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sabato, maggio 09, 2009

 

GLI IMBECILLI CHE CREDONO ALLE IDIOZIE DEI PRETI SONO SEMPRE DI MENO

Fa lo sciopero della fame: «Troppi disertano messa»
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La storia Il sacerdote trevigiano ha digiunato tre giorni, poi ha preso carta e penna. Ora aspetta domenica per vedere se qualcosa è cambiato. Il prete di Campigo: ho scritto a tutti, tornate in chiesa

CAMPIGO (Treviso) — Non c’entra niente il collega don Camillo, che Guareschi fece digiuna­re per contestare il gemellaggio tra Brescello e una cittadina russa combinato dal sindaco Peppo­ne. E non l’hanno influenzato nemmeno Pannel­la o la Mussolini. Per le sue 72 ore di sciopero del­la fame contro la disaffezione dei fedeli nei con­fronti della messa don Eros Mario Pellizzari, 47 anni di simpatia e iperattività, si è ispirato a Gan­dhi e «ai tanti cattolici che nei secoli si sono sacri­ficati per il bene dell’umanità». Il parroco di Cam­pigo da domenica a mercoledì notte è rimasto in chiesa a pregare e a leggere meditazioni sulla Ma­donna, concedendosi solo acqua, per richiamare l’attenzione delle pecorelle smarrite. Ha dormito otto ore in tutto.

Padre, ma come le è venuto in mente? «E’ stato un gesto estremo, un’intuizione, un messaggio d’affetto ma anche un appello alla co­munità. Tutto è nato dalle missioni popolari: dal 21 marzo al 5 aprile i missionari sono andati nel­le case del paese, a parlare con la gente. E’ emerso che il maggior cruccio di genitori e nonni è vede­re i loro ragazzi snobbare la messa. E allora, pen­sando proprio ai genitori che per il bene dei figli rinunciano anche al cibo, a Gandhi e ai cattolici che si sono sacrificati, mi è venuta l’idea del di­giuno. Ho voluto combattere l’anoressia spiritua­le».

Ha raggiunto l’obiettivo? «Lo vedrò domenica, primo vero test, benchè non mi aspetti grossi risultati immediati. Non sa­rebbe saggio, anche se un segnale è arrivato. Du­rante il digiuno la chiesa è rimasta aperta giorno e notte e 150 persone si sono alternate a farmi compagnia. Tra loro non c’erano solo gli 'affezio­nati' ma pure giovani che non vedo alla messa. In quelle ore ho scritto una lettera personalizzata a tutti gli abitanti dai 20 ai 40 anni non sposati, con l’esortazione: 'Vedi tu se è giunto il momen­to di ritornare in chiesa'. L’ho fatta consegnare da genitori e nonni e so che più di un destinata­rio si è commosso».

Ma perchè i veneti disertano la chiesa? «Non perchè non abbiano fede o valori, che emergono nei momenti importanti, e nemmeno perchè non mantengano buoni rapporti con la Chiesa. I veneti, generosi, lavoratori e irreprensi­bili dal punto di vista morale ed etico, hanno sem­plicemente perso l’abitudine della pratica religio­sa. Si sono impigriti, anche perchè a differenza del passato la funzione domenicale non è più una scelta di massa ma personale, che induce ad andare controcorrente. E in un paese di 1500 ani­me differenziarsi non è facile per un giovane. Che, al contrario, vuole distinguersi dalla fami­glia, tornata alla Chiesa perchè desiderosa di im­porre ai figli un’educazione religiosa. Risultato: solo il 25% della comunità viene a messa e i più assidui sono gli anziani».

Forse perchè si tende ad aggrapparsi alla fe­de alla fine della vita e nel dolore. «E infatti i santuari sono pieni di gente che sta male. Viviamo nel benessere, i bisogni materiali sono più che soddisfatti e ci si è dimenticati della fame di Dio, perchè si può vivere anche senza e trovare altrove la felicità. Si è sazi di tutto, però nel momento del bisogno chi non si è costruito una forza spirituale, che consente di superare tut­to, crolla. Il mio digiuno è stata una mossa pre­ventiva, per dire al fedele: attento a non trascura­re l’interiorità, perchè arriverà il giorno in cui ti servirà».

La Chiesa però non fa granchè per adeguarsi ai tempi. «Io ci provo, con messe musicali per ragazzi e caramelle e cioccolata distribuite ai bambini a fi­ne messa».

La piaga dei preti pedofili non aiuta. «E’ vero, noi sacerdoti siamo in trincea e la gen­te ci giudica giorno per giorno per quello che fac­ciamo, non per ciò che diciamo. Non si può bara­re ed è giusto che chi sbaglia, paghi».

Come vede la battaglia di don Sante Sguotti, il prete-papà, contro il celibato dei preti? «L’obbligo deriva da una legge ecclesiastica, non divina, ma lo condivido: quando si trova il meglio non si ha bisogno di altro e poi io sono innamorato della mia missione. Se sei a disposi­zione degli altri full time, non hai tempo per una famiglia tua. In Veneto si dice che la moglie è la croce e il marito il crocefisso: noi preti la nostra croce l’abbiamo già, perchè andarcene a cercare un’altra?» (ride).

E il divorzio mediatico del premier Berlusco­ni: ha spostato i voti dei cattolici? «Ma no. Io sono a Campigo da dodici anni, co­nosco i miei parrocchiani uno per uno e so benis­simo cosa votano: un terzo Lega, un terzo Pd e un terzo Pdl. Continueranno così: i veneti sono con­creti e tolleranti, episodi simili hanno peso in America, non da noi».

E lei, cittadino del mondo, lo sa bene. «Sono nato in Australia, a Brisbane, da emi­granti, e a quattro anni sono tornato a Treviso. Mi sono diplomato ragioniere, ho fatto il barista a Jesolo e a 21 anni sono entrato in seminario. Conosco i problemi della gente, il prete veneto è un prete sociale: la mia parrocchia ha raccolto 4 mila euro per i terremotati e ha istituito un fondo per aiutare le famiglie in difficoltà a pagare la rata del mutuo, l’affitto, le bollette».

E’ tornato in trincea subito dopo il digiuno? «Sì, non ero per niente stanco. Ho mangiato due bruschette preparate dalle parrocchiane, ma non avevo fame, avrei potuto continuare la medi­tazione senza cibo. Non l’avevo mai fatta, ma so­no stato... da Dio».

Michela Nicolussi Moro
Corriere del Veneto
08.05.2009

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