanna a 7 mesi inflittami dal Tribunale dell'Aquila, questo giudice ebreo si vedrà finalmente riconosciuto il diritto di esporre la sua menorà -se non proprio in un'aula giudiziaria, come richiesto- almeno in un "altro" "ambiente giudiziario", cioè nella cella? Siete proprio spiritosi.
E allora? Ripeto: cosa avete, voi cattolici, contro la menorà ebraica?
Forse condividete quello che sostengono l'Avvocato Generale dello Stato e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che cioè la mia pretesa di esporre la menorah degli ebrei "ha suscitato, per la sua assoluta singolarità, sconcerto e disorientamento nella pubblica opinione"?
Ma a quale "pubblica opinione" intendete riferirvi? Forse a quella del prof. Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, che ha pubblicamente biasimato, rispolverando la parabola del "rabban Gamliel", la vostra pretesa di esporre i crocefissi negli uffici pubblici? O per caso volete riferirvi a quella di Amos Luzzatto, presidente delle Comunità Ebraiche italiane, che ha espresso lo stesso identico giudizio critico?
Oppure intendete riferirvi agli anziani ospiti della Casa di Riposo Ebraica di Torino, con a capo la direttrice Giorgina Levi Arian, ex deputato del PCI, che mi hanno inviato il 6.6.2005 -cioè all'indomani dell'inizio della mia astensione- questa lettera -che produco- di questo testuale tenore: "Preg.mo Sig. Giudice, siamo un gruppo di ebrei anziani, ospiti della Casa di Riposo Ebraica di Torino, che unitamente a nostri amici correligionari, desideriamo esprimerLe i nostri più vivi sentimenti di ammirazione ed anche di riconoscenza per il Suo atteggiamento di deferenza nei riguardi del simbolo della nostra religione e per la fermezza dimostrata nel difendere la Sua scelta. Il rifiuto di un accostamento della Menorah al Crocifisso può significare non soltanto la decisione di non mutare una usanza oramai plurisecolare nei locali pubblici dello Stato, dalle scuole ai tribunali, ma anche il rifiuto di vedere accostati al Cristo una lampada che è sacro simbolo di coloro che per secoli furono ingiustamente accusati di "deicidio", nonostante che fossero ebrei anche Gesù Cristo e i suoi Apostoli. Unitamente alla nostra solidarietà riceva i nostri più calorosi auguri e deferenti saluti".
E allora? E' forse questa l'"opinione pubblica" cui alludono l'Avvocato Generale dello Stato dott. Antonio Siniscalchi ed il Procuratore Generale della Cassazione dott. Francesco Favara, cioè quella che sarebbe rimasta "sconcertata e disorientata dall'assoluta singolarità della mia iniziativa, che ha menomato così il "prestigio" dell'Ordine Giudiziario"?
Io ho dei notevoli dubbi su questo disinvolto giudizio, salvo che i miei detrattori non vogliano riferirsi all' "opinione pubblica" dei "criminali razzisti" che abbondano in Italia.
E se è questa l'"opinione pubblica" cui alludete, allora non posso non darvi ragione, se non altro alla luce dello "spessore" delle lettere di stampo razzistico che ho ricevuto, ad iniziare da quella ricevuta il 12.4.2005, indirizzata anche al Ministro di Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino, con la quale un cattolico, rimasto "significativamente" quanto vigliaccamente anonimo, ha con candore affermato che "la mia pretesa di affiancare al Cristo in croce il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si è macchiato di un orrendo delitto contro Dio".
E allora? Sono questi i motivi di stampo razzistico per i quali voi cattolici non gradite che la menorà ebraica possa entrare nelle aule giudiziarie ed essere affiancata al vostro Crocifisso?
Non avete ancora il coraggio di spiegare all' "opinione pubblica" i motivi della vostra idiosincrasia col simbolo degli ebrei?
Se è così, non c'è problema. Ve li spiego ora io, rispolverando e rievocando alla vostra memoria una delle più "gloriose" pagine della storia del Cattolicesimo: quella del vostro razzismo che scaturisce dalla vostra presunzione di essere i depositari della Vera "Verità" e di credere nell'Unica Religione Vera, cioè la Vostra.
Pochi sanno, "grazie" all'omertosa cortina di silenzio e di disinformazione che è stata creata ad arte per occultare all'opinione pubblica la verità sulla millenaria persecuzione razziale attuata dai cattolici ai danni degli Ebrei, che la loro persecuzione inizia nel quarto secolo e che si fonda, principalmente, sull'accusa di "deicidio" di cui essi si sarebbero macchiati con l'uccisione di Cristo. Sul conto degli ebrei furono diffuse dai cristiani le più assurde ed infami credenze ed accuse, quali quelle che il giudaismo prescriveva sacrifici rituali di cristiani e che gli ebrei impastassero la matzah, il pane azimo pasquale, col sangue dei cristiani. Queste credenze furono sovente la causa di stragi e di linciaggi di ebrei, che vennero perpetrati sino alla fine del diciannovesimo secolo.
Pochi sanno che l'idea di imporre la distinzione degli ebrei dai cristiani attraverso l'abbigliamento non è stata dei nazisti, ma di Santa Romana Chiesa: la regola, decretata nel 1215 dal IV Concilio Lateranense, imponeva un distintivo giallo da cucire sugli abiti, perché questo colore rappresentava nel Medioevo la cattiveria e l'invidia, caratteristiche attribuite agli ebrei. Pene severe erano previste per i contravventori.
Anche il confino degli ebrei nei ghetti non è un'invenzione dei Nazisti, ma una "pia" invenzione di Santa Romana Chiesa. Per la precisione, è stato grazie alla bolla papale del 1555 Cum numis absurdum che venne ordinato il confino degli ebrei nei ghetti, confino che trovava la "giustificazione" diretta nella teologia cattolica: "E' assurdo e sconveniente in massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere protetti dall'amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale gratitudine verso i cristiani".
Sarà forse utile rammentare che Papa Pio V fece dono del cimitero ebraico di Bologna alle suore del convento di San Pietro Martire, raccomandando loro di "distruggere qualunque sepolcro o cappella sepolcrale di ebrei sia morti che vivi....di prendere le iscrizioni, le memorie, le lapidi di marmo scolpite o meno, distruggendole completamente, demolendo, abradendo, raschiando e spezzando e in qualunque altra forma mutarle....ed i cadaveri, le ossa e le particole dei morti esumare e trasferire dovunque piacesse loro".
Sarà forse utile ricordare che, grazie alle criminali leggi razziali imposte dai Cattolici, gli ebrei furono costretti a vivere rinchiusi nei ghetti, con obbligo di rientrarvi prima del tramonto.
Sarà forse utile ricordare che nella Roma papale del 1814 i rabbini romani dovevano ancora comparire, durante il carnevale, vestiti di nero, con calzoni corti, con mantellina e con una sorta di cravatta, per essere dileggiati e scherniti dalla folla dei "civilissimi" e "tolleranti" "cristiani" Cattolici!
Sarà forse utile ricordare che gli ebrei erano costretti da Santa Romana Chiesa, ogni sabato pomeriggio, a recarsi ad una vicina chiesa cattolica, per presenziare a "prediche coatte" miranti alla loro conversione, durante le quali venivano infamati per la loro abietta religione e per il "crimine" perpetrato dal popolo ebreo ai danni di Cristo. Che bell'esempio di "tolleranza"!!!
Sarà forse utile ricordare che la Chiesa Cattolica diffondeva sermoni contro gli ebrei, dove essi venivano dipinti come "la peste dell'umanità, un branco di sporchi usurai e ruffiani, i quali ben meritavano la punizione divina che era loro riservata", che "gli ebrei nello Stato Ecclesiastico non erano che schiavi tollerati", che "le condizioni, sotto le quali è loro accordato un asilo dai Cristiani, sono del tutto necessarie per evitare gli effetti di una micidiale Religione".
Sarà forse utile ricordare che secondo l'editto sopra gli ebrei del 6.6.1733 dell'inquisitore domenicano di Bologna De Andujar gli ebrei dovevano rimanere nel ghetto, di notte, che non potevano leggere il Talmud né alcun testo proibito, che dovevano "gli ebrei dell'uno, e dell'altro sesso, portare il segno di color giallo, per cui vengano distinti dagli altri, e debbano sempre portarlo in ogni tempo, tanto dentro il Ghetto, quanto fuori. Gli uomini debbano portarlo sopra il cappello ben cucito sopra, e sotto la falda, senz'alcun velo o fascia.....e le donne lo debbano portare in capo scopertamente senza mettervi sopra il fazzoletto, o altra cosa, con cui venga nascosto."
Sarà forse utile ricordare che agli ebrei era fatto divieto di assumere personale cattolico alle proprie dipendenze, per evitare il rischio di contaminazione della religione cattolica.
Sarà forse utile ricordare che Santa Romana Chiesa Cattolica perpetrava abitualmente il crimine del rapimento dei bambini ebrei, che venivano sottratti ai genitori per indottrinarli coattivamente al culto della religione cattolica, sol che qualcuno asserisse di averli "battezzati" di nascosto. Sarà forse utile ricordare che uno di questi criminali rapimenti fu perpetrato dall'Inquisitore di Bologna, padre Feletti, ai danni di Edgardo Mortara, la notte del 23.6.1858, con la benedizione di Pio IX.
Questi atti criminali -che violavano le leggi di natura più elementari e che gettavano nella disperazione i genitori, che si vedevano sottrarre dagli sgherri pontifici i loro figli in tenera età- costituiscono una delle più infami pagine della storia recentissima del papato cattolico: ed è orripilante constatare come questi atti criminali, direttamente imputabili ai Papi, siano stati perpetrati a causa di superstizioni di stampo "religioso", e cioè perché si riteneva che poche gocce di acqua spruzzate da una domestica (magari ancora bambina) all'indirizzo di un bambino ebreo in fasce, con la contestuale fatidica pronuncia della "formula" del battesimo ("ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo") avesse il "magico" effetto di trasformare il piccolo ebreo in infante "cattolico", per ciò stesso da sottrarre immediatamente ai legittimi genitori per essere rinchiuso nella Casa dei Catecumeni sino a totale indottrinamento cattolico. Benito Mussolini, cioè l'Uomo inviato dalla Divina Provvidenza, farà (blandamente) tesoro di questa "prassi" criminale cattolica, sancendo in una delle leggi razziali che "Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali".
Ed è estremamente significativo che la delirante storia di Edgardo Mortara, a noi così vicina nel tempo, sia pressoché sconosciuta alla totalità degli italiani, nonostante il clamore e l'indignazione che essa sollevò all'epoca dei fatti, non solo in Italia ma soprattutto in Francia, in Inghilterra e negli Stati uniti. La nostra TV di Stato -ovviamente "laica"- ci propina continuamente fiction su Padre Pio, su San Francesco, su Don Bosco, sui Dieci Comandamenti e diffonde notizie quotidiane sul Vaticano, sui discorsi e sui precetti del Pontefice, della Conferenza Episcopale Italiana, del Cardinal Ruini e di Monsignor Tonini: la storia di Edgardo Mortara, però, è oggetto di sapiente censura, acciocché gli Italiani, ai quali "l'Olocausto viene propinato come qualcosa di inconcepibile nella sua mostruosità, non abbiano a ricercarne le radici, dopo aver letto la storia di Edgardo Mortara, in territori fin troppo vicini a noi" (Prigioniero del Papa Re -Storia di Edgardo Mortara, ebreo, rapito all'età di sei anni da Santa Romana Chiesa nella Bologna del 1858, David I. Kertzer, Rizzoli Edit.).
E non si venga a giustificare -come solitamente avviene quando si snocciolano i crimini perpetrati sotto l'ombra del Crocifisso dalla Chiesa Cattolica- che "quelli erano altri tempi": la giustificazione è ridicola e, comunque, Papa Pio IX -il Papa-Re al quale sono da imputare i crimini di razzismo e di sequestro di bambini ai danni degli ebrei, il Sillabo, nonché gli assassini dei patrioti italiani che lottarono per l'unità d'Italia, è stato addirittura recentemente "beatificato" da Carol Woityla, evidentemente a suggello di quei crimini. E val la pena di ricordare che per il criminale rapimento di Edgardo Mortara padre Feletti venne giudicato dal Tribunale Penale di Bologna "non colpevole perché l'ablazione fu fatto di Principe", cioè perché il rapimento fu opera diretta di Papa Pio IX, l'unico vero responsabile, che non pagò le pene dei suoi crimini solo a cagione delle sue vesti sacre!
E che dire del razzismo antisemita, dell'olocausto nazi-fascista e dell'assordante silenzio col quale Pio XII ha accompagnato la persecuzione, la deportazione e lo sterminio di milioni di ebrei e di rom da parte dei cattolici e dei cristiani fascisti e nazisti? Non è stato forse Pio XII a spianare la strada ad Hitler, sciogliendo le organizzazioni politiche cattoliche tedesche? Non è stata la Chiesa Cattolica ad accompagnare e ad appoggiare il nazismo e il fascismo nei loro tragitti criminali, rendendosene complice? Eppure la collusione e la commistione del potere della Chiesa col potere delle due dittature è documentata da "stupende" fotografie che hanno immortalato i vari "nunzi apostolici" e i vari vescovi e cardinali cattolici mentre, sorridenti e felici, effettuano il saluto nazi-fascista assieme ad Hitler, Goebbels, Meissner, Frick (produco la relativa documentazione, con articolo di Andrea Tarquini, Il Venerdì di Repubblica, 1997).
E non erano forse "ferventi cattolici" quei criminali fascisti che approvarono le vergognose leggi razziali? Non erano forse cattolici e cristiani gli assassini nazisti responsabili degli stermini degli ebrei e dei rom? Non vi furono forse Alti Prelati cattolici che penzolarono dalle forche, dopo il processo di Norimberga, per i crimini perpetrati ai danni dell'umanità? Non c'era forse scritto, sulle cinture delle SS, Gott mit uns, Dio è con noi? Non è forse stato Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, a dire che "tutti gli assassini dell'Olocausto erano cristiani, e che il sistema nazista non comparve dal nulla, ma ebbe profonde radici in una tradizione inseparabile dal passato dell'Europa cristiana", quelle stesse "radici" che vorreste oggi pomposamente inserire nella Carta costituzionale europea per ritrarne qualche altro "privilegio" economico? Non è stato forse Pio XII, all'indomani della liberazione di Roma da parte degli alleati, a pregare gli americani di non inserire nel picchetto di guardia del Vaticano soldati "negri", perché il colore della loro pelle turbava la "sensibilità" di Sua Santità?
E che dire dei campi di sterminio organizzati dai cattolici ustascia in Croazia, negli anni 1942-43, agli ordini del dittatore Ante Pavelic, un cattolico praticante accreditato e ricevuto regolarmente da Pio XII? In questi campi vennero soppressi serbi cristiano-ortodossi, ed anche un cospicuo numero di ebrei. Il più famigerato lager era quello di Jasenovac: il suo comandante fu Miroslav Filipovic, un frate francescano noto con l'appellativo di "Bruder Tod" (sorella morte). In questo campo gli ustascia cattolici bruciavano le loro vittime nei forni, ma vive, diversamente dai nazisti che, almeno, le uccidevano prima col gas. La maggior parte delle vittime venne comunque impiccata e fucilata: il loro numero è stimato tra i 300 e i 600mila. Molti degli ustascia erano monaci francescani e le loro nefandezze suscitarono addirittura le proteste delle SS tedesche. Pio XII, ben informato di queste atrocità, nulla fece per impedirle (A. Manhattan, The Vatican's Holocaust, Springfield, 1986).
E che dire della decisione del Sant'Uffizio, approvata da Pio XII il 20.10.1946, sui bambini ebrei accolti da istituzioni e famiglie cattoliche in Francia durante l'occupazione nazista, recentemente rinvenuta negli Archivi della Chiesa di Francia, con la quale questo Pontefice razzista raccomanda di non rispondere per iscritto alle comunità israelitiche che chiedono la restituzione dei minori e suggerisce di prendere tempo per esaminare ogni richiesta caso per caso, specificando innanzitutto che "i bambini ebrei battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l'educazione cristiana» e, quanto ai non battezzati, si sconsiglia di sottrarre gli orfani alla custodia della Chiesa per affidarli a «persone che non hanno alcun diritto su di loro», ammettendo solo la restituzione dei bambini reclamati dai loro genitori, purché i piccoli «non abbiano ricevuto il battesimo»?
Questo accadeva 60 anni fa e questo dimostra che persistete ancora nella pratica del rapimento dei bambini ebrei e nel razzismo che scaturisce dalla vostra presunzione di superiorità rispetto a tutte le altri fedi: non a caso combattete ed avversate tutt'ora, per bocca del Pontefice, il cd. "relativismo", cioè la sacrosanta libertà di credere in ciò che si vuole, ovverosia uno dei principali diritti fondamentali che le Costituzioni di tutti i Paesi civili e la convenzione sui diritti dell'Uomo riconoscono e garantiscono ad ogni essere umano!!!!!
Evidentemente credete ancora di essere gli unici esseri Superiori in grado di "sentire" i "discorsi" e le "parole" di Dio e vi arrogate ancora il privilegio di marcare coi Vostri Idoli gli edifici pubblici, cioè gli edifici che appartengono a TUTTI gli ITALIANI, per reclamarne in questo squallido modo l'uso esclusivo.
Nel mio codice di piccolo magistrato "meticcio" questi comportamenti si chiamano "RAZZISMO". E la riprova concreta del vostro razzismo è nelle reazioni di quei cattolici che, mantenendo con codardia l'anonimato, mi hanno indirizzato, all'indomani del mio rifiuto di tenere le udienze, lettere di contenuto oltraggioso, intimidatorio e razzistico, invitandomi anche a lasciare il mio posto di lavoro e ad emigrare all'estero, se non mi aggradava la presenza del vostro crocifisso.
Questa che segue è una succinta antologia degli scritti.
Segnalo che sul sito "forzanuovarimini.splinder.com", mercoledì 11 maggio 2005, la mia iniziativa viene bollata come un gesto di "ARROGANZA EBRAICA" e viene altresì diffuso il messaggio, razzistico, che nelle aule giudiziarie "sono accettate solo persone pure come nostro Signore, il Verbo, la Trinità..e poi in Europa Stelle e Stelline non sono mai state accettate".
Altro cattolico anonimo mi illustra il tipico concetto di "uguaglianza" secondo la "Fede" cattolica, e cioè: "Il Crocifisso non si tocca! Viva Il Cristianesimo! Viva il Papa! Viva il Ministro Castelli! Abbasso tutte le altre FALSE religioni!"
Altro Cattolico anonimo si diffonde in questo elegante eloquio: "Porco ateo terrorista, comunista bastardo: il crocifisso non si tocca. Se non lo vuoi, sparati, giudice del cazzo. Porco musulmano del cazzo con moglie troia, bastardo come Adel Smith. Bestemmiatore maiale, crepa".
Altro esemplare anonimo cattolico scrive: "Visto che il crocifisso ti apporta fastidio, non guardarlo, guarda il Corano, perché ti spediremo ad Allah!!.....Vuoi essere ucciso con un silenzioso ago intinto in un miscuglio di veleno....o preferisci una bella pallottolina calibro 227 o 30-06 per cinghiale, quale sei? Scegli tu, piccolo ebete! Devi sparire da Camerino e dall'Italia, e subito!! Se non l'hai fatto, fai testamento, perché la tua ora sta arrivando. Fatti scortare da Caruso, Casarini, Agnoletto, così prenderemo tre piccioni con tre fave!! Allah ti abbia in gloria!! Il tuo emigrare potrà aiutarti a salvarti, altrimenti......."
Altro anonimo cattolico: "Che Dio ti stramaledica per tutta la tua esistenza. Sei un lurido sporco uomo comunista e delinquente. Speriamo che prima possibile il crocifisso ti porti via da questo mondo.....sono secoli e secoli che il crocifisso sta lì. Tu gli vuoi cambiare posto. Fai schifo al mondo intero".
Altro anonimo: "Egregio signore, mi vergogno per lei che sia rimasto in Italia, invece di andare via in qualsiasi altro posto dove lo accoglierebbero a braccia aperte per le sue insulse idee. Vede, noi andiamo d'accordissimo con gli ebrei e con tutti, purché rispettino le nostre normative e si comportino decentemente.........bella, quella di appendere i simboli: perché non metterli tutti, poi magari si fa un'asta. Speriamo che lo Stato prenda provvedimenti al più presto...." (n.d.r.: mi complimento sin d'ora con lo "Stato" Italiano che, attraverso i suoi organi giudiziari e disciplinari, ha dato ascolto a questi "galantuomini razzisti", soddisfacendo le loro "legittime aspettative").
Altro anonimo cattolico: "Tu non puoi giudicare nessuno perché sei un rinnegato e infame. Actung: ti taglieremo quella testa di cazzo che hai".
Altro cortese anonimo cattolico: "Tosti, sei una faccia di cazzo e sei pure uno stronzo".
L'Anonima Scaracchi Lombardi della Bassa Lombarda mi scrive: "Tosto Tosti, vi do del voi come si usava fare con i lacchè ed i mezzadri perché non meritate né il nobile lei né l'amichevole tu. Siete un bambino un po' ritardato mentalmente, cocciuto e cretino. Peccato che non esista più il Tribunale del Santo Uffizio per il motivo che assisterei con piacere all'auto da fe' e conseguente rogo....."
Si firma, invece, la giornalista Ercolina Milanesi, la quale commenta così la mia pretesa di esporre la menorà: ""Ma è possibile che ci si mettano anche gli ebrei a contestare il nostro crocifisso? Ma non si rende conto, questo giudice, che il nostro governo è sì laico, ma la nostra cultura, la nostra religione, nessuno, dico nessuno, si può permettere di contestare? Tutti coloro che non si trovano bene nel nostro paese, che hanno pretese assurde, perché non se ne vanno nei paesi più consoni alla loro natura? Che un magistrato si abbassi al livello di Smith è vergognoso, sospendere il suo lavoro per il nostro crocifisso, meriterebbe un solo gesto: licenziamento in tronco, perché siamo italiani, siamo cattolici e il nostro simbolo deve rimanere dove è sempre stato. Quando saliranno al potere i comunisti, tutti dovranno divenire atei...ma non si illuda che possa comparire in aula la menorah ebraica. Il razzismo, caro giudice, lo avete creato voi con l'olocausto e create, imperterriti, nel vostro odio viscerale contro gli islamici, stessa razza, e verso i cattolici......Finalmente giustizia è stata fatta! Il suo comportamento non è stato certamente degno di un tutore della legge. Se lei è ebreo, perché non va ad abitare in Israele, così potrà vedere il suo simbolo in ogni luogo? Lei vive in Italia, esercita in una nazione sì laica, ma con profonde radici cristiane cattoliche. Solo lei, Luigi Cascioli e Adel Smith (persone molto colte ed intelligenti....) avete contestato il crocifisso, mai nessuno, neppure i comunisti, hanno osato tanto.......Chi le scrive è una giornalista......io rispetto tutto e tutti, tutte le religioni e mai andrei in Israele o in un paese musulmano e pretenderei di far togliere il loro simbolo, anche perché sarei subito uccisa.....Inoltre, quando non ci si trova bene in un posto, se si è persone oneste e degne di rispetto (parole per lei aliene) SI DANNO LE DIMISSIONI e si parte per la nazione amata. Comodo lucrare sul popolo e pretendere che, per far piacere a lei, noi cattolici si debba togliere il nostro crocifisso per non disturbare la sua mente".
Altro cattolico: "E' ora di finirla con queste baggianate! Il crocifisso è un simbolo anche culturale....se non è conforme a questa società se ne vada in un altro paese..."
Ebbene, sarebbero questi gli "augusti soggetti" che compongono la prestigiosa '"opinione pubblica che sarebbe rimasta sconcertata e disorientata dal mio rifiuto di tenere le udienze a causa del divieto di esporre i miei simboli a fianco del crocifisso"?
Dunque, è di questi razzisti-codardi, che non hanno neppure il coraggio di firmarsi, che le Istituzioni Italiane si fanno paladine? Non posso che complimentarmi di tutto ciò.
Così non la pensano, però, quelle migliaia di persone, moltissime cattoliche, ma realmente laiche, che mi hanno inondato di lettere e di e.mail per ringraziarmi per la mia iniziativa e per la difesa della laicità.
E non è un caso che il prof. Nicola Fiorita, docente presso l'Università di Firenze, ha avallato appieno la legittimità del mio comportamento in un'intervista che è stata pubblicata sul sito http://canali.libero.it/affaritaliani/fioritalaicitas.html, ben prima della mia condanna. Così si è espresso il cattedratico:
Professore, ma allora un giudice può rifiutarsi di giudicare se in aula c'è il crocifisso?
"Il giudice Tosti sta conducendo una battaglia molto limpida. Il problema non è soltanto limitarsi a capire se può rifiutarsi, semmai se la presenza del crocifisso sia legittima o meno. Sta combattendo una battaglia limpida perché altrettanta limpidezza non c'è nei provvedimenti che si sono accavallati nel corso degli anni sul crocifisso".
Ci fa un esempio?
"Ne faccio due. Da una parte ci sono una serie di atti della P.A., circolari del Ministero della Giustizia, per i quali la circolare d'epoca fascista che prevedeva la presenza del crocifisso nelle aule dei tribunali è ancora in vigore. Dall'altra parte, l'Amministrazione della Giustizia ha previsto per il giudice Tosti un'aula senza crocifisso, come se il crocifisso non fosse legittimo.
E allora?
"E allora delle due l'una: o il Crocifisso è legittimo, e quindi non è legittimo fare un'aula apposta per Tosti, oppure è illegittimo e dunque vanno rimossi tutti.
Quello che vorrei dire sulla vicenda del giudice Tosti, è questo: sino al 2004 tutta la dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate della presenza del crocifisso negli spazi pubblici sosteneva o la violazione del principio di laicità dello Stato, e quindi la rimozione, oppure la compatibilità con il principio di laicità "positiva italiana": in altre parole c'è spazio per tutti i simboli religiosi.
Quello che invece emerge in questa vicenda è che è stato impedito al Tosti di rimuovere il crocifisso e di esporre un simbolo religioso accanto ad esso. Voleva infatti esporre la menorah ebraica. Quello che sconcerta è che sia stato negato anche questo".
Chiuso questo primo argomento che, pur essendo di per sé dirimente, è stato deliberatamente obliterato dall'Avvocato Generale e dal Procuratore Generale, passo ad esaminare l'altra questione, quella relativa al mio rifiuto, motivato dalla presenza obbligatoria dei crocefissi nelle aule giudiziarie e, quindi, dalla "libertà di coscienza".
L'Avvocato Generale ed il Procuratore Generale liquidano l'intera questione con l'apodittica affermazione che "il preteso inadempimento da parte dello Stato, che continua a non rimuovere dalle aule di udienza i crocefissi, non può giustificare da parte mia l'astensione dalle udienze, così come non potrebbe giustificarla una qualsiasi altra ragione eventualmente pur legittima con riferimento a posizioni o comportamenti dello Stato in ordine a diverse apprezzabili problematiche, come la partecipazione ad atti di guerra, provvedimenti razziali etc., che restano estranee agli obblighi derivanti da un rapporto di impiego, tanto più che io mi rifiuto di tenere le udienze anche nelle aule-ghetto appositamente allestite per me".
Questa motivazione sconcerta per tre motivi:
1. perché non tiene minimamente conto dell'esistenza e dei principi giuridici affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza penale del 1.3.2000 n. 4273 (Montagnana), nonché da tutte le pronunce della Corte Costituzionale su cui la stessa si fonda;
2. perché la Procura Generale confonde l' "obiezione di coscienza" con la "libertà di coscienza";
3. perché addirittura legittima il mio confino e la mia ghettizzazione nell'ambiente di lavoro, cioè una discriminazione religiosa che, come minimo, offende la mia dignità di essere umano.
Tra le possibili cause della disapplicazione della sentenza Montagnana mi permetto di segnalare l'ultima, cioè quella suggeritami da un mio superiore (cattolico) che, nell'imminenza del mio processo dinanzi al Tribunale penale dell'Aquila, mi ha chiesto (debbo oggi riconoscere con lungimiranza): "Ma ti fidi della sentenza della Cassazione penale sul caso Montagnana?"
Gli ho risposto: "Perché non dovrei fidarmi?" Risposta: "Ma non ti sei accorto: l'ha scritta una donna!"
Mia moglie -alla quale ho poi raccontato l'episodio- mi ha detto: "Ma se le sentenze della Cassazione si dividono in sentenze di serie A -quelle scritte dai maschi- e sentenze di serie B -quelle scritte dalle femmine- perché non si adotta la precauzione di scrivere queste ultime con un inchiostro di colore particolare, magari rosa, per mettere in guardia i cittadini?".
Io mi permetto di dubitare sul fatto che la Procura Generale presso la Corte di Cassazione abbia obliterato la sentenza n. 4273/2000 perché il giudice estensore fu una donna: mi permetto, comunque, di segnalare che la sentenza Montagnana è stata in realtà scritta da un uomo, e cioè dal dott. Nicola Colaianni, attualmente titolare della cattedra di Diritto Ecclesiastico presso l'Università degli Studi di Bari e, quindi, da un luminare del diritto.
Ciò premesso, ricordo, per l'ennesima volta, il "caso" Montagnana, deciso dalla Corte di Cassazione penale con la sentenza 1.3.2000 n. 4273.
Il Dott. Marcello Montagnana venne nominato "scrutatore di seggio". Dal momento che l'amministrazione dell'Interno era solita utilizzare, come seggi elettorali, le aule scolastiche ed altri edifici pubblici dove era già esposto il crocifisso, il dott. Montagnana inoltrò all'amministrazione dell'Interno una richiesta scritta con la quale la invitò a rimuovere tale simbolo da tutti i seggi italiani, perché lesivo del principio costituzionale della laicità dello Stato (affermò cioè che sarebbe stato costretto ad esercitare le sue pubbliche funzioni in modo non imparziale, non neutrale e non equidistante nei confronti degli elettori) e dei suoi diritti all'eguaglianza ed alla libertà religiosa (in quanto sarebbe stato costretto ad identificarsi -nell'esercizio di quelle funzioni pubbliche- con un simbolo religioso nel quale non si identificava affatto).
Non avendo il Ministro aderito alla richiesta di rimuovere i crocifissi, il dott. Montagnana si rifiutò di esercitare l'ufficio di scrutatore, ben sapendo che questo rifiuto integrava, per legge, un reato. Il prof. Montagnana venne dunque sottoposto ad un procedimento penale che si è articolato in ben 5 gradi di giudizio.
Con l'ultima sentenza (la n. 4273/2000) la Cassazione penale ha mandato definitivamente assolto il prof. Montagnana con questa motivazione:
1°) tutte le norme regolamentari della dittatura fascista, relative all'ostensione del solo crocifisso nei locali pubblici in genere e, specificatamente, nelle scuole e nelle aule degli uffici giudiziari, si debbono ritenere tacitamente abrogate ex art. 15 preleggi dalla data di entrata in vigore della Costituzione (1948) o, quanto meno, dalla revisione del Concordato (1984), perché assolutamente incompatibili col principio supremo della laicità dello Stato, perché incompatibili col diritto di eguaglianza dei cittadini senza distinzione religiosa (art. 3), perché incompatibili col diritto all'eguaglianza ed alla pari dignità di tutte le confessioni religiose, perché incompatibili col diritto libertà di religione e di credo di ogni cittadino, perché incompatibili con la convenzione europea sui diritti dell'uomo;
2°) di conseguenza, il rifiuto di adempiere l'ufficio di scrutatore deve ritenersi "giustificato", trattandosi di una "reazione" avverso un comportamento ILLEGITTIMO del Ministero dell'Interno, il quale È VENUTO MENO ALL'OBBLIGO di rimuovere da TUTTI i seggi elettorali il simbolo del crocifisso, così violando, con nesso causale diretto, il principio supremo della laicità dello stato e tutti i diritti costituzionali sopra menzionati del Montagnana.
Va subito rimarcato che la Corte ha assolto il Montagnana SOLO perché ha ritenuto che l'Amministrazione statale, omettendo di rimuovere i crocifissi da tutti i seggi elettorali, aveva violato il supremo principio della laicità dello Stato ed aveva violato i conseguenti diritti di eguaglianza e di libertà religiosa del Montagnana, così costringendolo, per reazione legittima, al rifiuto delle funzioni. Se la Cassazione avesse ritenuto che l'ostensione del crocifisso non ledeva il principio supremo di laicità dello Stato e i diritti di eguaglianza e di libertà religiosa del Montagnana, non vi sarebbe spazio alcuno per l'assoluzione.
Se, ad esempio, il Montagnana si fosse rifiutato di adempiere quel munus obbligatorio, lamentando la circostanza che gli elettori potevano presentarsi a votare nel seggio col crocifisso al collo, questa sua personale "avversione" per il crocifisso non avrebbe integrato alcuna esimente, dal momento che ai cittadini è riconosciuto il diritto di manifestare pubblicamente la propria fede (art. 19) e, per altro verso, alla P.A. non può essere imputato alcun obbligo di impedire agli elettori di esibire i crocifissi al collo. Parimenti, se il Montagnana si fosse rifiutato di fare lo scrutatore a causa della presenza della bandiera nazionale o del ritratto del Presidente della Repubblica, questa motivazione non lo avrebbe esonerato dalla condanna, dal momento che quei due "simboli" identificano l'unità nazionale e, dunque, non violano né il principio di laicità né i diritti di libertà religiosa e di eguaglianza ma, anzi, li confermano appieno.
Pertanto il prof. Montagnana non sollevò un caso di "obiezione di coscienza" -cioè non disse: mi rifiuto di fare lo scrutatore perché si tratta di un' "attività" contraria ai miei convincimenti morali- bensì pretese -al fine di rendere l'attività di scrutatore conforme al supremo principio di laicità ed evitare, ad un contempo, di subire la lesione dei propri diritti di libertà di coscienza religiosa (art. 19) e di eguaglianza (art. 3)- che l'Amministrazione disciplinasse lo svolgimento delle operazioni elettorali in un modo diverso, cioè rimuovendo i crocifissi da tutti i seggi, preannunciando che, in caso contrario, sarebbe stato costretto a rifiutarsi di adempiere quel munus obbligatorio, perpetrando così il reato di cui all'art. 108 DPR 361/57.
Non si può dunque parlare, tecnicamente, di un'ipotesi di "obiezione di coscienza", laddove l'obiettore manifesta un totale dissenso nei confronti di un obbligo di legge, motivandolo con propri convincimenti personali. Tale, ad esempio, è il caso di chi si rifiuta di adempiere il servizio militare, perché sostiene che il servizio militare dovrebbe essere bandito. Tale sarebbe il caso del medico che si rifiutasse di effettuare trasfusioni di sangue, perché contrarie ai dogmi della propria religione. Tale sarebbe il caso di colui che si rifiutasse di pagare le tasse, perché contrario ai propri principi morali.
Come appare evidente, in tutti i casi di "obiezione di coscienza" il "rifiuto" di adempiere un'attività doverosa è motivato da una negazione assoluta della sua liceità, perlopiù fondata su motivazioni ideologiche, sicché il rifiuto che viene opposto si trasforma in un'assurda pretesa di "esonero" dall'attività doverosa e, quindi, di "privilegio" rispetto agli altri consociati. In altre parole, chi si rifiuta di fare il servizio militare pretende di essere esonerato dal servizio di leva obbligatorio, facendolo però ricadere sugli altri cittadini. Alla stessa stregua, il medico che si rifiuta di fare le trasfusioni, pretende anch'egli di essere esonerato da quell'attività medica, che dovrà però essere espletata dagli altri colleghi. Infine, il cittadino che si rifiuta di pagare le tasse pretende di essere esonerato dalle imposte che, però, dovranno essere versate dagli altri cittadini.
E' per questo che la Corte Costituzionale ha sempre escluso che l'"obiezione di coscienza" possa avere un qualche rilievo giuridico, cioè possa legittimare il "rifiuto" di adempiere un obbligo giuridico, salvo che non vi sia una legge particolare che attribuisca rilevanza all' "obiezione": e questo accade, ad esempio, nel caso dell'obiezione al servizio di leva.
Del tutto differente è, invece, l'ipotesi della "libertà di coscienza", nella quale il "rifiuto" non scaturisce affatto dalla negazione assoluta della liceità dell'attività doverosa (che al contrario non viene minimamente contestata) bensì dalla prospettazione della ILLEGITTIMITÀ delle MODALITÀ imposte dalla legge o dall'autorità amministrativa per l'adempimento di quell'attività obbligatoria: ILLEGITTIMITÀ che determina poi, con nesso causale immediato e diretto, la lesione di diritti del soggetto obbligato e/o di terze persone, tale da giustificarne il RIFIUTO.
In altre parole: per non subire la lesione di diritti miei, o per non ledere diritti altrui, sono costretto a rifiutarmi di adempiere un'attività doverosa, ricalcando un paradigma che rispecchia, in sostanza, la legittima difesa prevista dall'art. 52 del C.P.
Colui che oppone un rifiuto per "libertà di coscienza", dunque, non intende affatto sottrarsi all'adempimento di un'attività doverosa né, tantomeno, pretende il privilegio di esserne "esonerato", ma pretende soltanto che siano eliminate e/o corrette quelle modalità esecutive che determinerebbero, altrimenti, la lesione di diritti propri o altrui.
La "libertà di coscienza" consiste, dunque, in un "rifiuto di atti doverosi, motivato dalla necessità di evitare la lesione di diritti inviolabili che conseguirebbe dall'adempimento di quella attività doverosa".
In altre parole, chi rifiuta l'atto doveroso per "libertà di coscienza" si detta questo proposito: "io mi rifiuto deliberatamente di adempiere l'atto che mi viene imposto solo perché, se lo facessi, lederei diritti inviolabili miei o di altri soggetti". E' come se dicesse: eliminate le modalità esecutive che pregiudicano i miei diritti, ed io non avrò problemi ad adempiere i miei doveri.
E in questi stessi termini si era infatti espressa la III Sez. della Corte di Cassazione penale nella sent. di annullamento con rinvio del 13.10.1998-4.1.1999 n. 10, laddove era stato fissato il principio che "la libertà di coscienza ricorre soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta, ha un contenuto contrastante con l'espressione della libertà stessa, in modo diretto e con vincolo di causalità immediata".
E la casistica di cui la giurisprudenza si è occupata dà piena conferma di tutto ciò.
Ad esempio, il teste che si rifiutò di prestare il giuramento a causa dei riferimenti alla Divinità contenuti nella formula di giuramento e che, pertanto, fu incriminato del reato previsto e punito dall'art. 366 del codice penale ("la persona, chiamata a deporre come testimone dinanzi all'autorità giudiziaria, che rifiuta di prestare il giuramento, è punita con la reclusione sino a sei mesi.."), non oppose un rifiuto perché intendeva contestare in senso assoluto l'obbligo di testimoniare (cioè non disse: non voglio testimoniare perché la testimonianza è contraria ai miei convincimenti personali), ma contestò soltanto la liceità delle modalità che gli venivano imposte, per legge, con la formula del giuramento: e questo perché la formula conteneva riferimenti a Dio e, quindi, ledeva il suo diritto costituzionale alla libertà religiosa.
E' per questo che la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale della norma processuale che contemplava la formula del giuramento, ritenne che il rifiuto del teste fosse stato legittimato dall' "obiezione di coscienza", dal momento che quella norma processuale, imponendo di giurare in nome di Dio, ledeva il diritto di libertà religiosa del teste: pertanto il suo "rifiuto", pur integrando il reato di cui all'art. 366 C.P., fu ritenuto non punibile, perché giustificato dalla necessità di preservare e difendere il proprio diritto soggettivo costituzionale alla libertà religiosa.
Le stesse identiche considerazioni sono state ritenute valide per il caso del prof. Montagnana: il suo rifiuto non fu infatti dettato da una sua particolare idiosincrasia con l'obbligo di adempiere l'incarico di scrutatore, ma solo dall'illegittimità delle modalità con le quali l'Amministrazione dell'Interno provvedeva (e tutt'ora provvede!!!!) a disciplinare lo svolgimento delle operazioni elettorali, cioè omettendo di rimuovere dai seggi i crocifissi che, in quanto simboli religiosi, ledevano il principio supremo di laicità dello Stato (e, quindi, l'obbligo di imparzialità e neutralità dello stesso Montagnana) nonché i suoi diritti costituzionali all'eguaglianza ed alla libertà religiosa.
Queste stesse identiche considerazioni, dunque, debbono valere per il "mio" caso, che è esattamente identico: anche io, infatti, non mi sono rifiutato di tenere le udienze perché ritengo che si tratti di un'attività contraria a qualche mio astruso convincimento morale, ma solo e soltanto a causa delle illegittime modalità con le quali lo Stato allestisce le aule di udienze, addobbandole di crocefissi che determinano, con nesso causale immediato e diretto:
1°). la lesione delle mie prerogative costituzionali di imparzialità e indipendenza (anche io, seppur indegnamente, sono un giudice e, quando giudico, voglio essere imparziale e non intendo, dunque, identificarmi in un simbolo religioso partigiano);
2°). la lesione del mio diritto costituzionale all'eguaglianza (che implica il diritto a non essere discriminato);
3°). la lesione del mio diritto costituzionale alla libertà religiosa (che implica sia il diritto a non dovermi identificare in nessun simbolo, sia il diritto ad essere tenuto lontano da simboli religiosi, tra l'altro non graditi).
E allora mi chiedo: perché mai l'Avvocato Generale e la Procura Generale presso la Corte di Cassazione affermano che "il supposto inadempimento da parte dello Stato, che continua a non rimuovere dalle aule di udienza il crocefisso, non giustifica il mio rifiuto di tenere le udienze". Perché?
Ma non è stata forse la Cassazione penale, con la sentenza 1.3.2000 n. 4273, a stabilire l'esatto contrario, che cioè costituisce giustificato motivo del rifiuto di espletare l'incarico obbligatorio di scrutatore il mancato adempimento, da parte dello Stato, dell'obbligo di rimuovere i crocefissi da TUTTI i seggi elettorali?
E allora? Per quale motivo i miei accusatori ritengono che i principi di diritto affermati dalla Cassazione nella sentenza Montagnana non sono validi per il mio "caso" e che, anzi, è del tutto superfluo valutare se i motivi da me addotti siano o meno fondati, cioè se lo Stato è venuto realmente meno all'obbligo di rimuovere i crocefissi?
In attesa di ricevere chiarimenti sul punto, debbo segnalare che il Tribunale dell'Aquila è dovuto ricorrere -per giustificare la mancata applicazione al mio caso dei principi sanciti dalla Cassazione nel processo Montagnana- ad una motivazione a dir poco assurda.
Il Tribunale ha infatti affermato che, mentre la norma violata dal Montagnana -cioè l'art. 108 D.P.R. 30.3.1957 n. 361- prevede la possibilità di rifiutarsi di espletare l'incarico di scrutatore "se ricorre un giustificato motivo", la norma da me violata -cioè l'art. 328 del codice penale- non prevede che il pubblico ufficiale possa rifiutare un atto del suo ufficio "per giustificato motivo", sicché l'esimente della "libertà di coscienza", ritenuta sussistente nel caso del prof. Montagnana, non è applicabile nell'ipotesi del reato di omissione di atti di ufficio.
La motivazione sconcerta, innanzitutto perché l'art. 328 del codice penale sancisce che la punibilità del reato è subordinata alla circostanza che il rifiuto del compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale sia "indebito", e cioè che non sussista un giustificato motivo di rifiuto: pertanto, le due ipotesi sono esattamente identiche, anche dal punto di vista lessicale.
Tutto questo era stato peraltro rappresentato in modo chiaro ed esplicito al Tribunale dell'Aquila, al quale era stata anche depositata copia integrale della sentenza 20.6.2000 (6.4.2000) n. 7281 della Cassazione penale, Sez. VI, Lo Presti ed altri (conforme a Cass. pen., Sez. VI, 11.2.1999), con la quale la suprema Corte aveva statuito che "in tema di rifiuto di atti di ufficio di cui al primo comma dell'art. 328 C.P., il carattere indebito del rifiuto non è ravvisabile quando il compimento dell'atto determini la lesione di diritti costituzionalmente garantiti del soggetto agente".
Peraltro, il caso concreto esaminato dalla Cassazione riguardava due funzionari di polizia che si erano rifiutati di ricevere una denuncia penale a loro carico: la Cassazione li ha addirittura assolti perché, "se avessero ricevuto quella denuncia a loro carico, l'Autorità giudiziaria li avrebbe poi incriminati e, quindi, avrebbero agevolato il corso della giustizia contro se stessi, ledendo il loro diritto soggettivo alla difesa, tutelato dall'art. 24 della Costituzione". In sostanza, la Cassazione ha ritenuto che sia addirittura legittimo che un pubblico ufficiale, per impedire che si proceda penalmente a proprio carico per un reato commesso in precedenza, possa rifiutarsi di ricevere la denuncia penale che la parte offesa intende presentare contro di lui, in tal modo assicurandosi... l'impunità.
E' evidente che nel caso dei due funzionari di polizia la Cassazione ha ritenuto "giustificato" il loro rifiuto, anche se indirizzato contro un atto pienamente legittimo: l'atto di denuncia, infatti, era pienamente "legittimo". A maggior ragione, dunque, si imponeva l'applicazione di questi stessi principi al mio caso, dal momento che il mio rifiuto scaturisce addirittura dalla illegittimità del comportamento dello Stato, il quale omette di rimuovere i crocifissi dalle aule, così cagionando in modo intenzionale e consapevole la lesione del principio di laicità e, inoltre, la lesione di miei diritti costituzionali.
Ebbene, il Tribunale aquilano, presieduto dal GUP, ha invece visto bene di disapplicare queste sentenze della Cassazione e, pertanto, mi ha tranquillamente condannato a sette mesi di reclusione e ad un anno di interdizione dai pubblici uffici.
Domando: è forse regolare il comportamento del giudice che disattende i principi di diritto affermati dalla Cassazione, determinando in questo modo la condanna di un imputato che, altrimenti, avrebbe dovuto essere assolto?
Ovviamente i fautori del Crocifisso gioiranno di questa performance giudiziaria, perché per Loro il fine giustifica i mezzi.
Io la penso però in un modo un po' diverso. Non disconosco, infatti, il diritto dei giudici di merito di dissentire dalle pronunce della Cassazione, cioè del Giudice che è istituzionalmente preposto alla funzione nomofilattica: in questi casi, tuttavia, il giudice di merito ha l'obbligo di motivare le ragioni del proprio dissenso, cioè di spiegare perché, a suo giudizio; i Giudici della Suprema Corte avrebbero sbagliato o detto delle sciocchezze. In caso contrario, infatti, si cade nel puro arbitrio, dietro il quale è più che legittimo sospettare che si celi la prava volontà di condannare un innocente.
Ebbene, nel mio caso l'estensore Presidente dott. Tatozzi si è ben guardato dallo spendere una sola sillaba per spiegare le ragioni del suo dissenso dalle sentenze della Cassazione, che pur gli sono state depositate ed illustrate dai miei difensori. E allora? E' tutto regolare? Complimenti!
Ma non è tutto. Va in ogni caso considerato, infatti, che la "libertà di coscienza" è una scriminante e, come tutte le "scriminanti", si applica in via generale a qualsiasi reato: questo per un elementare principio di "diritto penale".
Ebbene, nella mia memoria difensiva avevo evidenziato che la Cassazione penale aveva applicato l'esimente del "giustificato motivo" soltanto perché l'art. 108 D.P.R. 30.3.1957 n. 361 prevedeva espressamente questa scriminante: nel caso in cui essa non fosse esistita, tuttavia, era stata la stessa Corte di Cassazione che aveva ventilato, in modo esplicito, la necessità di sollevare una vera e propria eccezione di incostituzionalità.
Così si era espressa, infatti, la Corte di Cassazione al punto 9 della motivazione: "la libertà di coscienza.... va tutelata nella massima estensione compatibile con altri beni costituzionalmente rilevanti e di analogo carattere fondante, come si ricava dalle declaratorie di illegittimità costituzionale delle formule del giuramento...: ma, nel caso, non si pongono problemi a livello costituzionale, giacché il bilanciamento degli interessi è già assicurato nella previsione della clausola penale del giustificato motivo".
Il che, argomentando a contrario, significa due cose:
A che l'esposizione del solo crocifisso lede i diritti inviolabili (libertà di coscienza) dello scrutatore (e, quindi, necessariamente di qualsiasi altro funzionario e dipendente pubblico, ivi incluso il "magistrato" Tosti Luigi);
B che, se l'art. 108 del DPR n. 361/1957 non avesse contemplato la clausola del "giustificato motivo", la Corte sarebbe stata costretta a valutare la necessità di sollevare un eccezione di incostituzionalità della norma (o di disapplicarla), in quanto lesiva dei diritti inviolabili dello scrutatore.
E nella memoria si era anche rimarcato che la riprova concreta della bontà di queste argomentazioni era rappresentata proprio dalla giurisprudenza costituzionale che si era interessata dei vari casi di "libertà di coscienza" e, in particolare, del caso del teste che si era rifiutato di prestare il giuramento a causa dei riferimenti a Dio contenuti nella formula.
Si evidenzia che in questo caso la norma penale -cioè l'art. 366 del codice penale- non prevede affatto la clausola del "giustificato motivo", e cioè che il teste possa "rifiutarsi di testimoniare per giustificati motivi": tuttavia la Corte Costituzionale ha applicato anche in questo caso i principi della "libertà di coscienza", sancendo l'illegittimità costituzionale delle norme processuali che imponevano di giurare in nome di Dio.
E' quindi assolutamente falso l'assunto del Tribunale aquilano, secondo il quale l'esimente della "libertà di coscienza" può essere applicata solo se la norma incriminatrice contempla espressamente la clausola del "giustificato motivo".
Altrettanto infondata è, dunque, l'affermazione del Tribunale dell'Aquila secondo cui "il Tosti era obbligato a svolgere le sue ordinarie funzioni giurisdizionali (di pari, se non superiori, rango e rilievo pubblicistici, rispetto a quelle dello scrutatore) per le quali non è previsto da parte del legislatore alcun "giustificato motivo" atto a legittimarne il rifiuto".
Questa petizione di principio è tra l'altro smentita anche da FATTI e CIRCOSTANZE, tanto eclatanti quanto usuali e ricorrenti, che il Tribunale aquilano ha stranamente omesso di considerare.
Si consideri, ad esempio, che è sovente accaduto che i magistrati italiani si siano rifiutati di "svolgere le loro ordinarie funzioni giurisdizionali" in occasione di scioperi, molto spesso neppure giustificati da motivazioni connesse col rapporto d'impiego e, quindi, illegittimi: "guarda caso", però, nonostante siano "saltate" le udienze e nonostante siano stati provocati ai cittadini disagi infinitamente superiori a quelli arrecati dalla parziale astensione dello scrivente, nessun pubblico ministero si è sognato di incriminare questi magistrati per il reato di omissione di atti di ufficio. Come mai?
Il motivo è evidente e risiede nel fatto che si è applicata l'esimente dell'esercizio del diritto (nella specie: di sciopero), prevista in via generale dall'art. 51 del codice penale: il che smentisce l'assunto del Tribunale dell'Aquila, che cioè l'obbligatorietà dello svolgimento delle attività giurisdizionali da parte dei giudici sia imposto dal legislatore in modo assoluto, senza che cioè sussista alcun "giustificato motivo" atto a legittimarne il rifiuto.
Ma non è tutto. Anche il magistrato che si rifiuta di tenere le udienze, perché ammalato o perché degente, non incappa nel reato di omissione di atti di ufficio: anche qui esiste infatti l'esimente della tutela del diritto alla salute, cioè del diritto garantito dall'art. 32 della Costituzione. Parimenti, se il Ministro di Giustizia imponesse l'addobbo delle aule giudiziarie con crocifissi radioattivi, chi potrebbe negare ai magistrati e agli altri dipendenti pubblici il sacrosanto diritto di astenersi dalle udienze, per tutelare il diritto alla salute compromesso dalle mortali radiazioni?
E allora? Se è perfettamente lecito che un magistrato si rifiuti di tenere le udienze per tutelare il proprio diritto costituzionale alla salute, per quale cervellotico motivo al dott. Tosti sarebbe inibito rifiutarsi di tenere le udienze per tutelare -oltre che le proprie prerogative costituzionali di indipendenza e di imparzialità- anche i propri diritti costituzionali all'eguaglianza e alla libertà religiosa? Non sono anche "questi" dei diritti costituzionali? Oppure qualcuno vuole sostenere che esistono diritti costituzionali "grassi" e diritti costituzionali.... "magri"?
Tutte queste considerazioni dovrebbero far capire che l'applicazione dell'esimente della "libertà di coscienza" non può essere subordinata alla previsione "esplicita" della clausola del "giustificato motivo", ma soltanto alla concreta ricorrenza dei suoi presupposti: e cioè che il rifiuto dell'attività doverosa sia giustificato dalla necessità di tutelare diritti propri o altrui, che altrimenti verrebbero lesi dalle modalità esecutive di quell'attività doverosa.
Alla luce di queste considerazioni appare evidente l'errore commesso dalla Procura Generale allorché ha equiparato la motivazione del mio rifiuto, legata all'imposizione del crocifisso, agli ipotetici rifiuti motivati dalla "partecipazione dello Stato ad atti di guerra" o dall'emanazione di "provvedimenti razziali" da parte dello Stato.
Il confronto è palesemente improponibile per la prima ipotesi, perché il magistrato che si rifiutasse di tenere le udienze perché l'Italia partecipa ad azioni di guerra non attuerebbe né un'obiezione di coscienza né, tanto meno, un caso di libertà di coscienza, ma una protesta assurda e del tutto priva di un nesso causale, immediato e diretto, che la colleghi alle proprie mansioni di giudice.
Per la seconda ipotesi, invece, il discorso è diverso.
Ignoro se la Procura Generale e l'Avvocato Generale abbiano inteso, con questo "esempio", richiamare il comportamento tenuto dalla Magistratura italiana durante il ventennio fascista nei confronti delle infami leggi razziali -che contribuirono a far applicare- nonché della deportazione e dello sterminio degli ebrei: se così fosse, l'esempio sarebbe tutt'altro che felice, perché la Magistratura Italiana non si distinse certo, in quei frangenti, per il suo "coraggio", bensì per l' "assordante silenzio" e per l' "ignavia" con le quali ignorò, pilatescamente, la tragedia della discriminazione razziale e dell'olocausto degli ebrei.
Fatta questa doverosa puntualizzazione, mi corre peraltro l'obbligo di precisare che, se il Ministro di Giustizia emanasse un'ipotetico "provvedimento razziale", per esempio una circolare con la quale venisse imposto agli imputati ebrei e negri di presenziare alle udienze in mutande e seduti su sedie elettriche fornite dal Ministero, io -per quel che mi riguarda- mi rifiuterei di tenere le udienze: e questo per la stessa "libertà di coscienza" fatta sin qui valere, cioè quella che scaturisce dal ripudio e dalla mia persona avversione verso qualsiasi forma di discriminazione razziale o religiosa, anche se attuata nei confronti di terze persone.
E non sarei minimamente disposto ad accettare che questo mio "comportamento" possa essere censurato -magari seguendo la stessa ottica dell'Avvocato Generale dello Stato e del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione- "perché determina, per l'assoluta singolarità, sconcerto e disorientamento nella pubblica opinione italiana": solo i magistrati vigliacchi e che aspirano a far carriera potrebbero piegarsi, supinamente, all'imposizione di siffatti provvedimenti razziali da parte del Ministro.
La mia -come diceva Giorgio Gaber- è una scelta di "partecipazione": io ho ritenuto -anche se in perfetta solitudine- di dover difendere il principio supremo di laicità della Costituzione Repubblicana, sia in relazione alle lesioni delle mie prerogative costituzionali di indipendenza, di imparzialità e di neutralità da parte del Ministro di Giustizia, sia in relazione alla lesione dei miei diritti costituzionali di eguaglianza e di libertà religiosa.
Se di "sfida alle istituzioni" si vuol parlare, la mia può essere paragonata, al massimo, alla "sfida" della cittadina americana di colore che, in epoca non lontana, si è rifiutata di cedere il posto ad un uomo di superiore razza "bianca" ed è stata perciò processata per aver infranto una legge razzista. Oppure alla "sfida" del cittadino italiano che si è rifiutato di giurare a causa dei riferimenti a Dio contenuti nella formula del giuramento e che ha anch'egli subìto un processo. Oppure alla "sfida" del prof. Marcello Montagnana, ateo e di origini ebraiche, che si è rifiutato di fare lo scrutatore per la presenza dei crocifissi nei seggi ed è stato anch'egli processato. Questi processi, tuttavia, sono finiti con delle assoluzioni assai significative, perché con esse si sono finalmente affermati sacrosanti principi di civiltà, quali quello dell'eguaglianza e della pari dignità di qualsiasi uomo, indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dal pensiero e dall'ideologia religiosa.
La circostanza che la mia iniziativa sia stata già sanzionata in sede penale -e sia ulteriormente censurata in sede disciplinare- non deve indurre i persecutori a tripudi prematuri: consiglierei a costoro di varcare i confini della Repubblica Pontificia Italiana -cioè di recarsi in Paesi democratici, civili e indipendenti dal Vaticano- per rendersi conto che la mia vicenda ha sì "suscitato sconcerto e disorientamento nell'opinione pubblica internazionale", ma per i motivi diametralmente opposti a quelli congetturati dall'Avvocato Generale dello Stato e dal Procuratore Generale della Cassazione.
Ho avuto modo di rilasciare interviste alla televisione francese, a radio canadesi, a giornali israeliani, belgi italiani e via dicendo ed ho potuto ascoltare solo un coro unanime di giornalisti che, pubblicamente, hanno manifestato sconcerto e incredulità per il livello di inciviltà morale e giuridica in cui versa la Colonia del Vaticano. Il termine più ricorrente per descrivere la situazione italiana è stato: "Medio Evo". Estremamente significativo è il pressoché totale silenzio col quale i principali media nazionali hanno accolto la notizia: l'imbarazzo ha indotto i cattolici e gli atei devoti ad ignorarla, ostacolandone l'amplificazione mediatica che, per i suoi risvolti razzistici e discriminatori, rischiava di gettare discredito sulla Chiesa e sui Cattolici.
Ho ricevuto centinaia e centinaia di lettere che hanno plaudito alla mia iniziativa e mi hanno ringraziato. Si è addirittura attivata una petizione con raccolta di firma da parte dell'associazione dei Brights francesi.
Non avete dunque nulla di che stimarvi: e non sono minimamente preoccupato, nella mia qualità di "corpo estraneo" di questa Magistratura, di esserne espunto affinché sia ristabilito, secondo i correnti canoni del pilatismo, dell'indifferenza e del carrierismo, il "prestigio" ed il "decoro" dell'Ordine Giudiziario Italiano.
Preferisco fregiarmi dei consensi che ho ricevuto e dello spessore culturale di chi me li ha manifestati: consensi che non mi sembra collimino molto con l'"opinione pubblica" negativa supposta dagli Accusatori.
Un brevissimo saggio:
1°). "Le esprimo la mia solidarietà per la fermezza e la "spina dorsale", accessorio indispensabile e raro, dimostrate."
2°). "Grazie della battaglia che stai sostenendo a nome di tutti, anche a nome di quelli che non lo hanno ancora capito. Io sono buddista e lotto per la vera libertà dell'uomo anche a nome dei miei figli."
3°). "Questa e.mail per esprimerle la mia personale solidarietà assieme alla speranza che la sua giusta protesta sia un luminoso precedente per i molti che non hanno il suo coraggio"
4°). "Le giungano le espressioni della mia solidarietà ed ammirazione per la coraggiosa battaglia di civiltà che con coraggio ed in solitudine sta conducendo".
5°). "Abbiamo seguito il suo processo e voglio assicurarla dell'assoluta simpatia del movimento laico belga. Pensiamo di pubblicare un articolo sul nostro mensile "Espace de Libertès". E' incredibile che l'Italia sia così arretrata....."
6°). "Come semplice cittadina non posso che esprimerle la mia indignazione e il mio disagio di fronte a una sentenza che ci porta ai tempi dell'Inquisizione. Purtroppo il suo caso non ha avuto il risalto dovuto sui media, troppo occupati a fare da megafono per ogni starnuto del Vaticano"
7°). "La condanna che la colpisce per la sua fedeltà ai valori della Costituzione e la sua coerente azione la onora ed insieme disvela la trista Italia in cui la Democrazia e la sua legalità è ignota o avversata. Questo Paese a sovranità limitata non si può permettere neppure il lusso della civile vergogna"
8°). "La tua condanna è una vergogna per il mondo libero."
9°). "Votre combat et votre courage honorent le genre humain"
10°). "J'ai été scandalisée par ce qui nous arrive. Sachez que tous mes adhérents et sympathisants vous soutiennent dans votre combat. Je vous souhaite beaucoup de courage pour lutter contre l'imbécillité et la crédulité dominantes".
Ribadisco che tre sono le motivazioni principali del mio rifiuto di tenere le udienze, sino a che ci saranno i crocefissi.
1°) La prima motivazione è che io non accetto, nella mia qualità di magistrato, di subire la lesione delle mie prerogative costituzionali di imparzialità, di neutralità e di indipendenza a causa dell'imposizione, da parte del Ministro di Giustizia, di un simbolo religioso partigiano, che cioè non identifica affatto lo Stato italiano e l'unità nazionale: ho prestato giuramento alla Costituzione Repubblicana -e non al Pontefice- e non intendo pertanto calpestarla né, tantomeno, intendo subire la limitazione della mia prerogativa di indipendenza o la violazione del principio supremo della laicità dello Stato, soggiogandomi supinamente all'imposizione coattiva del crocifisso da parte del Ministro di Giustizia il quale, con tale comportamento, è Lui che lede, viola e calpesta tutti questi sacrosanti principi costituzionali.
Ricordo che l'art. 110 della Costituzione limita la competenza del Ministro di Giustizia "all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia", sicché lo stesso non può imporre ai giudici simboli ideologici che connotino in modo partigiano l'esercizio dell'attività giurisdizionale: quest'ultima, al contrario, gode della prerogativa dell'indipendenza dagli altri poteri (art. 104 Cost.), dovendo oltretutto essere ed apparire imparziale, neutrale ed equidistante nei confronti di qualsiasi credo o non credo religioso ai sensi degli artt. 101, 102, 97, 111, 3, 8 e 19 della Costituzione.
Il crocifisso -lo ricordo ancora, semmai non ve ne siate accorti- non è un oggetto "necessario" all'organizzazione e al funzionamento dei servizi della giustizia -come lo è invece un tavolo, una sedia, un computer- bensì un simbolo ideologico-religioso che identifica una religione praticata solo da una parte della popolazione.
Pertanto, il Ministro non può costringermi ad identificarmi in questo simbolo partigiano quando esercito le mie funzioni giurisdizionali. Se dovesse ritenersi lecita l'imposizione dei crocifissi ad opera della "circolare fascista", condivisa dall'attuale Ministro Castelli, altrettanto lecita dovrebbe ritenersi la circolare che imponesse l'esposizione nelle aule giudiziarie di ampolle con l'acqua del Dio "Po".
Ed è proprio per questi motivi che ho recentemente sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia.
2°) La seconda motivazione è che l'esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule giudiziarie lede il mio diritto soggettivo alla libertà religiosa (art.19 Cost.), che implica non soltanto quello di partecipare agli atti di culto e fare propaganda di fede, ma anche quello di non essere costretti a compiere atti con significato religioso, quello di non essere costretti ad identificarsi in un simbolo religioso, quello di tenersi lontani dalle attività e dai simboli religiosi e, infine, quello di non essere costretti a manifestare la propria ideologia religiosa.
Questa costrizione ideologico/religiosa mi risulta ancor più intollerabile, se si considera che io non espongo e non venero alcun crocifisso a casa mia e che, invece, vengo costretto dal mio datore di lavoro ad identificarmi in questo simbolo dal quale, peraltro, mi sono anche dissociato e mi dissocio per tutte le gravissime implicazioni di criminalità, di genocidio, di intolleranza, di torture, di assassini, di razzismo, di schiavismo, di inquisizione, di superstizione, di abuso della credulità popolare, di truffe, di oscurantismo e di prevaricazione dei diritti umani e politici dei cittadini legati alla nefasta storia della Chiesa cattolica Romana.
Sul valore "simbolico/identificativo" del crocifisso non può, ovviamente, sussistere il benché minimo dubbio: basta considerare che analoga valenza è attribuita dalla legge ai cd. simboli nazionali che debbono essere esposti nei locali pubblici, e cioè alla "bandiera tricolore" ed all'"effige del Presidente della Repubblica".
E, in effetti, la ratio dell'esposizione dei simboli nazionali nei luoghi pubblici è quella di evocare e trasmettere questo messaggio simbolico: "in questo luogo istituzionale la funzione pubblica è esercitata dal pubblico funzionario in nome del popolo italiano, il quale popolo si identifica, appunto, nella sua bandiera e nel ritratto del suo Capo supremo, il Presidente della Repubblica.
Esporre nelle aule giudiziarie i "crocifissi" evoca un messaggio intollerabile in uno Stato laico: "in queste aule il giudice esercita le sue funzioni giurisdizionali in nome del Dio dei cattolici".
Dal momento che io non mi sono mai sognato -né mi sognerei mai- di imporre agli altri i miei simboli religiosi -tanto meno a casa loro- io pretendo che gli altri -e cioè i cattolici- facciano altrettanto nei miei confronti. Se i cattolici amano così tanto il loro crocifisso, lo espongano a casa loro, nei loro templi e sulle loro persone: si astengano, però, di esporli nella case "altrui", cioè negli edifici pubblici che, essendo pubblici, appartengono a TUTTI gli Italiani, e non soltanto ai "cattolici".
Tutte le considerazioni sin qui esposte sul valore simbolico dell'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici e sulla sua lesività del principio fondamentale di laicità e del diritto di libertà religiosa risultano confortate, appieno, non solo dalla sentenza della Cassazione n. 4273/2000, ma dalla sentenza 26.9.1990 del Tribunale federale della Svizzera e dalla sentenza 16.5.1995 della Corte Costituzionale della Germania, che la Cassazione stessa richiama nella sentenza Montagnana e che riporto qui di seguito per la loro apprezzabile e concisa chiarezza.
La prima ha sancito: "La laicità dello Stato si riassume in un obbligo di neutralità che impone allo Stato di astenersi negli ATTI PUBBLICI, da qualsiasi considerazione confessionale, suscettibile di compromettere la libertà dei cittadini in una società pluralista. L'esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole elementari non adempie alle esigenze di neutralità previste dall'art. 27 cpv 3 della Costituzione".
Recita la seconda: "Il diritto di libertà religiosa garantito dalla Legge fondamentale non assicura soltanto la facoltà di partecipare agli atti di culto in cui si esprime il credo di appartenenza, ma anche la facoltà di TENERSI LONTANI dalle attività e DAI SIMBOLI implicati nell'esercizio del culto medesimo. Al riguardo occorre distinguere tra i luoghi che sono sottomessi al diretto controllo statale, e quelli che sono lasciati alla libera organizzazione della società. Lo Stato, nel primo caso, è obbligato a proteggere l'individuo dagli interventi o dagli ostacoli che possono provenire dai seguaci di altre fedi o di gruppi religiosi concorrenti con quello di appartenenza. Anche quando lo Stato collabora con le confessioni religiose, esso non può pervenire ad una IDENTIFICAZIONE con ALCUNA di QUESTE. Lo Stato, inoltre, deve rispettare il diritto naturale dei genitori di curare ed allevare i loro figli secondo le proprie convinzioni religiose. Confliggono con questo diritto garantito dall'art. 6 Abs. 2s.i della Legge fondamentale le prescrizioni dello Stato della Baviera e le decisioni assunte in forza di legge, che impongono l'affissione del crocifisso in tutte le aule scolastiche delle scuole popolari".
Ma c'è di più.
La Corte Costituzionale, pronunciandosi sul caso del teste che si era rifiutato di giurare, con la sentenza n. 117/1979 ha sancito che "la libertà di coscienza, riferita alla professione di fede sia religiosa sia di opinione in materia religiosa.....è violata anche quando sia imposto al soggetto il compimento di atti con significato religioso. Con la formula del giuramento...il testimone non credente subisce la lesione della sua libertà di coscienza da due punti di vista, distinti ma collegati: in primo luogo egli si manifesta credente di fronte al giudice ed in generale a tutti i presenti mentre credente non è; inoltre nella sua convinzione di non credente comporta...la necessità di ridurre, ma in interiore homine, il contenuto normale delle formula per ciò che concerne l'obbligo di natura religiosa. Tale figura è molto vicina ad una riserva mentale indotta (atto interiore imposto: sent. n. 58 del 1960) e da luogo ad una non assunzione di impegno del tutto irrilevante dal punto di vista del diritto.
I tentativi di dare rilievo giuridico a questa autoesenzione.... non appaiono invero convincenti......Si è sostenuto che....sarebbe sufficiente che il testimone non credente (ed anche il credente, ove lo voglia) espunga con apposita dichiarazione il riferimento alla Divinità, dopo che la formula è stata letta per intero: .....l'ipotesi prospettata desta perplessità perché il suo realizzarsi potrebbe pregiudicare quel diritto a non rivelare le proprie convinzioni, cui ebbe a far riferimento questa Corte nella sent. n. 12 del 1972 (punto 2 del considerato in diritto)".
E allora? Il crocefisso che mi viene imposto come "simbolo venerato, solenne ammonimento di verità e giustizia", non è il crocifisso che qualsiasi frequentatore delle aule può legittimamente portare al collo, ma è il crocefisso che fa parte integrante della struttura pubblica e che serve per connotare le mie funzioni giurisdizionali, agli occhi del pubblico e di tutti gli operatori giudiziari (avvocati, imputati, testimoni etc.), di cristianità: sicché io appaio ai loro occhi come colui che sta amministrando la giustizia, oltre che in nome del popolo italiano, come è letteralmente scritto, anche in nome del crocifisso.
Se nessuno può obbligarmi a portare il crocefisso al collo, nessuno può obbligarmi a portare il crocifisso sopra la testa: l'identificazione simbolica che scaturisce da queste due forme di costringimento è identica.
E allora? C'è forse qualcuno che vuol sostenere -a questo punto- che la presenza del crocifisso, sopra la mia testa, non è un'imposizione, perché non ha il significato che gli sto attribuendo, che cioè non comporta l'identificazione ideologico-simbolica delle mie pubbliche funzioni con quel simbolo? Ma non è la circolare Rocco che lo qualifica espressamente in questo modo, cioè come "simbolo venerato, solenne ammonimento di verità e giustizia"? E se la sua presenza coatta nelle aule non ha una valenza religiosa, che serva cioè per connotare di "cristianità" le funzioni giurisdizionali esercitate dai giudici, di grazia, quale sarebbe lo "scopo" vero della sua ostensione? Ci sarebbero forse finalità "artistiche", o magari "culturali"? E per quale motivo, se questo "crocifisso" non connota le funzioni giurisdizionali in modo simbolico -al pari della bandiera e del ritratto del Capo dello Stato- non si consente a me di esporre i miei simboli, in sostituzione del crocifisso?
Bella, questa: io debbo essere costretto a tenere le udienze sotto l'incombenza del crocifisso -magari perché qualche genio del diritto sostiene che la presenza di questo simbolo "passivo" non connota di cristianità le funzioni da me esercitate- però, nel momento in cui pretendo di esercitare le funzioni sotto l'incombenza dei miei simboli -altrettanto "passivi" e inoffensivi- scatta immediatamente il "divieto" !!
Che commovente coerenza!! La vostra rettitudine morale è pari alla vostra "coerenza".
C'è peraltro qualcuno che stigmatizza il mio rifiuto perché, a suo giudizio, sarebbe "sufficiente" che io, all'inizio delle udienze, usi l' "accortezza" di rivolgermi a tutti i presenti, dicendo loro che io non mi identifico nel Crocefisso perché il mio credo è diverso: questa "soluzione", che pregiudicherebbe il mio diritto "a non rivelare le mie convinzioni", conferma però quello che sostengo io, cioè che l'imposizione del crocifisso nell'ambiente di lavoro lede il diritto di libertà religiosa.
Riepilogando:
1°). io non tengo a casa mia i crocifissi e detesto qualsiasi forma di idolatria: esigo dunque di non essere costretto dal mio datore di lavoro a subire l'imposizione del crocifisso nel luogo di lavoro, peraltro pubblico, anche perché detesto il crocifisso per tutti i gravissimi crimini che sono stati perpetrati, in suo nome, dalla Chiesa Cattolica e dai cristiani in millenni di storia;
2°). io non tollero di dovermi ideologicamente identificare nel Dio dei cattolici, che mi viene imposto al di sopra della mia testa quale "solenne ammonimento di verità e di giustizia";
3°). io non tollero di essere costretto a chiedere pubblicamente la rimozione del crocifisso, così subendo anche la lesione del mio diritto alla riservatezza delle opinioni e del credo religioso (C. Cost., n. 12/1972 e n. 117/1979).

3°) La terza motivazione del mio rifiuto dipende dal fatto che l'esposizione obbligatoria del SOLO crocifisso nelle aule giudiziarie, congiunta al divieto di esporre i miei simboli, lede il mio diritto soggettivo all'eguaglianza.
La Cassazione nella sentenza 4273/2000 ha infatti affermato che l'ostensione del solo crocifisso "urta contro il chiaro divieto posto in questa materia dall'art. 3 cost., come ha recentemente ricordato corte cost. 14.11.1997, n. 329, laddove ha sottolineato - con un'affermazione tale da assumere la portata di un orientamento generale, al di là della specifica questione dell'art. 404 c.p. ivi scrutinata - come "il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale, se può valere come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell'art. 3, 1° comma, stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l'appunto la religione". E, nella specie, si differenzia appunto in base alla religione nel momento in cui si dispone l'esposizione del SOLO crocifisso.
Il "privilegio" accordato ai cattolici si risolve dunque, necessariamente, in una discriminazione ai danni di tutte le altre fedi: il che è stato ribadito da Corte Cost. (sent. n. 195/1993), che ha affermato che "qualsiasi DISCRIMINAZIONE in danno dell'una o dell'altra fede è COSTITUZIONALMENTE INAMMISSIBILE in quanto contrasta con il diritto di libertà di religione e con il principio di eguaglianza".

L'aula-ghetto
Una particolare attenzione merita, a questo punto, la questione dell' "aula-ghetto" che è stata predisposta per me e che, nell'ottica dell'Avvocato Generale dello Stato e del Procuratore Generale della Cassazione, avrebbe reso "indebito" il mio rifiuto di tenere le udienze. Si censura, infatti, "la mia pretesa di rimanere fermo nel mio atteggiamento con il rifiuto di riprendere il mio lavoro anche in aula priva di qualsiasi simbolo religioso".
Alla luce di quello che ho già esposto, ritengo di poter affermare, a buon diritto, che con questo "argomento" si siano ampiamente superati i limiti della tollerabilità: non tollero, infatti, che queste incredibili manifestazioni di segregazione religiosa possano ottenere persino la consacrazione giurisdizionale.
Se qualcuno spera di confinarmi in un'aula o in un ufficio "ghetto", ha fatto male i conti, perché intendo rivendicare sino in fondo la stessa dignità e gli stessi diritti della superiore razza dei colleghi "cattolici" e, quindi, intendo utilizzare le stesse aule e gli stressi uffici che istituzionalmente e normalmente vengono destinati a questi dipendenti.
Mi debbo complimentare, poi, per l'"alto senso" di "legalità" e per la "coerenza" che l'autorità giudiziaria e la pubblica amministrazione hanno sfoggiato su questa questione. Infatti, per aver io "osato" staccare da una parete un crocifisso, su sollecitazione di due avvocati che ne avevano rimarcato l'improvvisa quanto provocatoria comparsa, sono stato sottoposto ad immediata ispezione ministeriale: e questo perché esiste la circolare Rocco che impone, obbligatoriamente, l'esposizione dei crocefissi.
La mia successiva richiesta di rimozione dei crocifissi, poi, è stata respinta dal Presidente del Tribunale perché questa circolare è tuttora in vigore ed operativa.
L'inderogabilità dell'esposizione crocifisso è stata inoltre ribadita dall'Avvocatura di Stato nel giudizio dinanzi al TAR e, in data 18.11.2005, anche dalla Cassazione penale, Sez. III, con l'ordinanza n. 41571 con la quale si è affermato che "è da escludere che un giudice, di qualsivoglia ordine e grado, possa prendere una decisione in contrasto con la circolare ministeriale".
Orbene, nel momento in cui io inizio a rifiutarmi di tenere le udienze a causa della presenza dei crocifissi, che cosa fanno i miei Superiori? Mi invitano a violare la legge e violano essi stessi la legge, predisponendomi un'aula senza crocifisso e, quindi, fuori-legge!
Rilevo l'estrema contraddittorietà di questo comportamento e chiedo quale ne sia la giustificazione: mi si risponde che si tratta di un'iniziativa disposta per "ossequio" al Presidente della Corte di Appello, che ha prospettato questa soluzione.
E allora? Sarebbe questo il "rispetto della legalità"?
Che fanno i magistrati, applicano o disapplicano le "norme obbligatorie" a seconda dello spessore dei soggetti interessati? Il "casco" è forse obbligatorio se riguarda un cittadino di infimo lignaggio, come il dott. Tosti, e diventa poi facoltativo per "ossequio" al Prefetto? Sarebbe questo il senso di legalità cui è informata la magistratura? Sarebbe questo il senso di legalità cui è informato il Tribunale penale dell'Aquila, che ha avuto l'ardire di introdurre nelle motivazioni che giustificano la mia condanna la circostanza che ho rifiutato "l'ambiente privato dei simboli religiosi"?
Questo comportamento evoca alla mia memoria la favola del lupo e dell'agnello, ovverosia l'arroganza del potere.
Complimenti per la coerenza e per il rispetto della legalità.
E quale sarebbe, poi, la "rilevanza giuridica" dell'aula-ghetto? Eppure ho detto, ridetto e ridico sino all'esasperazione che la Corte di Cassazione penale ha stabilito, nella sentenza Montagnana n. 4273/2000, che l'esimente della "libertà di coscienza" non può dipendere dall'occasionale assenza del crocifisso in un'aula, sicché per il ripristino della legalità occorre la rimozione di tutti i crocifissi dall'organizzazione giudiziaria. E allora? Perché anche in questo caso le sentenze della Cassazione sono state disapplicate dai giudici? Forse perché contrastano con la confessione cattolica dei giudici e, quindi, col personale interesse a non rimuovere i crocifissi dalle aule, costi quel che costi?
Ma c'è anche da ribadire l'assoluta impraticabilità della soluzione dell'aula-ghetto, dal momento che il dott. Tosti esercita anche funzioni collegiali e, quindi, è costretto a partecipare assieme ai colleghi nelle aule "istituzionali" addobbate con i crocifissi. Né è da sottovalutare la circostanza che, come magistrato, il dott. Tosti viene sovente applicato in altre sedi, anche al di fuori del distretto della Corte di Appello, sicché il regime di apartheid cui lo si vorrebbe sottoporre -sino al suo pensionamento!!- è quanto di più assurdo, di ridicolo, di offensivo e di lesivo della dignità umana si possa concepire. Ed è disarmante il candore col quale simili indecenti ed offensive proposte vengono propinate ed accreditate, addirittura da Organi istituzionali dello Stato italiano.
Ma la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata dall'Italia con legge 4.8.1955 n. 848, la conoscete? Ma vi siete mai accorti che l'art.14, intitolato "Divieto di discriminazione", sancisce che "il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito, senza alcuna distinzione, fondata soprattutto, sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la RELIGIONE, le opinioni politiche....." e via dicendo?
E allora? Mi volete relegare, per ritorsione contro la mia "pretestuosa" pretesa di esporre la menorà ebraica a fianco del Vostro Crocifisso -e quindi per motivi religiosi- in un'aula ghetto, dove dovrei lavorare, isolato dagli altri colleghi, per tutta la mia vita?
NO, mi dispiace: nell'aula ghetto andateci a lavorare Voi cattolici. Ed è estremamente significativa la circostanza che la "controproposta" che Vi ho fatto, che era quella di riservare ai giudici cattolici l'aula-ghetto che si voleva propinare a me, sia stata rifiutata: il che dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, di quale carica razzistica fosse e sia impregnata la Vostra proposta, sconcia, di confinarmi nell' "aula-ghetto".

La sospensione dalle funzioni ex artt. 30 e 31 R.D. L.vo 31.5.1946 n. 511.
Rilevo che la sospensione di un magistrato dalle funzioni può essere disposta solo per fatti gravi e per concrete esigenze che rendano inopportuna la permanenza in servizio per carenza delle necessarie condizioni di prestigio, indipendenza e imparzialità.
Per ciò che concerne la gravità dei fatti e la perdita di prestigio agli occhi della "pubblica opinione", oltre a richiamare quello che ho già detto mi permetto di riportare quello che ha scritto la Cassazione penale nella sentenza 4273/2000 a proposito dell'analogo "rifiuto" opposto dal prof. Marcello Montagnana a causa della mancata rimozione dei crocifissi: "Nella specie non è dubitabile la liceità -ed anzi il particolare valore morale e sociale- del motivo addotto dal Montagnana: vale a dire il rispetto del principio di laicità e della libertà di coscienza, che ha direttamente determinato il rifiuto e che, rendendolo non contraddittorio con i valori costituzionali, ne esclude perciò l'antigiuridicità".
E allora? Perché l'Avvocato Generale e il Procuratore Generale disattendono i giudizi altamente positivi espressi dalla Corte di Cassazione sul comportamento di chi si rifiuta di compiere un'attività doverosa a causa della mancata rimozione dei crocifissi, al punto tale da censurare e biasimare come "pecora nera" della Magistratura chi, come me, si batte per la difesa della Costituzione, contro il razzismo religioso e per l'affermazione del diritto di libertà religiosa?
Quali sono i parametri valutativi delle miei azioni? Forse quelli del Pontefice e della Conferenza Episcopale italiana, alla luce dei quali va santificata la discriminazione religiosa che scaturisce dalla superiorità del Cattolicesimo su tutte le altre "false" religioni, va affermato il privilegio della marcatura dei luoghi pubblici da parte del solo Crocifisso e, infine, va promossa e incoraggiata la guerra contro il "relativismo", cioè contro il diritto fondamentale alla libertà religiosa che compete a qualsiasi essere umano?
Complimenti.
Segnalo, infine, che la sospensione cautelare non può essere utilizzata per ripristinare le "disfunzioni di servizio" (cioè: Tosti si rifiuta di tenere le udienze per una "bega" col suo datore di lavoro e, quindi, lo sospendo da tutte le mansioni, anche da quelle che sta comunque esercitando), ma soltanto per tutelare la credibilità della giustizia, minacciata dalla permanenza in servizio di un magistrato "indegno". Nel caso di specie, invece, il provvedimento caldeggiato dalla Procura Generale e dall'Avvocatura Generale sortiscono il risultato diametralmente opposto: la mia sospensione, infatti, creerebbe un ulteriore disservizio, perché tutte le mie attuali incombenze (GIP, cautelari, decreti ingiuntivi, giudice tutelare etc.) dovrebbero essere smaltite dagli altri colleghi.
Sarebbe allora preferibile autorizzarmi ad esporre i miei simboli religiosi, magari previo nulla osta del Vaticano: ma questo lo Stato non lo fa, perché il suo razzismo glie lo impedisce.
Il travisamento della sentenza "Montagnana".
Il professore ordinario di Diritto Ecclesiastico dell'Università di Bologna Dott. Giovanni Cimbalo ha così scritto scritto:
"Successivamente, il primo marzo 2000 la Corte di Cassazione IV sezione penale ha pronunciato una sentenza (Sez. IV penale - 1 marzo 2000, n. 439, dep. 6 aprile 2000 - Pres. Battisti - Rel. Bianchi - Est. Colaianni - P.M. Geraci - Ric. Montagnana, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, pp. 1121 ss.), che sembrava risolvere una volta per tutte la questione delicatissima se sia lecita o addirittura obbligatoria l'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici. In sede ricostruttiva delle norme la Corte rileva come esse siano ormai superate e contenute in atti normativi di varia natura risalenti al periodo fascista e le analizza dal punto di vista della loro legittimità sotto due profili, concludendo da un lato che tali norme sono espressione di un neo-confessionismo statale, ormai superato dal principio di laicità, dal momento che, specifica la sentenza, «l'imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali». Sotto il secondo profilo, la Corte nota come le norme sull'esposizione del crocifisso, in quanto disposizioni di favore per la religione cattolica, contrastano con il principio di uguaglianza, respingendo la tesi che attribuiva al crocifisso un valore simbolico generalizzato nella coscienza etica collettiva. A tale ultimo proposito è richiamata espressamente proprio la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 1995, la quale, si dice, «ha ritenuto una sorta di "profanazione della croce" non considerare questo simbolo in collegamento con uno specifico credo».
Purtroppo, come sottolinea il cattedratico, i fatti si sono svolti in modo del tutto differente, perché la sentenza Montagnana è stata poi deliberatamente obliterata e/o travisata da Organi Istituzionali dello Stato e financo dai giudici.
Le motivazioni sono principalmente due.
In primo luogo l'Italia è un Paese sostanzialmente clericalizzato, in cui governanti e politici non sono affatto disposti a difendere i "principi supremi" dettati dalla Costituzione, ogni qual volta ciò implichi il pur minimo rischio di perdita di consenso elettorale: dal momento che i partiti di ispirazione cattolica sono "spalmati" a destra, al centro e a sinistra, i relativi poli sono condizionati da scelte che rischiano di procurare perdita di voti. In secondo luogo una parte del Cattolicesimo, che si identifica nei vertici del Vaticano e della Chiesa, non tollera di perdere il privilegio di marcatura simbolica degli uffici pubblici, al punto tale che si è innescata una reazione neoconfessionista, anche violenta e criminale, che ha indotto -a vari livelli istituzionali- da un lato a travisare la portata della sentenza Montagnana e, dall'altro, a mistificare il valore religioso del crocifisso, camuffandolo da "simbolo culturale". Sono stati addirittura presentati disegni di legge leghisti per imporre la presenza dei crocefissi e per modificare la Costituzione repubblicana in senso confessionale.
E tutto questo al fine di "resistere, resistere, resistere" con ogni mezzo -ivi inclusa la mistificazione- al fine di perpetuare alla Chiesa cattolica l'anacronistico privilegio di marcare i territori pubblici con i crocifissi.
Il primo travisamento è opera del Ministro dell'Interno che, con la nota del 27.1.2001 ha addirittura affermato che la sentenza della Cassazione 4273/00 "in nessun punto fa obbligo alla pubblica amministrazione di rimuovere dai seggi elettorali i crocifissi", limitandosi ad affermare che "costituisce giustificato motivo di rifiuto dell'ufficio.....la manifestazione di libertà di coscienza......in relazione alla presenza nella dotazione obbligatoria......del crocifisso o di altre immagini religiose".
Come dire: se la Cassazione assolve un imputato dal delitto di omicidio perché ha ucciso, per legittima difesa, il rapinatore, questo non significa -per carità!!- che la rapina sia un atto illecito, ma soltanto che si possono uccidere i rapinatori!!!
Analoga mistificazione è contenuta nella risoluzione n. 8-00061 della VII Commissione della Camera dei Deputati, presentata da Ferdinando Adornato e approvata il 6.11.2003 nel seguente testo: "....la sentenza della Cassazione del 13.10.1998 spiega che l'esposizione del crocifisso non viola la libertà religiosa perché "rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendentemente da una specifica confessione".
Si tratta di "massima" inventata di sana pianta per far credere l'esatto contrario di quello che, invece, la Cassazione ha realmente affermato con quella sentenza. I complimenti alla VII Commissione della Camera dei Deputati, per questa benemerita opera di falsificazione della sentenza 13.10.98-4.1.999 n. 10 della III Sez. pen. della Cassazione, sono dunque doverosi.
Identica deliberata falsificazione del contenuto della sentenza n. 10/1999 è stata attuata anche dalla VII Commissione Istruzione (sottosegretario Valentina Aprea) nella risposta alle interrogazioni n. 3-00622, n. 3-00623 e n. 3-00627 del 26.9.2002.
Non di meno ha fatto anche l'Avvocatura di Stato di Bologna nel parere 16.7.2002, laddove si afferma che "la Corte di Cassazione (Sez. III, 13.10.1998) ha affermato....che non contrasta con il principio di libertà religiosa....la presenza del Crocifisso nelle aree scolastiche: "il principio della libertà religiosa, infatti, collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto, fermo restando che deve prevalere la tutela della libertà di coscienza soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta da una specifica disposizione, abbia un contenuto contrastante con l'espressione di detta libertà: condizione, questa, non ravvisabile nella fattispecie", nella quale si discuteva della lesività del principio di libertà religiosa proprio ad opera dell'esposizione del crocifisso nell'aula scolastica adibita a seggio elettorale".
Stessa mistificazione è stata effettuata anche dal Ministro della Pubblica Istruzione nella nota 3.10.2002, prot. n. 2667, con la quale si richiama anche il parere dell'Avvocatura dello Stato di Bologna del 16.7.2002: "Sullo specifico tema si è espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza 1.3.2000 n. 439....relativa al rifiuto di assunzione dell'ufficio di scrutatore in presenza del Crocifisso in un'aula adibita a seggio. Per analogo caso (???), la stessa Corte di Cass., Sez. III, 13.10.1998, aveva affermato che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche non contrasta con la libertà religiosa sancita dalla Costituzione.".
Questo stesso travisamento è stato compiuto dal Presidente del Tribunale dell'Aquila in un'ordinanza di rigetto di ricorso cautelare volto al rimozione dei crocefissi dai seggi elettorali, laddove si è inventato, di sana pianta, un contrasto giurisprudenziale originato dalla "contraria" sentenza del 13.10.1998 n. 10 della III Sez. della Cassazione penale. Quest'ultima sentenza, depositata il 4.1.1999, si riferisce in realtà allo stesso identico processo subìto dal Montagnana: si tratta, cioè, della prima sentenza della Cassazione che annullò l'assoluzione rimettendo gli atti alla Corte di Appello di Torino per il giudizio di rinvio.
Il ricorso a mistificazioni di questa portata ci sembra francamente del tutto ingiustificabile e, in ogni caso, esso fornisce la dimostrazione di una faziosità altrettanto ingiustificabile.
Pesantissime critiche e un notevole imbarazzo, anche nel mondo cattolico, ha suscitato la sentenza con la quale il TAR del Veneto, dopo aver sollevato l'eccezione di incostituzionalità delle norme sui crocefissi nelle scuole, si è rimangiato tutte le precedenti considerazioni (dopo che il collegio giudicante era stato sostituito per 2/3), rigettando il ricorso presentato da Lautsi Soile.
Con questa sentenza il TAR ha persino attribuito al "crocifisso" la valenza di "simbolo di civiltà, eguaglianza, tolleranza e laicità".
Dal momento che queste connotazioni sono il frutto di una mistificazione della storia del cristianesimo, sono costretto a confutarle, anche perché gli aspetti criminali della storia del cristianesimo costituiscono un'ulteriore motivo che mi induce al rifiuto del simbolo del Crocefisso.

Le "doti morali" del Dio della Bibbia.
E' stato scritto che "nessun libro, neanche il più ateo, potrà mai dimostrare al pari della Bibbia come non sia stato Dio a creare l'uomo a propria immagine e somiglianza, bensì l'uomo a costruire un Dio simile a se stesso". In effetti, chi legge la Bibbia rimane orripilato dalla cattiveria, dall'intolleranza, dal razzismo, dalla falsità, dalla spietatezza, dalla vendicatività e dalla criminalità di Dio.
Lo stesso mito del "sacrificio" del figlio di Dio, fatto uccidere da suo Padre per "salvare" l'umanità peccatrice, contiene un messaggio altamente diseducativo e che sconfina nel codice penale. Infatti, un padre che vota a morte certa il proprio figlio per salvare i "peccatori" è, per il codice penale, un complice di un assassinio. E dal momento che le motivazioni di tale gesto criminale sono a dir poco assurde (dal momento che i supposti peccati di Adamo ed Eva non potrebbero essere ereditati dai discendenti), un padre del genere dovrebbe essere sottoposto anche a perizia psichiatrica. Da che cosa, poi, sia stata "salvata" l'umanità, attraverso il sacrificio del figlio di Dio, è un vero mistero: non sembra che questo evento epocale abbia modificato la condizione della vita umana sul pianeta. Tutto è rimasto come prima: guerre, malattie, morte, e via dicendo.
Riporto alcuni brani biblici dai quali emerge la figura altamente negativa di Dio.
"Così disse il Signore al suo popolo: "qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o tuo figlio o tua figlia o tua moglie che riposa sul tuo petto o l'amico che è come te stesso ti istighi a servire altri dei che non sia io, tu devi ucciderlo: la tua mano sia la prima a metterlo a morte. Lapidalo e muoia perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore Dio tuo che ti ha fatto uscire dall'Egitto. Qualora tu senta dire di una delle tue città che il Signore Dio tuo ti dà per abitare che uomini iniqui sono usciti in mezzo a te e si servono altri dei, allora tu voterai allo sterminio questa città e passerai a fil di spada tutti gli abitanti compreso il bestiame" (Dt. 13).
"Giosuè, armato dal Signore, partì con tutti i prodi guerrieri, attaccò i nemici e li mise in fuga. Mentre questi scappavano davanti a Giosuè il Signore lanciò contro di essi dal cielo grosse pietre e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre, che erano venute giù come grandine, furono più di quanti ne avessero uccisi gli israeliti con la spada" (Gn. 10).
La "tolleranza" del cristiamesimo, da Mosè in poi.
Attribuire la "patente" di "tolleranza" a Mosè è un atto che rasenta la criminalità. Basterebbe considerare che Mosè -secondo Numeri, 25,4- fece uccidere 24.000 persone perché avevano aderito al culto di Baal Peor e, poi, altre 3.000 persone perché avevano adorato il vitello d'oro (Esodo, 32, 24-26).
E' dunque squisitamente inaccettabile che un soggetto che ordina stragi di questa portata possa essere contrabbandato dal TAR del Veneto come "campione di tolleranza", anziché come un criminale assassino, invasato di intolleranza nei confronti di coloro che credono in religioni diverse dalla sua.
La "laicità" del cristianesimo.
Per confutare questa affermazione, che ha giustamente suscitato l'indignazione di chi sa realmente quali siano i valori "laici", è sufficiente volgere lo sguardo verso lo Stato del Vaticano, cioè l'ordinamento statuale che impersonifica, per eccellenza, i cattolici.
Ebbene, lo Stato del Vaticano è l'ultima teocrazia monarchica, rimasta sulla faccia della Terra, che ha rinnegato e rinnega i fondamentali principi della democrazia e i diritti fondamentali dell'uomo.
Il pluralismo politico è infatti misconosciuto: non esiste altro partito all'infuori della religione cattolica; altrettanto misconosciuto è il pluralismo religioso, dal momento che non è ammessa altra religione, all'infuori di quella Cattolica. Esiste solo la religione Cattolica, che funge contemporaneamente da unico "partito": solo aderendo ad essa è possibile partecipare al potere politico. A nessun altro partito politico e a nessun'altra religione è consentito l'accesso in Vaticano, sicché questo Stato si connota per la TOTALE NEGAZIONE del principio di LAICITA'. Alle donne non è consentito né di accedere al potere pubblico -che viene esercitato esclusivamente da preti, vescovi, cardinali e dal Papa- né di partecipare attivamente alle celebrazioni ed ai riti religiosi. L'accesso alle cariche pubbliche ed ai tribunali ecclesiastici è rigorosamente vietato alle donne, che subiscono dunque una discriminazione in patente violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. La libertà sessuale è anch'essa preclusa.
Siamo dunque di fronte ad una Teocrazia monarchica, maschilista, che nega qualsiasi pluralismo religioso e politico e viola i diritti fondamentali dell'uomo e della donna. Pertanto, non si può trattenere lo sdegno di fronte alle gravi mistificazioni "metagiuridiche" del TAR del Veneto.
La supposta "civiltà" del cristianesimo.
Anche qui la realtà storica depone in senso diametralmente opposto.
Il primo riscontro della inciviltà del Cristianesimo è rappresentato dalle "Sante Crociate", cioè il genocidio perpetrato dai Cattolici attraverso le cd. "guerre Sante" - al grido di "Dio lo vuole!"- per conquistare la Terra Santa e "liberarla", così, dagli "infedeli". Gli stermini degli infedeli (ma non solo di essi) che sono stati perpetrati in nome della "Croce" -quella che oggi campeggia nelle aule giudiziarie italiane come augusto "simbolo di civiltà"- sono oramai arcinoti, anche se su di essi è calato un accurato "silenzio stampa" per occultare all'opinione pubblica (e tentare di cancellare dalla memoria) un'imbarazzante pagina della storia di Santa Romana Chiesa: il "giorno della memoria", infatti, viene sollecitato solo per i genocidi perpetrati dai nazisti, peraltro occultando la circostanza che anche i nazisti erano "cristiani".
Citiamo la "Crociata dei Pezzenti" del 1096, che causò la strage di 4 mila persone (tutti cristiani!) nella città ungherese di Zemun, saccheggiata dai "civilissimi" cristiani solo per scopi di "approvigionamento", nonché feroci saccheggi, nel corso dei quali vennero arrostiti, sugli spiedi, dei bambini. Citiamo la Crociata dell' Oca Santa (si credeva che l'animale fosse direttamente ispirato da Dio) guidata da Emich di Leinsingen il quale, dopo essersi fatto venire le stigmate (evento miracoloso di cui verrà beneficiato da Dio anche Padre Pio da Pietrelcina), sterminò migliaia di ebrei a Worms, a Magonza e a Colonia, trucidando e stuprando coloro che non abiuravano dalla loro fede, i quali erano notoriamente accusati (e perseguitati) dai Cattolici perché ritenuti responsabili della morte del Figlio di Dio. Altre crociate antisemite, con relativi massacri di ebrei a Praga e Ratisbona, furono guidate da Volkmar. La Crociata dei Principi si distinse per la strage dei Peceneghi a Costantinopoli, per la strage dei Turchi ad Antiochia, per la strage di Maarat an-Numan (donne e bambini superstiti venduti come schiavi), per la strage di Gerusalemme del 14 e 15 luglio 1099, nel corso della quale 60 mila persone, tra le quali anche gli ebrei, vennero trucidati. Si stima che solo la prima Crociata costò la vita ad oltre un milione di persone.
Dunque, sostenere che la Croce che campeggiava sugli scudi dei Crociati sia un "simbolo di civiltà" sembra, francamente, un tantinello azzardato: semmai si dovrebbe parlare di "simbolo di criminalità", dal momento che per l'umile "morale" del dott. Tosti e per il vigente codice penale è un gesto di pura criminalità uccidere (o perseguitare o discriminare) altri uomini per il solo fatto che questi "la pensano in modo differente in campo di ideologia religiosa". Riteniamo dunque di poter affermare, col supporto di dati storici, che non vi è nulla di che "stimarsi" in merito al simbolo del Crocifisso e che, tantomeno, lo stesso possa essere additato quale "simbolo di civiltà".
Che dire, poi, della persecuzione, delle torture, degli assassini e degli stermini operati dai Cristiani -sempre all'ombra della Santa Croce, Sacro "simbolo di civiltà"- ai danni degli eretici, degli ebrei, delle streghe, degli omosessuali, degli scienziati, cioè dei "diversi"?
Certo, non deve essere stato gradevole per i Catari, per i Valdesi, per i Patarini, gli Albigesi, i Dolciniani, le Beghine, i Fraticelli, e via dicendo, essere perseguitati, sterminati, arsi sui roghi e trucidati in nome del "Cristo sulla Croce" di Santa Romana Chiesa Cattolica.
La storia della Chiesa è costellata da una serie di attività criminali che sono principalmente ispirate dall'intolleranza, dalla superstizione e dal fanatismo. E allora c'è ancora da chiedersi come si possa affermare che il Crocifisso -che troneggiava nei Tribunali della Santa Inquisizione- possa essere contrabbandato come "simbolo di civiltà", da esporre ai cittadini come monito di verità, di giustizia e di...civiltà. Certo, così non la pensarono quei poveri disgraziati che furono torturati, inquisiti, perseguitati, discriminati, seviziati, assassinati ed arsi sul rogo solo perché "la pensavano in modo diverso" dai Cattolici.
Ci permettiamo una piccola cernita degli episodi più esaltanti della Chiesa.
Nel 782 4.550 sassoni vengono "cristianamente" decapitati su ordine di Carlo Magno per aver rifiutato il battesimo cattolico. Nel 1096 800 ebrei vengono massacrati dai cattolici a Worms, in Germania. Nello stesso anno, 700 ebrei vengono massacrati a Magonza dai cattolici. Nel 1145, 120 ebrei sono massacrati dai Cattolici a Colonia e Spira in Germania. Nel 1191 2.700 progionieri di guerra musulmani sono decapitati dai Crociati in Palestina. Nel 1208, 20.000 catari vengono massacrati dai Crociati a Beziers: nel 1219, altri 5.000 catari sono massacrati a Marmande. Il 16 marzo 1244, 250 catari sono arsi vivi per ordine della Santa Inquisizione. Ben 267 ebrei vengono impiccati a Londra in seguito a false accuse di omicidio "rituale" ai danni di cattolici. Altri 200 catari e valdesi ardono "cristianamente" sui roghi nell'Arena di Verona, il 13.2.1278, per ordine della Santa Inquisizione. Nel 1370 20 ebrei sono arsi vivi dai cattolici a Bruxelles. 2.500 abitanti di Cesena sono massacrati, il 3.2.1377, perché ribelli del Papa. Nel 1391 4.000 ebrei sono massacrati dai cattolici a Siviglia. 100 valdesi sono impiccati e bruciati a Graz per ordine dell'Inquisizione, nel 1397. Nel 1416 300 donne, accusate di "stregoneria", sono cristianamente arse sui roghi nel comasco per ordine dell'Inquisizione. Nel 1485 eguale sorte a 41 "streghe" a Bormio. Nel 1505 14 altre streghe vengono uccise a Cavalese: 30 persone, accusate di stregoneria, ardono vive a Logrono, in Spagna, nel 1507. Nell'aprile del 1545 2.740 valdesi sono massacrati dai cattolici in Provenza. Nel 1561 2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici in Calabria. Nel 1562 300 persone sono arse per stregoneria a Oppenau: 63 donne subiscono eguale sorte a Wiesensteig. 17.000 protestanti sono massacrati dai cattolici spagnoli nelle Fiandre, nel 1567. Ben 5000 servi della gleba croati sono massacrati per ordine del vescovo Jurai Draskovic, nel 1573. 222 ebrei vengono arsi sul rogo, nel 1580, per ordine dell'Inquisizione, in Portogallo. Il 29.7.1620 600 protestanti sono trucidati dai cattolici in Valtellina. Nel 1680 20 ebrei bruciano vivi per ordine della Santa Inquisizione. 2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici, nel maggio 1686, dai cattolici. 37 ebrei bruciano sui roghi a Maiorca, nel 1691, per ordine dell'Inquisizione. Svizzera, 1.782: viene bruciata sul rogo l'ultima strega. Polonia, 1.783: viene bruciata sul rogo l'ultima strega.
Di raffinata e squisita crudeltà erano le torture inflitte dai Tribunali della Santa Inquisizione contro eretiche, streghe, omosessuali, che spaziavano dal dissanguamento, al rogo, alla fanciulla di ferro (o Vergine di Norimberga), alle turcas, al triangolo, all'impalamento, alla strappata, alla culla della strega, alla garrota, al supplizio del trono, all'annodamento, al forno, alla pressa, alla cremagliera e via dicendo. Mirabile era lo strumento della "pera", che veniva inserita per via orale, anale e vaginale. Lo strumento veniva aperto con giri di vite e i rebbi mutilavano orrendamente le cavità. Quando applicato alla vagina i chiodi dilaniavano la cervice della povera donna. Questa era la pena riservata a quelle donne che intrattenevano rapporti sessuali col Maligno o i suoi familiari.
Squisita era la pratica della mastectomia, che veniva praticata con tenaglie, a volte arroventate. Uno dei casi più famosi è quello di Anna Pappenheimer che, dopo essere stata torturata con lo strappado, fu spogliata, i suoi sensi furono strappati e, davanti ai suoi occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi figli adulti. Il tutto sotto la gentile incombenza del "crocefisso", simbolo augusto di civiltà e di cultura che troneggia, oggi, nelle aule giudiziarie italiane.
Ma i peccati della Santa Romana Chiesa non finiscono qui, perché in realtà essi spaziano in tutti i campi.
L'abuso della credulità popolare è una costante del comportamento della Chiesa, che su esso ha fondato l'accumulo di ricchezze e di potere. Non a caso Leone X, candidamente, confessò al cardinal Bembo: "Historia docuit quantum nos iuvasse illa de Christo fabula" ("la storia ci insegna quanto ci abbia fruttato quella favola di Cristo").
E stato così che la Chiesa ha fatto mercimonio di "indulgenze" a pagamento, contrabbandando ad esempio la "salvezza dell'anima" di "chi avesse commesso peccati contro natura con bambini o bestie col pagamento di 131 libbre, 15 soldi". E' stato così che per più di un millennio il popolo dei "fedeli" è stato truffato con l'ostensione della Sacra Sindone, cioè del "sudario" (spacciato come autentico) che avrebbe avvolto il corpo di Cristo dopo la morte, rimanendone "miracolosamente" impresso dei suoi lineamenti. La circostanza che tale Sacro telo sia risultato composto -in seguito al triplice esame del radiocarbonio C-14 eseguito dai centri specializzati di Zurigo (Svizzera), Oxford (Inghilterra) ed Arizona (USA)- da un filato di lino raccolto tra il 1260 e il 1390 dopo Cristo, non ha fatto demordere la Chiesa che, tutt'oggi, espone alla venerazione dei "fedeli" questo Sudario di Cristo crocifisso. La circostanza che si tratti di una colossale truffa non preoccupa nessuno: la fede, infatti, è cieca e non vuole accorgersi neppure delle truffe. Le uniche, recenti, notizie diffuse dalle televisioni dello Stato italiano ("laico"!!!) sono quelle relative al "rischio", sventato, della sottrazione del sacro telo ad opera dei Nazisti in ritirata dall'Italia!
Che dire della medaglia miracolosa della Madonna apparsa a Santa Caterina Labouré, che opera, tra l'altro miracolose guarigioni, e che viene commercializzata dall'associazione LUCI sull'EST (www.lucisullest.it) dietro versamenti "spontanei" di 20, 50 o 100 euro?
Che dire, poi, dei "miracoli" compiuti dalle Divinità e dai Santi? Nient'altro se non far notare che, guarda caso, essi si inseriscono costantemente in ambienti dove regnano sovrane l'ignoranza, la povertà, l'analfabetismo e la superstizione. Guarda caso, nessuna apparizione miracolosa vi è mai verificata alla Borsa di Milano, alla Borsa di Wall Street, oppure al cospetto del Parlamento o del Consiglio Superiore della Magistratura in seduta plenaria. Nessun fedele, con gli arti amputati, ha ripreso a camminare. Anche il "sangue" di San Gennaro continua a fluidificarsi "miracolosamente" dinanzi ai fedeli imploranti e sbigottiti, ad onta della circostanza che San Gennaro sia stato ufficialmente depennato dalla Chiesa Cattolica perché ...mai esistito (e a nessuno è consentito, ovviamente, sottoporre ad analisi chimica il supposto "sangue" coagulato).
Statue della "Madonna", create dall'uomo in terracotta, si mettono a piangere, tanto miracolosamente quanto trucidamente, "lagrime di sangue": sangue che, guarda caso, risulta poi essere di origine.... umana.
Sul corpo di Padre Pio da Pietrelcina compaiono "miracolose" "stigmate", direttamente inviate al frate da Dio come "dono", che però vengono disconosciute dalla stessa Chiesa Cattolica, che bollerà il frate come "impostore": ciononostante si crea attorno alla figura del frate un alone di credenza popolare che innescherà un vorticoso giro d'affari miliardari. Il corpo del "Santo", dopo la morte, verrà esposto "truccato di calze e guanti per impedire che i fedeli vedessero le stigmate". Quando però trapelerà l'indiscrezione che il "Santo Pio" non presentava alcuna stigmata all'atto del decesso, gli "agiografi" spiegheranno con candore ai "fedeli" che "nei due o tre giorni che precedettero il trapasso le piaghe cessarono di gemere, non avevano più nulla da dare; i loro lembi si riavvicinarono, si rimarginarono, diventarono impercettibili." Questo incredibile abuso della credulità popolare verrà ripagato con la beatificazione, prima, e la santificazione, poi, del "Santo impostore" ad opera di Giovanni Paolo II (Mario Guarino, Santo impostore, Edizioni Caos), seguita da "fiction" della televisione "laica" di Stato, rigorosamente ispirata ai soli testi "canonici".
Ci si potrebbe ulteriormente diffondere nei crimini di emarginazione e discriminazione sessuale delle donne ad opera del Cattolicesimo, nei crimini di schiavismo ai danni dei negri africani e degli indios americani, nella discriminazione e nella persecuzione degli omosessuali (che venivano evirati o arsi sul rogo, avendo peraltro l'accortezza di cospargerli di "finocchi" per coprire il loro "immondo" odore), nell'oscurantismo intollerante nei confronti degli scienziati e della scienza: crediamo, però, che quello che si è sin qui esposto sia più che sufficiente per ribadire il concetto che è estremamente ingiuriosa la tesi del TAR del Veneto, secondo cui il Crocifisso sarebbe un "simbolo universale di civiltà, di tolleranza, di uguaglianza e di laicità", da esporre con vanto negli uffici pubblici.
La storia di quel simbolo, in realtà, gronda di sangue, di genocidi, di torture, di assassini, di razzismo, di intolleranza, di superstizione, di oscurantismo, di prevaricazione dei diritti umani, e via dicendo.
Non crediamo che vi sia nulla di che stimarsi per quel simbolo e per ciò che esso, di altamente negativo, rappresenta per tutta l'umanità. Esporre nei luoghi pubblici il crocifisso, dunque, significa anche identificarsi con la storia criminale di quel simbolo, offendendo la dignità di chi crede realmente nei valori dell'eguaglianza, della libertà, della tolleranza, dei diritti umani e della laicità ed offendendo, altresì, la memoria dei milioni di poveri disgraziati che sono stati assassinati, torturati, discriminati, inquisiti, ghettizzati, prevaricati ed emarginati, in nome di quel simbolo, durante 1.700 anni di nefasta storia della Chiesa Cattolica.
Se qualcuno ha l'impudenza di volersi identificare in questo simbolo, che gronda di criminalità, lo faccia pure: si astenga, però, dall'imporre gli aspetti criminali di quel simbolo al dott. Luigi Tosti, che crede realmente nei valori della tolleranza, dell'eguaglianza, della libertà e del rispetto dei diritti umani.
CONCLUSIONI
Come già scritto, non intendo recedere dalla mia lotta contro la prevaricazione dell'imposizione dei crocefissi: se lo Stato ci tiene tanto a questi simboli e li ritiene legittimi e non lesivi dei miei diritti, deve rimuovere il giudice che non intende subirli. Il problema è così risolto.
Nessuno, però, speri di indurmi a dimettermi volontariamente dalla magistratura -come mi è stato implicitamente suggerito dal Tribunale dell'Aquila e dalla Procura Generale con l'evidenziazione che "il mio rapporto di impiego è sorto e tuttora in corso per mia libera determinazione": questa circostanza, infatti, non autorizza lo Stato a ledere miei diritti costituzionali né, tanto meno, a sostenere che, se non mi aggrada che lo Stato leda i miei diritti, posso pure dimettermi.
Per i motivi sopra esposti chiedo il rigetto della richiesta di sospensione dalle funzioni: non mi oppongo, invece, alla totale sospensione dello stipendio, che ho già vanamente chiesto.
Mi permettono, con finalità solo apparentemente sarcastiche, di indicare i motivi per i quali sarebbe "auspicabile" accogliere la richiesta di sospensione dalle funzioni.
1°) MOTIVO- L'attuale Pontefice ha dichiarato, nell'agosto scorso, che i crocefissi debbono essere esposti negli uffici pubblici Italiani: dal momento che l'Italia è una "colonia" del Vaticano (non si spiegherebbe, altrimenti, una ingerenza di questa portata, che viola la Costituzione italiana e contrasta e disapplica le sentenze della Corte di Cassazione) si impone l'osservanza assoluta delle "direttive" della Madrepatria;
2°) MOTIVO- La sentenza della Cassazione penale n. 4273/2000 è stata sconfessata e sbeffeggiata anche da Mons. Giuseppe Molinari, Vescovo dell'Aquila, che, commentando l'iniziativa legale dell'Avv. Dario Visconti di chiedere la rimozione dei crocifissi dai seggi, l'ha bollata (si produce copia articolo di stampa) come "stupida e vergognosa", sicché sarebbe oltremodo sconveniente contraddire tale autorevole dictat.
Chiudo con le parole di Gustavo Zagrebelski, tratte da Repubblica, venerdì 25.11.2005: "La Chiesa -nelle sue attuali espressioni gerarchiche- per affermare i suoi principi morali, privilegia, e persino ostenta, il rapporto che detiene con capi politici o dirigenti di gruppi, associazioni, movimenti che organizzano il consenso da cui, in democrazia, alla fine, anche le fortune dei capi politici dipendono. Li convoca, li raduna, vi si mescola, li seduce e, dove occorre, li ammonisce; ed essi si fanno convocare, radunare, mescolare, sedurre e ammonire, non mancando ragioni di convenienza per farlo.
La commistione e la collusione non sono forse mai state, negli ultimi tempi, tanto evidenti. Guardiamo ai comportamenti. Che cosa ci dicono gli incontri, quelli che vediamo e i tanti altri che non vediamo, tra uomini di Stato e di Chiesa, tra melliflui sorrisi e reciprochi salamelecchi, in cui la religione si compromette alla politica e la politica alla religione; quegli incontri da cui scaturiscono attese di appoggio alle aspirazioni degli uni e degli altri che si traducano in indicazioni elettorali e privilegi legali? Tra molti credenti e molti non credenti, per ragioni sia di fede che di democrazia, cresce l'insofferenza, nella stessa misura in cui crescono i privilegi della Chiesa cattolica -quei privilegi cui essa si è dichiarata disposta a rinunciare quando facessero scandalo (e sarebbe il caso di riconoscere che fanno effettivamente scandalo)- e cresce la corsa all'investitura ecclesiastica del nostro ceto politico".
Rimini-Roma, 13 gennaio 2006
:
Luigi Tosti
Via Bastioni Orientali 38 - 47900 RIMINI
tel. 054179323
mobile 3384130312
tosti.luigi@alice.it
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Nella foto, il giudice Luigi Tosti

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