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venerdì, ottobre 31, 2008

 

Dimostrata l’inesistenza degli Apostoli, Gesù Cristo e Sacra Famiglia

DIMOSTRATA L’INESISTENZA DEGLI APOSTOLI,
GESÙ CRISTO E LA SACRA FAMIGLIA.
LIBRO DENUNCIA DI EMILIO SALSI

Tutto falso, niente di vero,
duemila anni di menzogne.
La Storia spazza via la

“Dottrina cristiano-cattolica”.
Ecco la risposta della Storia al

“Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger.

di Emilio Salsi, autore del libro
“Giovanni il Nazireo detto
Gesù Cristo e i suoi fratelli”


Gesù, Vergine Maria e Apostoli: la Storia è in grado di rispondere all’interrogativo, che molti si pongono, se sono esistiti realmente? L’analisi scientifica, mediante la comparazione delle “divine vicende” con la storiografia laica, risponde a questa domanda. Storia, archeologia, numismatica, ricerca critica su testi evangelici e documenti risalenti a secoli addietro, tuttora conservati nelle Biblioteche, ci permettono di dimostrare l’inesistenza dei personaggi sovrannaturali, Gesù, Madonna e Apostoli…San Paolo compreso. Oggi possiamo provare la falsificazione della “testimonianza” di Tacito sulla persecuzione dei cristiani da parte di Nerone... come quella di Giuseppe Flavio sul “Testimonium Flavianum” e “Giacomo, fratello di Gesù detto Cristo”. “Le Nascite” di Gesù narrate nei Vangeli sono diverse, essendo inventate, e, ad iniziare dalla datazione, la Storia smentisce chiunque tenti di sanarne i contrasti.

La recensione degli “Atti degli Apostoli”, riferita alle vicende dei personaggi reali riportati, fa decadere tale “documento” a un puerile libello colmo di menzogne: uno storico serio non può avallare le “recite” di San Paolo in contrasto con le leggi vigenti nell’Impero Romano del I secolo, al cospetto di Pontefici e funzionari imperiali, veramente esistiti, come Tribuni, Procuratori, Re... e Imperatore.

Grazie ai mascheramenti mal riusciti dei personaggi evangelici, la Storia ci consente di individuare l’identità dei veri protagonisti, rivoluzionari patrioti yahwisti, celata sotto le vesti dei santi attori, “Gesù” e “Apostoli”, nel corso dell’evoluzione di una dottrina, inizialmente diversa, durata secoli. Fu la lotta irriducibile contro Roma condotta da una stirpe di Ebrei, discendente dagli Asmonei e pretendente al trono dei Giudei usurpato da Erode e i suoi eredi, a dare origine al “messianismo” del I secolo… in greco “cristianesimo”. Quanto ogni insegnante di Storia deve conoscere prima di trattare l’argomento “Cristianesimo” e ciò che è bene sapere prima di inginocchiarsi sotto una statua o davanti un prete.

In copertina del libro icona del “Concilio di Nicea”. Il concilio di Nicea del 325 d.C. fu voluto, come Pontefice Massimo, dall’Imperatore Costantino per tenere unito l’Impero Romano aggregando le variegate componenti etniche e religiose in un’unica civiltà, identificata in un’unica fede e cultura, valore da difendere, e poter far fronte alla pressione dei barbari che, dai confini, minacciavano la grandezza di Roma.
Il “Cristianesimo” derivò dalla fusione, in un’unica dottrina, di concetti teologici provenienti da filosofie diverse, preesistenti, fra cui i mitologici semidei “Salvatori” pagani e, diversamente dai miti, fu “incarnato” in un uomo, vero, il “Salvatore” universale, unico … ma non fu semplice “conciliare” capi di “ecclesiae”, ognuno dei quali dichiarava essere depositario della autentica “Rivelazione” divina, pertanto, nel IV secolo, si rese necessario indire “Concili” su “Concili” per stabilire la “sostanza” del nuovo Dio da far adorare agli uomini.

Emilio Salsi


Il libro denuncia del cristologo Emilio Salsi
“Giovanni il Nazireo detto Gesù Cristo e i suoi fratelli”
è disponibile su:

www.vangeliestoria.eu

Riferimenti:

www.vangeliestoria.eu
http://nochiesa.blogspot.com
Per interviste, conferenze, convegni e altro tel. 3393188116


“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza.
Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima
o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente,
ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer, Fondatore Premio Pulitzer


Fonte: http://nochiesa.blogspot.com
Diffusione: Axteismo Press l’Agenzia degli Axtei, Atei e Laici
http://nochiesa.blogspot.com


Considerato l’attuale gravissimo stato di censura
e di manipolazione delle informazioni
da parte dei media, si invita alla massima pubblicazione e diffusione.

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mercoledì, ottobre 29, 2008

 

Il calvario di un giudice laico in uno Stato confessionale

In attesa che la Cassazione ponga fine, il 18 novembre prossimo, alla sua vicenda giudiziaria, si prepara a nuove battaglie...

PARLA LUIGI TOSTI, IL GIUDICE PERSEGUITATO PER AVER RIMOSSO IL CROCIFISSO DALL’AULA DI GIUSTIZIA

Il 18 novembre 2008 la Cassazione decide l’esito del ricorso che il giudice Luigi Tosti ha proposto contro la prima sentenza penale del Tribunale dell’Aquila, che lo condannò per aver commesso un fatto che migliaia di giudici avrebbero dovuto commettere prima di lui: ha rimosso il crocifisso dall’aula in cui amministrava la giustizia, motivando che questa giustizia laica, in uno Stato laico e con supposti magistrati laici, è un rito che non può svolgersi sotto il simbolo di una religione.Abbiamo intervistato Luigi Tosti, cominciando col chiedergli se, senza compromettere di una virgola la sua sacrosanta battaglia contro il crocifisso nelle aule di giustizia, non sarebbe opportuno rinunciare a ricordare di continuo, come egli fa, i crimini storici e le incongruenze presenti della Chiesa.

Luigi Tosti: «Avreste perfettamente ragione sul fatto che la laicità prescinde dalla “fedina penale” della religione cattolica e, in effetti, all’inizio della mia battaglia legale non ho fatto valere l'argomento – che peraltro allora non conoscevo in tutta la sua gravità – dei misfatti della Chiesa. In questi quattro anni di battaglia legale, però, mi sono scontrato con “giudici”, ovviamente cattolici, che hanno avuto l’impudenza e l’arroganza di scrivere, nelle sentenze, che il privilegio dell’esposizione del solo crocifisso negli uffici pubblici è giustificato dal fatto che il cristianesimo è la religione che, per eccellenza, incarna i valori della civiltà, della fratellanza, del rispetto reciproco, dell’eguaglianza e della tolleranza, nonostante le crociate, l’Inquisizione e via dicendo. Di fronte a questo argomento “giuridico” ho dovuto necessariamente replicare facendo notare:1°) che, se anche fosse vero che il Cristianesimo si è particolarmente distinto, nella sua storia, per la pratica di quei valori, questo non sarebbe un argomento valido per giustificare un qualsiasi privilegio, dal momento che vi sono “anche” altre religioni e altri movimenti ideologici che hanno propugnato gli stessi valori e, dunque, anch’essi meriterebbero gli stessi diritti;2°) che, in realtà, il principio di laicità implica che tutte le religioni debbano rimanere fuori dalla sfera pubblica, sicché nessuna di esse può rivendicare il diritto di invadere questa sfera, accampando particolari “meriti”;3°) che, infine, le affermazioni sul conto del Cristianesimo e, in particolare, sul conto del Cattolicesimo, erano delle impudenti menzogne perché, in realtà, la Chiesa Cattolica si è macchiata di una serie incredibile di crimini contro l’umanità, condividendoli di Papa in Papa per circa 2.000 anni, sicché l’esposizione del crocifisso nei tribunali è un oltraggio alla civiltà e alla memoria di centinaia di milioni di esseri umani, vittime della Chiesa, ben più grave dell’esposizione della croce uncinata nazista.»

g.c.s.: «Ma non crede che, abbassando il tiro e concentrandolo sulla rimozione del crocifisso, avrebbe maggiori possibilità di spuntarla?»

Luigi Tosti: «Sono perfettamente consapevole che, adottando strategie che alcuni qualificano come “prudenti”, si potrebbe (ma è solo un’ipotesi) ottenere qualche risultato: questo non rientra, però, nel mio carattere, tantomeno in questa fase finale della mia vita. La verità è che in Italia esiste una sola religione arrogante e presuntuosa, che è quella cattolica».

g.c.s.: «E le altre religioni?»

Luigi Tosti: «Tutte le altre osservano il principio costituzionale di laicità, anche perché non hanno la possibilità materiale di violarlo. Io rispetto ovviamente il diritto di chiunque di credere in quello che vuole, ivi inclusi maghi, cartomanti e altri ciarlatani: pretendo, però, che nessuno di costoro invada la sfera pubblica e limiti, in nome delle sue credenze, i diritti di libertà altrui. Purtroppo la realtà è un’altra, e anche qui la devianza è da imputare alla Chiesa: emblematico e vergognoso è il caso dell’Englaro, dove i cattolici pretendono di dettare le loro ridicole leggi divine invadendo il diritto alla vita degli altri, sino al punto di negare un atto di pietà e torturare un essere umano per 16 anni.Di fronte a queste cose non posso rimanere insensibile e non posso non gridare la mia rabbia e il mio disprezzo nei confronti di questi integralisti criminali».

g.c.s.: «Anche a prezzo di essere condannato?»

Luigi Tosti: «Preferisco soccombere come leone, piuttosto che come pecora: anche perché io non faccio parte di alcun gregge, tantomeno del gregge governato dal Pastore tedesco.Che poi in Italia vi sia carenza di senso civico e che ognuno pensi ai propri interessi personali, è un dato di fatto sul quale non potrà influire la scelta di una strategia di lotta piuttosto che un’altra: il senso civico di un popolo si matura in tempi lunghissimi.»

g.c.s.: «Dunque, sul piano penale, tutto si gioca il 18 novembre...»

Luigi Tosti: «Sì, la decisione della Cassazione sarà quella che taglierà la testa al toro.»

g.c.s.: «E che ne è della tirata d’orecchi che ti inflisse il Csm?»

Luigi Tosti: «Il 1° luglio scorso è stato discusso in Cassazione civile il ricorso che avevo presentato contro la delirante condanna disciplinare del Csm, compulsato dal grandissimo Ministro Mastella, e, come forse saprai, la Cassazione me lo ha dichiarato “inammissibile” perché “tardivo” per un giorno, senza però considerare che quel giorno era festivo e, dunque, la scadenza slittava, per legge, al giorno successivo non festivo.»

g.c.s.: «Una svista?»

Luigi Tosti: «No, un deliberato errore volontario, per non esaminare il mio ricorso e non darmi ragione. Ora sto scrivendo altro ricorso, per chiedere l’annullamento di questa sentenza: come vedi, però, lo stillicidio persecutorio, posto in essere col coraggio del branco, mette a dura prova la resistenza dei nervi. E allora, mi riesce difficile far finta che la Chiesa cattolica non sia – come ho pubblicamente dichiarato nelle udienze dinanzi al Csm e dinanzi al Tribunale penale dell’Aquila – la più grande associazione per delinquere e la più grande banda di falsari della storia (guarda caso, nessuno mi promuove procedimenti penali per “vilipendio”).»
::::::::::::::
La prossima udienza
del giudice Luigi Tosti (come imputato)
è prevista al mattino del 18 Novembre 2008
alla Corte di Cassazione
Sesta Sezione Penale di Roma, Piazza Cavour
L’udienza è aperta al pubblico
previa esibizione di documento personale.

 

Atti convegno Arpiola di Mulazzo

PRIMO CONVEGNO LAICO
Arpiola di Mulazzo 18 e 19 ottobre 2008

ALLE ORIGINI DEL SACRO
di Angelo Napolitano avv.anapolitano@alice.it

INTRODUZIONE

Le problematiche che riguardano la religione e, più in generale, il rapporto col sacro, sono state al centro di mie abbondanti letture. Per alcuni decenni ho letto e studiato autori impegnati prevalentemente ad affermare o negare l'esistenza di dio; la storicità o meno della figura di Gesù Cristo; la veridicità o la natura leggendaria della Bibbia; la logicità o la contraddittorietà dei vangeli; la storia dei concili; la storia dei papi e il loro rapporto col potere, con particolare riferimento alle vicende italiane.

Mi sono interessato delle altre religioni monoteiste, l'ebraismo e l'islamismo, anch'esse fondate sulla medesima Bibbia accolta dal cristianesimo; delle religioni orientali e di quelle meno diffuse, comprese le forme di religione del passato ormai pressoché estintesi: quella greco-romana; quella dell'Egitto; lo zoroastrismo; le religioni dei popoli mesopotamici; le religioni totemiche e animistiche delle civiltà sviluppatesi prima che si possa parlare di storia, la cui conoscenza è affidata non a testi scritti bensì a reperti archeologici.

E' stato ben presto inevitabile prendere atto che il fenomeno religioso è decisamente antico, verrebbe da dire che è nato con l'uomo, così come sostengono coloro che affermano che nel cuore dell'uomo è stata posta una scintilla divina.

E' stato altrettanto inevitabile prendere atto che quasi tutte le religioni propagandano e promettono, di volta in volta, pace, prosperità, abbondanza, salvezza, vita eterna; ma ho constatato anche che la storia dell'umanità è costellata da sanguinose guerre di religione, quanto meno da pregiudizi e fanatismo, perché ogni fedele è convinto che la sua religione sia l'unica vera, e pare che ciascuno degli dei messi a capo delle varie religioni reclami, pretenda, imponga il proselitismo presso gli infedeli e l'annientamento di quanti non si sottomettono alla sua signoria assoluta.

A tal punto si impone una riflessione: se è vero che le origini della religione si perdono nella notte dei tempi; se è vero che essa è un bisogno dell'uomo e, come tutti i bisogni, dovrebbe essere risolto o, tutt'al più, lasciato in santa pace, è altrettanto vero che questo bisogno è stato puntualmente e costantemente amplificato e strumentalizzato a fini politici. E' anche vero, però, che la politica è stata spesso strumentalizzata ai fini della propaganda religiosa.

A tal proposito osservava Donini (Storia del cristianesimo, cit., pag. 14):
"Non fu l'impero romano a convertirsi al cristianesimo all'inizio del IV secolo; ma, all'inverso, il cristianesimo fece proprie le strutture statali, destinate a perpetuare le antiche forme di dominio di classe, attraverso un controllo non meno duro e sanguinoso sugli strati subalterni."

Se ne potrebbe concludere che la religione appare non essere una cosa seria, perché sembra che non sia sentita e praticata seriamente proprio da coloro che se ne definiscono i difensori e/o gli unici interpreti.
Per esempio, se i pontefici hanno sempre dichiarato di promuovere e diffondere il vangelo dell'amore e della pace, non si comprende perché, per secoli, si siano macchiati di orrendi delitti ai danni di singoli (i dissidenti e gli oppositori), di intere comunità (i cc.dd. eretici), di interi popoli (le crociate contro l'Islam, l'antisemitismo).

Qualche anno fa mi è tornata alla memoria una frase di Engels riferita al cristianesimo (riportata da Ambrogio Donini nel suo Storia del cristianesimo, Teti, 1975, pag. 8):

"Una religione che ha sottomesso a sè l'impero mondiale romano, e che ha dominato per 1800 anni ancora la massima parte dell'umanità civile, non la si liquida spiegandola puramente e semplicemente come un insieme di assurdità originate da impostori. Si liquida, semmai, solo quando se ne sappia spiegare l'origine e lo sviluppo, dalle condizioni storiche nelle quali è sorta fino al raggiungimento del dominio su una vasta parte del mondo.
Si tratta precisamente di risolvere la questione di come accadde che le masse popolari dell'impero romano preferirono questa assurdità a tutte le altre religioni, tanto che alla fine l'ambizioso Costantino poté vedere nell'adozione di questa assurda religione il mezzo per affermarsi come unico dominatore del mondo romano".

Si è così imposta una modifica dell'oggetto delle mie letture: non più cercare di capire se è vera o non è vera l'ipotesi dell'esistenza di un entità trascendentale, con tutto ciò che ne consegue, per i cristiani, in termini di altre credenze (incarnazione, nascita verginale, miracoli, resurrezione), ma piuttosto andare a ritroso nel tempo per cercare di capire l'origine e lo sviluppo dell'idea stessa di religione.

Così, da riminiscenze scolastiche, è riaffiorato un pensiero attribuito a Tito Lucrezio Caro, poeta latino del I sec. e.a.:
"Primus in orbe deos fecit timor, ardua coelo fulmina cum càderent"
[La paura, per prima al mondo, ha creato gli dei, allorquando terribili fulmini si abbattevano dal cielo.].

E' riaffiorato anche il ricordo di un pensiero di Aristotele (Politica I; IV secolo e.a.):
"Quanto agli dei, se tutti gli uomini affermano che gli dei stessi sono sottoposti a dei re è perché anch'essi ora o in passato furono governati da re, e come raffigurano gli dei a propria immagine e somiglianza così attribuiscono ad essi una vita simile alla loro propria.

E poi mi è tornato alla mente un certo Senofane di Colofone, del VI secolo e.a., il quale affermava:
Fr. 15: Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero le mani e con esse potessero disegnare e fare ciò che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi, e farebbero simulacri foggiati così come ciascuno di loro è foggiato.
Fr. 16: Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri; i Traci dicono che hanno gli occhi cerulei e i capelli rossi.

E' evidente, quindi, che la ricerca dell'origine della religione, meglio, dell'origine dell'idea del sacro, deve spingersi nella preistoria, tra gli ominidi e tra le specie umane che hanno segnato le tappe dell'evoluzione dell'Uomo.

Giova una precisazione su una questione di metodo: per procedere ad indagini in un'epoca per la quale non esistono testi storici, ci si affida a reperti frammentari, alle scienze ed alla logica. In particolare, va osservato che qualsiasi oggetto, così come qualsiasi elaborato culturale di una qualche complessità, presuppongono un oggetto o un elaborato culturale meno complesso; per gli oggetti si arriva alla scoperta della materia prima e alla presenza di un artigiano che l'abbia trasformata in manufatto; per gli elaborati culturali, a ritroso, si risale a sistemi sempre più semplici, fino a risalire al momento del salto da zero a uno, e questo vale per tutte le manifestazioni dell'intelletto, ivi compresi i sistemi religiosi.



UNO SGUARDO NELLA PREISTORIA

L'espressione Uomo Primitivo chiamato in causa nel corso di queste riflessioni, è difficilmente collocabile dal punto di vista storico e temporale. Certamente ci si riferisce all'Uomo del Paleolitico, periodo che è compreso tra 3 milioni e 10.000 anni fa.

A meno che non si voglia credere ai fatti leggendari che ogni religione propone in merito all'origine dell'uomo (per il cristianesimo valgono le leggende e i miti biblici, per secoli imposti come verità di fede, indiscutibili a pena di rogo), bisogna aderire alla teoria evoluzionista di Darwin, secondo cui gli uomini e le specie animali si sono trasformati ed evoluti nel corso di milioni di anni fino a raggiungere la forma attuale. Nell'ambito di questa evoluzione, l'uomo e la scimmia hanno un'origine comune.

E' nostra esperienza quotidiana che quasi tutte le specie animali sanno cos'è la paura. E' lo stesso istinto di sopravvivenza che si allerta davanti al pericolo, e il più delle volte il pericolo proviene dall'incognito. Ciò che non conosciamo, ciò che non riusciamo a spiegarci con le nostre facoltà mentali, ci fa paura.

Ovviamente i fenomeni di cui non abbiano consapevolezza, nemmeno a livello istintivo, non spaventano noi e non spaventano alcun animale, così come non spaventano i bambini. Una delle preoccupazioni comuni a tutti genitori è che il proprio figlioletto che cominci ad esplorare la sua cameretta, com'è normale che sia, finisca per infilare le dita in una presa della corrente. Le precauzioni adottate e poi l'informazione trasmessa dai genitori evita che il bambino resti fulminato.

Ma nei tempi di cui ci vogliamo occupare, non c'erano soggetti più consapevoli che potessero predisporre precauzioni o dare informazione ai soggetti meno consapevoli. L'uomo è stato costretto a capire tutto ciò che lo circondava sulla propria pelle.

LA MORTE
C'è stato un lungo periodo di tempo nel quale l'uomo non aveva consapevolezza né della propria vita e né della propria morte, proprio come ancora oggi non ce l'ha un infante e non ce l'hanno gli animali.

A molti di noi sarà capitato di vedere un insetto morto e di constatare che i suoi simili restano del tutto indifferenti di fronte al corpo inanimato del proprio simile. Vero è che vi sono specie animali per le quali le madri si attardano accanto ai loro piccoli morti, e ci sembra finanche che manifestino dolore. Ma dura ben poco, e nessuna di esse indaga sul significato di quella morte; men che meno ci sono animali che organizzino funerali e sepolture per i propri defunti.
Analogamente è stato un tempo per i nostri progenitori.

Nel lungo processo evolutivo, l'uomo ha cominciato a prendere coscienza della sua esistenza sulla terra e del fatto che l'esistenza avesse un termine, naturale o in forma traumatica. E se la morte da trauma, intervenuta magari nel corso di fenomeni atmosferici o durante uno scontro tra clan, o durante la caccia, poteva essere assimilata alla morte degli stessi animali cacciati o uccisi per difesa, la morte naturale doveva suscitare qualche perplessità.

L'uomo ha cominciato a sentire sempre più forte il dolore per il compagno o la compagna che non si svegliava più; per il capo clan forte e coraggioso non più operativo; per il piccolo che non sarebbe più diventato adulto.
La morte, in quanto fenomeno naturale sconosciuto, incomprensibile, cominciò a fargli paura. Una paura che ancora ci portiamo addosso.

L'uomo che abitava le caverne avrà vegliato nei pressi di un corpo inanimato per qualche giorno, in attesa del risveglio. Poi per quel corpo è cominciato il processo di decomposizione, e il forte odore non solo non sarà stato gradevole, ma avrà costituito un richiamo per animali predatori.

Ben presto quel corpo è stato seppellito, ma solo per motivi igienici e di sicurezza. Tutto ciò ci viene rivelato dai primi reperti archeologici relativi a sepolture, risalenti a circa 130.000 anni fa. Il corpo è stato sistemato in posizione rannicchiata, forse perché era la posizione assunta nel sonno, forse per problemi di minore ingombro e di minore lavoro, e intorno ad esso non sono stati deposti né oggetti, né altro.

E' stata, invece, colorata di rosso la parte corrispondente alla testa, a riprova dell'identificazione del principio vitale con il sangue. In altre sepolture anche le spoglie del defunto e tutto il terreno di sepoltura risultano essere stati colorati con ocra rossa.
Ancora oggi, d'altra parte, presso alcune popolazioni i morti rinchiusi nella bara vengono avvolti in un drappo rosso; il medesimo rituale si osserva in occasione della morte del papa.

Verosimilmente, era convinzione di quelle tribù che il defunto potesse risvegliarsi, e in tal caso, si cercava di favorire il rifiorire del principio vitale.

IL SOGNO
Nel corso del processo evolutivo l'uomo ha altresì preso coscienza della sua attività onirica, e nel momento in cui il defunto è apparso in sogno ad uno o più degli appartenenti allo stesso clan, ci si è interrogati sul significato delle visioni notturne, proprio come ancora accade nel XXI secolo.
Rivedere il defunto nella sua gestualità quotidiana, sentirne ancora la voce, raccoglierne richieste, comandi; rivederlo usare le armi per la caccia o per la guerra, certamente ha indotto i nostri progenitori a ipotizzare una dimensione altra nella quale il defunto continuava a vivere.
Si calcola che questa nuova fase abbia avuto inizio nel periodo compreso tra 100.000 e 40.000 anni fa, nell'ultimo periodo del paleolitico, quando la convivenza umana stava raggiungendo un livello di sviluppo relativamente alto; quando comparve il c.d. Homo sapiens sapiens.

Avuta la prova della prosecuzione della vita oltre la morte, il culto dei defunti avrà subito una notevole evoluzione, ma per molto tempo ancora l'uso di seppellire i morti risponderà ad una sola preoccupazione: assicurare al defunto la continuazione di una vita materiale senza alcuna implicazione sacrale o religiosa.

Il cadavere veniva messo a giacere disteso tra due lastre di pietra o rannicchiato, con le gambe piegate nella posizione del sonno, rivestito dei suoi indumenti abituali. A portata di mano venivano collocate le sue armi e gli oggetti di uso quotidiano; cibo e persino i corpi di animali uccisi, affinchè di essi il defunto potesse continuare a cibarsi. Si pensava, in sostanza, che il defunto continuasse a vivere da qualche altra parte, così come attestavano le visioni notturne.



DAL TOTEMISMO ALL'IDOLO

Parallelamente al culto dei morti, sempre secondo le indagini scientifiche, si andava sviluppando il totemismo, che è forse la più antica forma di religione che la storia dell'uomo offra al nostro esame.

Per i nostri progenitori il totem rappresentava il vincolo di parentela che intercorreva tra i membri del clan e il loro capostipite, presunto o reale; in esso si concretizzava l'identità di un clan.

Il Totem poteva essere un elemento della natura, sia in senso propiziatorio (terra, sole, mare), per manifestare una sorta di devozione nei confronti degli elementi naturali positivi e vitali; sia in senso apotropaico (fulmine, tenebre, la stessa morte) per scongiurare la presenza degli elementi negativi e mortiferi.

Il Totem poteva essere un animale, e anche in tal caso sia in senso celebrativo e propiziatorio (bisonte, vitello, capra) verso quegli animali che assicuravano la sopravvivenza del clan; sia in senso apotropaico, per scongiurare la presenza di animali pericolosi e temuti (serpente, leone, tigre).

Nel corso dei millenni, l'acquisita consapevolezza della prosecuzione della vita oltre la morte ha determinato l'elevazione a totem del capo defunto, sicchè, per la prima volta, un altro essere umano veniva idealizzato, mitizzato, reso idolo.

In quel preciso momento nasceva l'Homo religiosus; in quel preciso momento l'uomo ha compiuto il salto da zero a uno, sicchè poi è stato assai semplice -si fa per dire- procedere da uno a infinito lungo l'immaginazione, l'invenzione di tutti gli altri elementi che caratterizzano la seconda vita; la vita parallela, fino a proiettarla, nell'immaginario, come vita eterna, dannata o beata a seconda dell'osservanza di regole poste da altri uomini; fino a popolarla di dei maggiori e minori, ognuno dei quali preposti ad una specifica funzione, organizzati in una specie di regno celeste fatto ad immagine e somiglianza dei regni terreni. Esattamente come ipotizzava Aristotele.

Il capo veniva ora venerato come guida, protettore, elargitore di virtù e dispensatore di punizioni qualora se ne fosse oltraggiata la memoria o, più semplicemente, qualora se ne fossero disattese le direttive manifestate in vita, o quelle comunque a lui attribuite dopo la sua morte. Lo si era cioè trasformato in idolo.

A lui andavano rivolti sacrifici, preghiere e riti magici, affinchè continuasse a prestare la sua protezione e a mantenere la sua potenza a disposizione del clan. Egli diventava ora il padrone, il creatore e doveva essere onorato come essere superiore, appartenente a quella dimensione separata, misteriosa, incomprensibile, temibile e terrificante che segnava il confine tra la vita e la morte.

Questa medesima concezione totemica rimane ancora nelle figure dell'angelo custode (totem personale) o del santo patrono (totem collettivo).
Dall'esperienza della spiritualizzazione, o meglio, della sacralizzazione, dei defunti nascerà a Roma il culto degli antenati, vera e propria venerazione delle divinità domestiche, i Lari e i Mani, o anime dei defunti, commemorati tra 13 e il 21 febbraio, nei cc.dd. dies parentales.

Il passaggio dalla sacralizzazione dei defunti alla sacralizzazione dei viventi si imporrà nel momento in cui si formeranno classi contrastanti, sicché il gruppo dominante, a sua volta dominato da un capo, innalzerà il capo stesso al rango di idolo, assurto ora al paradigma del sacro, per meglio poter dominare sui viventi,.

Significativo può essere il Preambolo del Codice di Hammurabi (Impero babilonese, XVIII sec. e.a.) recita:

«Quando Anu il Sublime, Re dell’Anunaki, e Bel, il signore di Cielo e terra, che stabilirono la sorte del paese, assegnarono a Marduk, il pantocratore figlio di Ea, Dio della giustizia, il dominio su ogni uomo sulla faccia della terra, e lo resero grande fra gli Igigi, essi chiamarono Babilonia dal suo illustre nome, lo resero grande sulla terra, e vi fondarono un sempiterno regno, le cui fondamenta sono poste tanto saldamente quanto quelle di cielo e terra; poi Anu e Bel chiamarono per nome me, Hammurabi, il principe esaltato, che temeva Dio, ad imporre la giustizia sul paese, a distruggere gli empi ed i malfattori; così avrei regnato sulla gente dalla-testa-nera come gli Shamash, ed illuminato il paese, per accrescere il benessere dell’umanità.»

Secondo Donini (Breve storia delle religioni, cit., pag. 118) La concezione antropomorfica della divinità ha incominciato a prevalere dal momento in cui la struttura di classe ha collocato alcuni individui in posizione di privilegio nei confronti della grande maggioranza degli uomini. Il dio-padrone ha allora assunto in sè tutti gli elementi delle precedenti esperienze religiose.



LA SACRALITA'

E tra gli elementi della nuova religione, certamente v'era il preesistente carattere della sacralità. Gli studiosi sono tutti concordi che prima dell'idea di dio e dell'idea di religione, che costituisce l'insieme di credenze, di miti e di riti che lega l'uomo alla divinità, è insorta l'idea del Sacro. Infatti, intanto c'è una religione, in quanto l'uomo intende mettersi in relazione con l'oggetto delle sue credenze.

L'opposizione tra sacro e profano è stata identificata dagli antropologi come una di quelle coppie di concetti che nascono dal bisogno di definire un modello di ordinamento del mondo basato sul contrasto tra un polo positivo e uno negativo: maschio-femmina; puro-impuro; bene-male; carne-spirito.

Tutto quanto si è detto in riferimento allo sviluppo del culto dei morti ed alla sovrapposizione della religione antropomorfica a quella totemica, avviene sotto il paradigma del concetto di sacro.

Sacro, dal latino sacer, vuol dire separato, non degli uomini; ad esso si oppone il Profano, dal latino profanus; da pro davanti, e fanum, tempio (da cui fanatico). Quindi, ciò che è fuori dal tempio, ciò che non è sacro ed è quindi degli uomini.

Nei templi greci la statua del dio era situata nel naos, cioè in una cella alla quale poteva accedere solo il sacerdote; gli altri sostavano nel pronaos, cioè davanti al naos; ancora oggi nelle chiese cristiano-ortodosse la zona dell'altare (presbiterio) è divisa dal resto della chiesa da una struttura (iconòstasi) che separa il dio dai fedeli.
Tutto ciò sottolinea ed accentua il senso del mistero strettamente connesso all'idea del sacro.

Ma sacer ha anche un significato negativo.
Nel diritto romano arcaico (Leggi delel XII Tafole; V sec. e.a.) c'era una terribile condanna per chi si macchiava di delitti gravi; di quel soggetto si diceva: sacer esto, cioè sia sacro, nel senso di sia separato, cioè espulso dalla comunità, dal clan; una sorta di scomunica.

E Virgilio, nell'episodio di Polidoro (Eneide, Libro III. Il re Priamo, temendo per le sorti di Troia, aveva affidato il tesoro della città al figlio Polidoro, mandandolo presso Polimestore, l'amico re della Tracia. Dopo la caduta di Troia Polimestore uccide l'ospite per impossessarsi dell'oro), usa l'espressione sacra fames auri, quid non cogis pectora mortalium "maledetta fame dell'oro, a cosa non spingi il cuore degli uomini".
Tutto ciò sottolinea ed accentua il senso del terrificante e del punitivo, anch'esso strettamente connesso all'idea del sacro.

La morte ha sempre rappresentato l'aspetto più misterioso e più terrificante nella vita dell'uomo. Allorquando i nostri progenitori hanno preso coscienza che i defunti continuavano a vivere, nelle sepolture è comparsa una grossa lastra posta sul petto della salma, per evitare che il defunto potesse tornare alla dimensione terrena contaminandola.
Il tabù nei confronti dei cadaveri è tuttora fortissimo. Profanare un morto costituisce un sacrilegio; ma anche il semplice toccarlo comporta una contaminazione.

E' viva nella mia memoria la preoccupazione dei miei genitori e dei loro coetanei i quali, tornando da un funerale, correvano a lavarsi le mani, residuo dei più complessi riti di purificazione imposti a chi avesse avuto un contatto con un cadavere; ed era assolutamente interdetto entrare in casa di altri, se prima non si era passati dalla propria casa, per non trasferire ad altri il segno della contaminazione.

La dimensione altra nella quale i defunti erano stati collocati per effetto dell'esperienza del sogno rappresentava già di per sè una dimensione separata, cioè sacra.
E' evidente, pertanto, che il processo di creazione degli idoli, delle divinità, è avvenuto costantemente sotto l'insegna della separazione, della sacralità, del tabù.
Da una parte la sacralità attribuita ai defunti, al capo tribù, al re, al dio invisibile; dall'altra il mondo dei profani, dei sudditi-fedeli e dei fedeli-sudditi.

Al di là delle diverse forme nelle quali si è storicamente espresso il rapporto tra il sacro e il profano, tra la casta sacerdotale e la massa dei profani, cioè al di la della religione che caratterizza un popolo, è costantemente insita nella religione stessa l'idea del dominante e del dominato; di chi si proclama signore o rappresentante del signore in terra e di chi si presta ad adorare il signore e ad ubbidire al suo rappresentante in terra, unico interprete della volontà del signore stesso, plasmabile a piacimento da parte del medesimo rappresentante.

Purtroppo, abbastanza presto l'uomo ha verificato quanto sia pericoloso e tragico non risolvere in termini positivi i bisogni dai quali è afflitto, prima tra tutti l'istintivo bisogno di certezze, indotto dalla consapevolezza della incomprensibilità dei fenomeni della natura, della vita e della morte; e, quindi, il naturale bisogno di consolazione, insorto dalla presa di coscienza dell'assoluta finitezza della mente umana.

La credenza in un unico dio o in una pluralità di dei appare essere, quindi, la risposta -o la non-risposta- che gli uomini hanno dato -e danno- a ciò che è Misterioso e Terrificante.

Attribuire alla divinità i caratteri della misericordia, della bontà infinita, della giustizia, è solo l'ennesima mistificazione per codificare, amplificare e non risolvere i bisogni di cui ora si è detto prima, propri di ogni essere umano; costituisce un ulteriore strumento per chi, privo di ogni scrupolo, intende ancora approfittare delle debolezze umane per attuare quel crimine che nessun'altra specie animale ha mai potuto attuare: lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo mediante il dominio delle coscienze, la paura e l'ignoranza e la violenza.



CONCLUSIONE.

L'avere proposto una ipotesi, suffragata da studi scientifici, circa le origini del sacro e della religione, non preclude certo la ricerca verso altre ipotesi.

Ciò che importa, a mio parere, è aderire all'impostazione suggerita da Engels, nel senso che la religione va studiata, nella sua genesi, come fenomeno antropologico e sociale, quindi come strumentalizzazione dei bisogni ancestrali dell'uomo. Certamente non come un male da estirpare con la violenza, con la contrapposizione o con la repressione.

La storia degli ultimi tre secoli mostra che c'è un solo modo per liberarsi, e per liberare i propri simili, dalla sudditanza verso forme di potere che falsamente si presentano come strumento di salvezza, di riscatto morale, spirituale e sociale: la comprensione culturale del fenomeno, degli scopi concreti perseguiti e degli effetti prodotti sull'umanità

Laddove c'è ignoranza, oscurantismo, mancanza -rifiuto- di dialogo, repressione della libertà di pensiero, rifiuto del diverso da sè, non può esserci alcuna salvezza e alcun riscatto.
Bisogna ricercare, studiare, approfondire e poi confrontarsi e condividere i risultati delle proprie ricerche.

Penso che il Primo Convegno Laico ha avviato esattamente questo programma. C'è da sperare, e dipende da noi tutti, che a questa prima esperienza ne seguano periodicamente altre, al fine di elevare l'unica barriera contro l'oscurantismo e il fondamentalismo: la cultura della libertà per sè e per gli altri.

 

Atti convegno Arpiola di Mulazzo

LE REPUBBLICHE ROMANE DEL MEDIOEVO

di Nunzio Miccoli – numicco@tin.it
:
Nell’VIII secolo Pipino I e Carlo Magno posero le basi del futuro stato della chiesa, che, con il sostegno dei germani, si separò prima dalla tutela di Bisanzio e poi da quella dei longobardi, così il papa ascese da vicario di Bisanzio, a vicario di Cristo, a capo di una repubblica, a sovrano elettivo. Infatti, all’inizio il papa era eletto nel corso di un’assemblea popolare, furono i papi i primi a dare a Roma, emancipata da Bisanzio, il nome di repubblica romana.
Ben presto però la repubblica, prima gentilizia e poi popolare, si pose contro il papa, il principe Alberico, rinchiuse papa Giovanni XI (931-935) e si pose a capo di una repubblica gentilizia, circondato dal senato degli ottimati, cioè dall’alta nobiltà.
L’aristocrazia romana aveva ridato vita al senato, con competenze amministrative e giudiziarie, ed ora rivendicava il diritto di eleggere imperatore e papa, diritti già appartenuti ai romani.
Il papato si riprese imponendosi sui nobili e poi cercò anche di prevalere sull’imperatore, infatti, quando divenne papa il monaco cluniacense Gregorio VII (1073-1085), questo teorizzò la teocrazia papale e il primato della chiesa sull’impero; questo papa, come Innocenzo III (1198-1216), riteneva di essere un sovrano con il potere di scomunicare e nominare gli altri sovrani e di orientare la politica dei governi laici.
nel 1083 l’imperatore Enrico IV gli si rivoltò e arrivò minaccioso a Roma, Nel 1106 il successivo imperatore Enrico V scese in Italia e fece devastazioni. il papa era contro l’investitura dei vescovi da parte dell’imperatore; i romani volevano sottrarre all’imperatore anche l’investitura del prefetto.
Papa Gelasio II (1118-1119) era sostenuto dai normanni e osteggiato dal partito imperiale, l’imperatore Enrico V arrivò a Roma e lo fece fuggire, poi fece antipapa Gregorio VIII, accettato dalla repubblica romana. Il popolo romano era volubile e ondeggiava tra papa e imperatore, anche se era sempre avverso al potere civile del papa.
Sotto Onorio II (1124-1130), due famiglie nobili si contendono il potere: i Frangipane e i Pierleoni, che aspiravano alla carica di prefetto ed al soglio pontificio; Onorio II creò cardinali più vicini alla famiglia dei Frangipane, cioè apparteneva al loro partito.
Innocenzo II (1130-1143) fu eletto dai cardinali del partito del Frangipane e perciò i Pierleoni gli opposero un antipapa nella persona dell’ebreo Anacleto II.
L’imperatore Lotario III sosteneva Innocenzo II e arrivò a Roma per ricevere la corona imperiale, però il popolo romano e i normanni dell’Italia meridionale sostenevano Anacleto II; Lotario III si scagliò contro i nemici d’Innocenzo II e li sbaragliò.
Partito l’imperatore, il popolo romano ristabilì l’autorità del senato e decretò la fine del potere temporale dei papi, proclamando la repubblica guidata da Giordano Pierleoni, fratello di Pietro, cioè di Anacleto II; i romani costrinsero Innocenzo II a rifugiarsi nella fortezza dei Frangipane, alleati con i corsi, cioè la colonia corsa di Roma.
Una Pierleoni sposò il normanno Ruggero di Sicilia, pare che Innocenzo II fu fatto papa irregolarmente, mentre i Pierleoni fecero eleggere papa, nella procedura corretta, Pietro Pierleoni, già cardinale, con il nome di Anacleto II (1130-1138).
Innocenzo II fu riconosciuto da Germania, Francia e Inghilterra, mentre Anacleto II dal popolo romano e da Ruggero di Sicilia; però, negli annali dei pontefici o liber ponificalis, tra i papi, fu posto Innocenzo II, mentre Anacleto II fu declassato ad antipapa, probabilmente perché ebreo.
Innocenzo II fuggì a Pisa, dove il concilio del 1135 lo confermò come papa, chiese ancora aiuto all’imperatore contro i romani ed a Bisanzio contro il normanno Ruggero II. Grazie alla mediazione di Bernardo di Chiaravalle, Lotario III annunciò una nuova campagna in Italia, Bernardo gli chiedeva di liberare la chiesa dalla rabbia ebraica, si riferiva ad Anacleto II.
Innocenzo II prevalse su Anacleto II perché si enfatizzava l’origine ebraica del suo rivale, in città ci furono scontri armati tra le due fazioni, Innocenzo II aveva migliori relazioni internazionali del suo rivale, godeva del sostegno del suo amico Bernardo di Chiaravalle, del re di Francia Luigi VI, del re d’Inghilterra Enrico I, dell’imperatore Lotario III e dell’episcopato dell’impero. La dieta imperiale del 1130, sotto Lotario III, riconobbe come papa Innocenzo II.
GIORDANO PIERLEONI
La ribellione romana al papa perdurò sotto i papi Innocenzo II, Celestino II e Lucio II, il consiglio comunale ed i nobili si opponevano al papa, la neonata repubblica elesse a sua guida Giordano Pierleone, fratello dell’antipapa Anacleto II.
Quando fu eletto papa Eugenio III (1124-1153), discepolo di San Bernardo di Chiaravalle, questo rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e distrusse le ville dei cardinali.
Nel 1144 Eugenio III, per annientare l’Islam, lanciò il proclama per la seconda crociata (1147-1149), gli italiani fornivano flotta, armi e macchine d’assedio, animatore dell’impresa era Bernardo di Chiaravalle, come della prima era stato Pietro l’eremita.
Secondo Bernardo di Chiaravalle, il combattente di Cristo poteva uccidere con coscienza tranquilla, contro gli slavi pagani creò reparti di diversi paesi, con la parola d’ordine: ”Battesimo o sterminio!”; Bernardo era molto influente, condizionava i papi, li indottrinava e li faceva eleggere, sostenne Innocenzo II ed era contro i romani, sobillò il re di Francia e il papa contro i catari.
Nel 1143, sull’esempio delle altre città italiane del centro-nord, la nobiltà minore romana si unì al ceto medio per fondare le libertà comunali, s’impadronì del Campidoglio e scacciò gli ottimati, cioè l’alta aristocrazia; ora il senato era divenuto plebeo o meglio borghese.
I grandi nobili, detti anche ottimati e consoli, avevano in precedenza costituito il senato del Campidoglio e avevano costituito un’oligarchia ed un governo aristocratico, quando nel 1143 questo fu rovesciato, fu insediato il consiglio comunale.
In questo quadro, i papi, che si erano scontrati spesso con i nobili e li volevano divisi, non cercarono l’appoggio del ceto medio, per non destare lo spirito comunale; infatti, nel centro-nord d’Italia, i vescovi-conti avevano perso la sovranità territoriale a vantaggio dei comuni.
ARNALDO DA BRESCIA
Nel 1143 il monaco Arnaldo da Brescia era a Roma, affermava che il clero non doveva possedere proprietà, né esercitare il potere temporale; divenne la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano, esortando il popolo a disobbedire al papa e ai vescovi corrotti.
Arnaldo condannò il battesimo dei bambini e negò la validità ai sacramenti amministrati dai sacerdoti indegni, accusava il papato di corruzione; Eugenio III (1145-1153), che aveva armato la seconda crociata, fu definito da Arnaldo da Brescia “cane sanguinario”.
Eugenio III rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e la città cadde sotto il controllo del senatore Brancaleone degli Andalò, appoggiato dalla borghesia; questo fondò una nuova repubblica nemica degli ottimati e del papa.
Poi i senatori romani ottennero da Eugenio III che riconoscesse la costituzione repubblicana ed elessero un patrizio con ampi poteri, nella persona di Giovanni Pierleoni, e fecero comandante della milizia Giordano Pierleoni.
Il santo abate Bernardo di Chiaravalle, nato nel 1090 in Borgogna, faceva parte dell’alta nobiltà, costruì tanti conventi in Francia, sostenne Innocenzo II contro i romani e contro Anacleto II, combatté Arnaldo Da Brescia e in Aquitania e Linguadoca sobillò il re di Francia e il papa contro i catari.
Bernardo fu l’instancabile predicatore della guerra santa e propagandista della seconda crociata, in Francia lavorò con strepitoso successo nel reclutamento; diceva che la guerra era celestiale, era un mistico della guerra, chiamava i musulmani cani e porci, diceva che la morte in una guerra santa era un guadagno, perché consentiva di raggiungere il paradiso.
Bernardo era anche taumaturgo, reclutò nobili, popolo, briganti e sbandati, però anche la seconda crociata finì nella disfatta; questa crociata prese le mosse nel 1147 e, come la prima, cominciò con la strage degli ebrei del Reno; però Bernardo non voleva lo sterminio degli ebrei, diceva che andavano vessati ma risparmiati, perché erano una testimonianza vivente per i cristiani.
Quando Arnaldo da Brescia era a Roma, il papa lanciò l’interdetto sui romani ribelli, così nella città cessarono le cerimonie religiose, i sacramenti e la tumulazione in terra consacrata; i romani temettero soprattutto di perdere i pellegrini diretti Roma che portavano soldi.
Eugenio III (1145-1153) si alleò con il re normanno Ruggero, che pose l’assedio a Roma, mentre la repubblica chiese l’aiuto all’imperatore Corrado III; i romani erano intenzionati ad abbattere il potere temporale dei papi ed il trasformismo della politica produceva il cambio delle alleanze.
I nobili romani rappresentavano il partito guelfo del papa, contrario al popolo e all’impero; quando divenne papa Eugenio III, i senatori del governo popolare gli chiesero la rinuncia al potere civile e il riconoscimento della repubblica.
il papa rifiutò e fu costretto a fuggire, a Roma i palazzi degli ottimati favorevoli al papa furono saccheggiati ed il governo popolare abolì anche la prefettura imperiale.
Come Milano, anche Roma voleva la sovranità sulle piccole repubbliche di campagna ed il senato voleva costringere la nobiltà feudale ad accettare l’investitura feudale dal Campidoglio, anziché del papa; però poi, a causa dei continui disordini e della perdita dei pellegrini, i romani chiesero il ritorno del papa. Eugenio III (1145-1153), con un trattato, riconobbe la repubblica, mentre i romani insediarono un nuovo prefetto.
I 56 senatori erano prevalentemente borghesi e plebei, mentre prima erano stati aristocratici, nel senato erano rappresentate le compagnie della milizia, i cittadini elettori formavano, con i loro rappresentanti, un parlamento popolare che si riuniva in Campidoglio.
Il senato era anche tribunale civile, però non vi erano trattate le liti fra ecclesiastici, riservate a tribunali ecclesiastici; il papa decideva in appello, la repubblica si dava leggi e dichiarava la guerra senza sentire il pontefice.
Arnaldo da Brescia, voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il comune, sosteneva la povertà apostolica e la purezza dei costumi, i suoi seguaci erano detti lombardi o arnoldisti; Arnaldo prendeva spesso la parola in parlamento, condannava i vizi dei cardinali, diceva che il papa era assassino e avido.
Fu fatto consigliere comunale e propose di creare dei cavalieri, tra la piccola nobiltà, favorevole al popolo; ciò perché la piccola nobiltà ed il basso clero aderirono al comune; Eugenio III, quando tornò a Roma, scomunicò Arnaldo, mentre San Bernardo invitava i romani a tornare al loro pastore.
I romani erano infiammati da Arnaldo, però, dopo aver accolto, per interesse, Eugenio III, furono costretti anche a riconoscere il successivo papa Adriano IV (1154-1159), che voleva abrogare la costituzione capitolina, espellere Arnaldo e seppellire la repubblica ed il senato; allora i romani chiesero aiuto a Guglielmo I di Sicilia, mentre Adriano IV si chiuse in San Pietro.
Poi Adriano IV acconsentì a togliere l’anatema sulla città, a condizione che lo scomunicato Arnaldo fosse cacciato, il monaco fuggì da Roma, mentre i romani facevano giungere all’imperatore dei messaggi, con cui dicevano di volersi scuotere il giogo dei preti.
purtroppo lo Hohenstaufen imperatore non comprendeva lo spirito di libertà che infiammava le città italiane e riteneva che le glorie dei romani erano state ereditate dai tedeschi e le glorie degli imperatori romani dagli imperatori tedeschi.
Federico I arrivò a Roma, preceduto da Adriano IV, e non riconobbe la costituzione cittadina, i romani si sentivano traditi, erano stati privati del diritto elettorale dell’imperatore e del papa ed ora l’imperatore era incoronato dal papa.
I cittadini della repubblica romana avevano offerto a Federico I Barbarossa la corona imperiale ed un tributo annuo in oro, ma Federico I, forte dei diritti feudali, li aveva respinti e preferì farsi incornare da papa Adriano IV, che voleva rovesciare la repubblica.
Arnaldo da Brescia aveva flagellato le istituzioni ecclesiastiche, per lui la chiesa di Roma era ricettacolo d’usurai e una spelonca di briganti; affermava che il papa era un sanguinario che santificava uccisioni ed incendi, un ipocrita smanioso di potere, che si preoccupava solo della sua carne, svuotando le tasche degli altri e riempiendo le sue.
Arnaldo fu l’animatore della rivoluzione comunale, inalberò il potere del comune popolare contro nobiltà e clero; questo monaco, nato a Brescia, divenne tribuno popolare, voleva purificare la chiesa ed emancipare la borghesia; Brescia era stata una delle sedi dei patarini, contrari all’alto clero simoniaco infeudato all’impero, cioè ai vescovi-conti.
Arnaldo affermava che il possesso di terre da parte del clero contrastava con la dottrina cristiana, che i preti dovevano sostenersi solo con le decime, che il potere civile apparteneva alla repubblica.
proponeva di togliere ai vescovi il potere temporale, era contro le investiture di feudi da parte del clero; i romani lottarono con lui contro il potere temporale dei papi, però, contemporaneamente, desideravano anche un ritorno ai fasti del passato, credevano ancora alla missione storica di Roma.
San Bernardo condannò il ribelle Arnaldo e i suoi alleati Pierleoni e Abelardo (1079-1142). Arnaldo da Brescia era stato un entusiasta della repubblica, si era appoggiato al basso clero ed alla borghesia, voleva una repubblica romana indipendente dal papa e dall’imperatore; nel 1145 era divenuto la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano. Voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il comune.
Per sfuggire all’imperatore sceso in Italia, Arnaldo, per prudenza, si era rifugiato a Zurigo e nelle valli alpine dove entrò in contatto con i catari, i suoi discepoli confluirono nei valdesi.
ritornato in Italia, fu catturato da Federico I, i romani, sperando di liberarlo, assalirono, senza successo, l’accampamento dell’imperatore.
Federico I si allontanò da Roma, accompagnato dal papa, con Arnaldo prigioniero; nel 1155, a Soratte, Arnaldo fu impiccato, come eretico e ribelle, le sue ceneri furono disperse nel Tevere, poi il pontefice assolse le truppe tedesche da ogni colpa per il sangue versato a Roma. papa Adriano IV sosteneva i comuni lombardi, retti da borghesi, che lottavano per l’autonomia contro Federico I Barbarossa, però combatteva la repubblica romana.
Forse per vendicarsi del sostegno dato dal papa alle città ribelli del nord d’Italia, ad un certo punto l’imperatore contestò la donazione di Costantino ed affermò che i vescovi dovevano rinunciare ai beni terreni, ora adottava le tesi di Arnaldo che aveva impiccato.
Arnaldo da Brescia aveva dimostrato il falso della donazione di Costantino, che aveva dato origine alla sovranità territoriale del papa; il suo discepolo, Wezel, informò Federico I Barbarossa che la donazione di Costantino era una favola.
Oggi alcuni studiosi cattolici definiscono questi falsi medioevali “devozione antica” ed i falsari della chiesa come “venerabili falsari”, nel 1440 anche Lorenzo Valla, segretario del papa, riconobbe l’imbroglio.
Adriano IV voleva l’affrancamento dal potere imperiale senza rinunciare al suo potere temporale, reclamava la magistratura su Roma, chiedeva la sovranità per lo stato della chiesa; però l’imperatore non voleva rinunciare alla signoria su Roma, mentre i romani volevano essere liberi da papa e imperatore.
Adriano IV, volendo rovesciare la repubblica, aveva chiesto aiuto a Federico I Barbarossa, mentre i romani si rivolsero al re normanno Guglielmo I, succeduto a Ruggero. In città cresceva l’ostilità contro i preti ed un cardinale fu pugnalato, perciò il papa lanciò l’interdetto sulla città, sospendendo le funzioni religiose.
Visti i nuovi contrasti tra papa e imperatore, il senato romano cercò di riavvicinarsi a questo e gli chiese un’amnistia, l’imperatore la concesse; Federico I Barbarossa (1121-1190) fece la pace con la repubblica romana, riconobbe il senato romano e la repubblica romana, nominò un prefetto imperiale e fece eleggere un nuovo consiglio comunale.
Nel 1159 Adriano IV morì, questo anglosassone, come già Gregorio VII, voleva realizzare la signoria universale del pontefice; i baroni romani si erano indeboliti e avevano accettato di diventare feudatari del pontefice, solo il senato dal Campidoglio resisteva al papa.
Una nuova dottrina, derivata da Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova, Ockham, Wycliff, Lollardi, Giovanni Hus e Gerolamo di Praga contestava il potere temporale dei papi, l’assolutismo papale, la gerarchia della chiesa e dava la prevalenza alle sacre scritture; allora la Germania era più religiosa dell’Italia, più avanti, proprio in questo paese sarebbe esploso Lutero.
Clemente III (1187-1191) cercò la pace con il senato romano, ormai esistente da 44 anni, il papa propose alla città un rapporto come quello esistente tra impero e comuni lombardi, perciò fu fatto capo della repubblica.
Competeva alla repubblica romana dichiarare la guerra, poi anche i nobili riconobbero il senato popolare. Con la costituzione romana del 1188, furono neutralizzati imperatore e nobili, il rapporto tra Roma e impero era sciolto e, con il trattato di Anagni, il papa rinunciò al potere legislativo e di governo a vantaggio del comune.
Al tempo di Celestino III (1191-1198) il senato era fatto in maggioranza di borghesi e cavalieri, poi fu posto a capo della repubblica un solo uomo, era la dittatura; si fece senatore unico Benedetto Carushomo, un borghese, al quale successe Giovanni Capoccio e poi Giovanni Pierleoni.
Nel 1197 fu restaurata la costituzione democratica ed il senato collettivo e nel XIII secolo decaddero le famiglie dei Frangipane e dei Pierleone.
MARSILIO DA PADOVA
sulla scia di arnaldo da brescia, marsilio da padova (1280-1343) aveva contestato il primato del papa, sostenendo che Pietro non era mai giunto a Roma, sosteneva che il papa non aveva alcun diritto ad eleggere o deporre l’imperatore.
sostenne la superiorità del concilio sul papa ed auspicò un controllo statale sulla chiesa, dimostrò che anche le decretali pseudoisidoriane, che sostenevano i poteri del papa ed i privilegi della chiesa, erano false, perciò fu bollato dalla chiesa come eretico e scomunicato.
Contestava le ambizioni papali e proponeva la sovranità popolare, voleva sottomettere la chiesa allo stato, non riconosceva alla chiesa potestà punitiva, contestava ogni pretesa di supremazia del papa, come la giurisdizione indipendente per vescovi e sacerdoti, era a favore di una monarchia costituzionale. Da ricordare che dal 1309 al 1367 il papa risiedeva ad Avignone e governava roma per mezzo di un suo vicario,
L’aristotelico Marsilio da Padova, nell’opera “defensor pacis” difendeva il potere temporale dell’imperatore e attaccava il potere spirituale del papa; affermava che Pietro non era stato maggiore degli altri apostoli, che non era stato fatto capo della chiesa, che non aveva fondato il vescovado di Roma e non era mai stato in questa città, diceva che i religiosi non avevano la potestà di giudicare e che il papa non aveva l’autorità terrena.
Marsilio affermava che nessun prete aveva la potestà di sciogliere e legare, che questo compito spettava a Dio, che il concilio poteva insediare e deporre il papa, il quale non poteva convalidare l’elezione imperiale; che non la gerarchia, ma la comunità dei fedeli costituiva la chiesa, affermava la superiorità del concilio ecumenico sul papa.
Guglielmo di Ockham, pieno d’erudizione scolastica, concordava con Marsilio, confutava la donazione di Costantino e collocava imperatore e concilio ecumenico al disopra del papa; affermava che l’incoronazione dell’imperatore poteva essere fatta da qualunque vescovo, i monarchisti sottoponevano la chiesa allo stato e tanti, contro il papa, si appellavano alle sacre scritture.
Anche Dante (1265-1321) nel “De monarchia” riconosceva i diritti inviolabili del popolo romano, espropriati dal papa. Marsilio propose all’imperatore Ludovico IV il Bavaro di farsi incoronare dal popolo romano.
a Roma, Marsilio faceva parte di una commissione mista di laici ed ecclesiastici, riunita in parlamento, la quale dichiarò eretico il papa francese Giovanni XXII (1316-1334), residente ad Avignone, e lo depose; lo accusò di aver accumulato tesori, di nepotismo e d’usurpazione dei poteri, di aver spogliato le chiese e di aver venduto uffici ecclesiastici. Roma non cessava di attrarre i grandi lumi.
I monarchisti ed i riformatori affermavano che il papa poteva essere giudicato da imperatore e concilio e poteva essere deposto, perciò il popolo bruciò Giovanni XXII in effige; l’assemblea popolare deliberò che il papa doveva risiedere a Roma e doveva allontanarsi dalla città solo con il consenso dei romani.
Nel 1305 il re Filippo IV il Bello di Francia aveva fatto eleggere papa il francese Clemente V (1305-1314), che si stabilì ad Avignone, Giovanni XXII era il suo successore, da allora il papa prese a risiedere ad Avignone (1309-1367).
la sua lontananza da Roma, favorì le aspirazioni autonomiste e repubblicane della città, che però, a causa della lontananza del papa, ne perse economicamente; invece il papa, che era ad Avignone, era controllato dal re di Francia, comunque egli, all’inizio, poiché distante da Roma, per contenere i nobili della città, sostenne Cola di Rienzo (1313-1354).
Al tempo di Clemente V, i Colonna, gli Orsini e altri nobili, facevano parte del senato, anche Clemente V ottenne la carica senatoria a vita, però la repubblica era indipendente ed il clero era escluso dalle cariche statali. I romani ordinarono ai cardinali di incoronare imperatore Enrico VII, da parte sua, l’imperatore giurò di difendere la repubblica romana e le sue leggi.
COLA DI RIENZO
La milizia repubblicana aveva domato momentaneamente l’aristocrazia e posto un freno alla guerra tra famiglie; poi Roma cadde sotto il dominio di Cola di Rienzo, che si fece dittatore della città.
Nel 1343 Cola di Rienzo pensò di farsi re d’Italia, ma non riuscì a domare i nobili romani; aveva promesso giustizia sociale, un esercito popolare, l’unità, la laicità e l’indipendenza nazionale italiana.
La presa del potere da parte di Cola di Rienzo fu favorita da un’altra rivoluzione, il senato era stato rovesciato ed al suo posto era stato insidiato un governo di tredici priori con a capo Cola di Rienzo, nemico dei nobili; questo, come ambasciatore dei romani, fece visita a Clemente VI ad Avignone, dove conobbe Petrarca, che lo ammirava.
Anche il successivo papa Clemente VI (1342-1354), distante da Roma, era più favorevole alla democrazia romana che alla nobiltà cittadina e perciò fece Cola, che già si faceva chiamare console, notaio del tesoro romano.
Cola era nato nel 1313 da una povera famiglia di contadini, si dedicò agli studi, frequentò l’università e divenne amante d’arte ed eloquente, era benvoluto dal popolo e odiato da notabili. Alla sua epoca, a Roma si affiggevano manifesti anonimi contro le autorità, che lanciavano appelli al popolo, la polizia non era in grado di reprimere il fenomeno, fu da questo filone che nacquero le pasquinate.
Cola di Rienzo parlava della maestà svanita del popolo romano ed era applaudito, però i baroni gli erano contro, perciò Cola sull’Aventino preparò una congiura per abbatterli; era credente, raccomandò se stesso allo spirito santo eD iniziò la sua rivoluzione contro i nobili, sostenuto dal papa e dal popolo.
Il suo programma prevedeva l’emarginazione politica dei baroni, la pena di morte per l’assassinio, una giustizia più veloce, la pensione per i caduti in guerra; voleva che i dazi affluissero al comune e non nelle tasche dei baroni, non voleva che questi ospitassero i banditi, allora i palazzi di Roma erano un asilo per i delinquenti.
il parlamento conferì a Cola la signoria sulla città ed il potere illimitato, nel suo governo Cola era affiancato da un vicario papale, assunse il titolo di tribuno del popolo e nobili e senatori fuggirono dalla città.
Il tribuno occupò i castelli e ordinò ai nobili di rendergli omaggio in Campidoglio; con messaggeri, comunicò al di fuori di Roma le novità intervenute nella città, diceva che voleva la liberazione di Roma e dell’Italia; invitò le città d’Italia a mandare deputati a Roma per la creazione di un parlamento nazionale, aveva un piano per una confederazione italiana.
Cola abolì il senato, coniò monete, raccolse una milizia a lui devota, fece giustiziare nobili e religiosi; i cattivi giudici furono messi alla berlina, punì adulteri e giocatori. Il tribuno abolì i pedaggi riscossi dai baroni, calmierò i prezzi dei generi alimentari, combatté il banditismo e così le strade divennero più sicure.
Però anche Cola adorava la pompa e, poiché il potere eccessivo dà un po’ alla testa, aumentò i suoi titoli diventando un po’ megalomane; il papa si lamentò anche perché Cola aveva modificato la costituzione romana senza il suo benestare.
Milano, Genova, Venezia, Firenze e città minori inviarono deputati al parlamento nazionale, mentre a Roma, anche se repubblicana, si chiedeva il ritorno del papa da Avignone, la lontananza del papa aveva impoverito la città.
Petrarca condivideva i principi del “De Monarchia” di Dante, considerava il popolo romano fonte del potere universale e riteneva che Roma dovesse essere la sede dell’impero e del papa; da Avignone, Petrarca si felicitò con Cola, lo chiamava nuovo Camillo, liberatore d’Italia inviato da Dio e gli dedicò una poesia.
Cola chiese ai giuristi se il popolo romano poteva riprendersi i suoi poteri, un consiglio di giuristi rispose di si, perciò il tribuno emanò un editto che riduceva i privilegi di nobiltà, chiesa e impero; anche per Cola il popolo romano era fonte d’ogni potere.
Parecchi castelli si arresero al tribuno, Cola voleva riunire a Roma un parlamento nazionale che desse le leggi a tutto il paese; il tempo era favorevole per l’indipendenza italiana, perché il papa era ad Avignone, l’imperatore era debole e assente, il feudalesimo era in crisi, la borghesia era al potere nelle repubbliche cittadine italiane ed in Francia si era affermata la monarchia.
Però Cola, diversamente da Cromwell, non fu in grado di portare a termine questa rivoluzione, credeva al regno dello spirito santo; si fece incoronare come tribuno e cavaliere, si fece chiamare cavaliere dello spirito santo e prese altri titoli altisonanti, proclamò che Roma era capitale del mondo e fondamento del cristianesimo; conferì a tutti gli italiani la cittadinanza romana, proclamò che l’imperatore doveva essere eletto dal popolo romano e fu coperto da applausi.
Come gli ebrei della diaspora, anche i romani della decadenza ritenevano di avere ancora una missione eterna e sognavano il riscatto; Cola celebrò in Campidoglio la festa dell’unità d’Italia e mandò i suoi messaggeri per il mondo.
si fece incoronare tribuno con sei corone, nel corso di una cerimonia suggestiva, vietò all’imperatore di entrare con le armi in Italia, senza il permesso del popolo romano; combatté guelfi e ghibellini, però sapeva che la nobiltà congiurava contro di lui.
Durante un banchetto fece arrestare cinque Orsini e due Colonna e li condannò a morte, i baroni si sottomisero, ma il papa intervenne a favore delle due famiglie; Cola li rilasciò e, per la sua magnanimità, fu criticato da Petrarca, altri tiranni erano abituati ad agire diversamente.
Cola non si appoggiava a nessun partito, ma diceva di appoggiarsi sul popolo e sulla nazione italiana, non si curava dell’imperatore e del papa, voleva il papa e l’imperatore a Roma e Roma capitale d’Italia. Per Cola Roma era il centro della monarchia universale e dei due poteri, diceva che tutti gli italiani, poiché divenuti cittadini di Roma, dovevano eleggere l’imperatore che doveva essere italiano; Idee queste vicine a quelle dei guelfi.
su tavole di bronzo, Cola fece incidere gli articoli del nuovo patto con l’Italia libera; a questo punto, Clemente VI si rivoltò e chiese al cardinale legato, Bertrando, la deposizione di Cola perché eretico; poi, con una congiura, si alleò con i nobili romani contro di lui.
Cola mise al bando gli Orsini, fece spianare i loro palazzi e assediò una fortezza dei Colonna; quando giunse il legato Bertrando, con l’ordine del papa, rivolto a Cola, di recarsi al suo cospetto ad Avignone, questo fu scansato dal tribuno.
Purtroppo, a causa dei fumi del potere, ora anche Cola gozzovigliava ed estorceva denaro, aveva anche aumentato le tasse sul sale e Petrarca piangeva per le sue degenerazioni e per la sua follia; il papa accusò Cola di voler rovesciare la chiesa e l’impero e, per rappresaglia, stava per revocare il giubileo, che portava denaro nelle tasche dei romani.
Il barone Giovanni, conte di Minervino, a causa dei suoi atti di brigantaggio, era odiato da Cola, che lo citò dinanzi al suo tribunale, però il popolo romano si stava allontanando dal tribuno. Allora Cola, sentendosi isolato, senza sostegno di impero, papa, nobili e popolo, depose le insegne di tribuno, lasciò il Campidoglio e si chiuse in Castel Sant’Angelo.
Il legato papale, Bertrando, annullò i decreti del tribuno e citò Cola davanti al suo tribunale, come eretico e ribelle, e lo scomunicò; Cola fuggì e si rifugiò a Napoli ove era arrivato re Luigi d’Ungheria, a Roma si temeva che Cola sarebbe tornato con le truppe ungheresi e con la banda di mercenari del duca Werner, nipote del duca di Spoleto.
Questa banda saccheggiava il Lazio e chiedeva riscatti alle città ed alle persone, anche il regno di Napoli era infestato dai banditi e da rapaci condottieri che scorazzavano; Werner si diceva nemico di Dio, della pietà e della misericordia. Roma e la Toscana fecero lega contro questa compagnia, che, ad un certo punto, entrò al servizio della Chiesa.
Re Luigi d’Ungheria scaricò Cola, che si rifugiò in Abruzzo; a Roma, tra nobiltà e popolo, regnava la discordia, nelle strade regnavano rapine e delitti; nel 1348 ci fu la peste, la carestia e l’inflazione, le contese sulla proprietà erano senza fine, la città fu colpita anche da un terremoto, perciò i romani, per rifarsi, sollecitavano giubileo e indulgenze.
In Abruzzo Cola di Rienzo si era unito agli eremiti spirituali di Celestino V, eredi di San Francesco, questi seguivano la regola della povertà e le profezie dell’abate Gioachino Da Fiore; aspettavano un messia per riformare la chiesa e realizzare il regno dello spirito santo, erano stati tanti, prima di Lutero, a chiedere una riforma della chiesa.
Tra questi eremiti, frate Angelo convinse Cola ad incoronare a Roma re dei romani, cioè imperatore, il boemo Carlo IV, perché impero e papa dovevano essere ricondotti a Roma; perciò Cola, respinto dal papa, pensò di avvicinarsi all’imperatore.
si recò in Germania e disse a Carlo IV d’essere contrario al potere temporale del papa, si offriva di governare Roma come vicario imperiale, mentre in precedenza aveva sostenuto l’indipendenza nazionale italiana. Per tutta risposta, l’imperatore lo fece imprigionare a Praga e poi ne diede notizia al papa.
Nel 1350 Cola scrisse dal carcere una lettera all’imperatore, era divenuto folle, affermava che sarebbe sorto un altro Francesco che avrebbe tolto al clero le sue ricchezze e innalzato un tempio allo spirito santo, poi papa, imperatore e il tribuno Cola avrebbero rappresentato la trinità a Roma.
Con questa lettera Cola accusava il papa dello strazio dell’Italia e della dissoluzione dell’impero, si diceva a favore della separazione dei poteri; affermava che le province amministrate dagli ecclesiastici erano quelle amministrate peggio, che il papa aveva ostacolato l’unità d’Italia, aveva favorito la frattura tra guelfi e ghibellini e consegnato le città ai tiranni. .
Carlo IV lo tenne in prigione, pensando di usarlo contro il papa, Petrarca scrisse al boemo Carlo IV, sollecitandolo a salvare l’Italia che andava in rovina; nel 1352 Carlo IV consegnò Cola di Rienzo a Clemente VI ad Avignone.
Petrarca esortò i romani a chiedere al papa il rilascio di Cola, però Clemente VI lo imprigionò; nel 1353, morto Clemente VI, gli successe il francese Innocenzo VI e ora Cola, per salvarsi, si diceva guelfo e contro i tiranni, era il trasformismo della politica.
In Italia arrivò il nuovo legato papale, il cardinale spagnolo Albornoz, che pensò di usare Cola contro il prefetto Baroncelli, del partito ghibellino, che comandava a Roma, perciò lo liberò dal carcere, lo fece cavaliere del Santo Sepolcro e senatore.
però i romani erano stanchi di Cola, cacciarono dal Campidoglio Baroncelli e offrirono la signoria al cardinale Albornoz, che mise da parte Cola, che però era libero di circolare.
Il masnadiero Monreale fece un ingente prestito a Cola di Rienzo, che lo utilizzò per assoldare dei mercenari, perciò nel 1354 Cola di Rienzo arrivò a Roma, accompagnato da una scorta di cavalieri; si fece fare senatore, fu salutato dal popolo, nominò capitani e cavalieri e convocò i nobili in Campidoglio, ma la maggior parte di loro non si presentò.
Arrivato a Roma Monreale, pensò di proclamarsi signore della città con l’aiuto di Cola, ma questo lo fece arrestare, assieme ai suoi, e lo fece decapitare; poi Cola assoldò truppe e assediò Palestrina, la città dei Colonna, impose tasse, chiese riscatti, aveva una guardia del corpo.
il popolo si ribellò alle sue tasse e lo chiamò traditore, lo prese e lo trucidò in Campidoglio; il suo cadavere fu mutilato e appeso per i piedi, in segno d’infamia, fu preso a sassate dai monelli e poi fu bruciato (1354).
Qualcuno lo aveva accusato di pazzia, di tirannia e di megalomania, però fu anche il profeta del rinascimento, con i suoi ideali d’indipendenza e d’unità d’Italia, di riforma della chiesa.
era un plebeo e un parvenu, però conosceva il pensiero di Dante e di Petrarca, amava l’arte e indicava una meta, voleva una confederazione italiana con capitale Roma, anche i guelfi la volevano, ma con a capo il pontefice.
Il tribuno del popolo Cola di Rienzo fu uno dei primi archeologi, decifrava le antiche iscrizioni dei monumenti di Roma, delle quali faceva raccolta, aveva un animo di riformatore politico e di scienziato.
L’idea d’unità nazionale era stata concepita da Cola di Rienzo e si era sviluppata nel medioevo, fu coltivata anche da Federico II e da altri; anche i papi avrebbero accettato l’unità d’Italia, ma solo sotto di loro.
Quando fu eletto papa Innocenzo VII (1404-1406), tornato a Roma, i romani si sollevarono di nuovo e lo costrinsero a fuggire a Viterbo; il papa chiese aiuto a re Ladislao di Napoli, mentre suo nipote assassinò undici legati della repubblica romana, per compensarlo di quest’atto, il papa lo fece conte.
Quando fu eletto papa Eugenio IV (1431-1447), eremita agostiniano, i romani tornarono a reclamare la repubblica e perciò nel 1431 il papa, aiutato dal pirata Vitellio, fu costretto a fuggire da Roma; rimase in esilio nove anni, soprattutto a Firenze, mentre nello stato della chiesa esercitò per lui la repressione Giovanni Vitelleschi, un ex brigante, che nel 1437 fatto cardinale da Eugenio IV.
Vitelleschi ammazzò civili e prelati e riprese il controllo dello stato, prese i castelli del prefetto Giovanni Vico, nemico del papa e alleato con i Colonna; Giovanni Vico fu decapitato ed Eugenio IV incamerò i suoi beni.
Nel 1437 Vitelleschi distrusse Palestrina, la città dei Colonna, già ricca di un patrimonio artistico, poi Eugenio IV fece uccidere anche Vitelleschi e s’impossessò dei suoi beni; a Vitelleschi successe il cardinale scarampo che, come lui, fece rapine ed omicidi.
Eugenio IV volle la riforma dei conventi, sosteneva i monaci francescani, come Bernardino da Siena, che assicuravano la copertura a sinistra della chiesa.
con la sua morte, a Roma si rivoltò Stefano Porcari, il quale voleva che i rapporti tra il comune di Roma ed il pontefice fossero garantiti da un trattato; invece Lorenzo Valla aveva chiesto la secolarizzazione dello stato della chiesa.
Quando divenne papa Niccolò V (1447-1455), fu confermato il concordato stipulato tra Eugenio IV e Federico III e svanì la riforma invocata della chiesa; Niccolò V riordinò l’amministrazione e le imposte, si riconciliò con baroni e Valla, fece ricostruire Palestrina; nel 1447 la città di Roma riconosceva la supremazia papale ma conservava ancora una certa autonomia.
Poiché Stefano Porcari voleva restaurare la repubblica, il papa lo esiliò a Bologna, i magistrati non erano più nominati dal comune, ma insidiati dal pontefice; allora Porcari insorse, ma l’insurrezione non riuscì, fu catturato e impiccato, la sua casa fu rasa al suolo.
La rivolta repubblicana, guidata da Stefano Porcari, fu repressa, il papa aveva promesso ai congiurati la grazia in caso di resa, questi si arresero ma furono impiccati ugualmente.
Valla fu perdonato da Niccolò V, che lo nominò segretario apostolico, divenne professore d’eloquenza e filologo; per difendere la sua nuova posizione, si separò da Porcari, Callisto III (1455-1458) nominò Valla suo segretario.
Valla e Porcari erano stati umanisti, contro il potere temporale del papa e membri dell’accademia pomponiana romana, creata da Pomponio; questi accademici si attirarono le persecuzioni del papa, i membri dell’accademia portavano nomi pagani, disprezzavano i dogmi e le istituzioni gerarchiche della chiesa; Paolo II (1464-1471) sospettava che volessero rovesciare il governo del papa.
La setta dei fraticelli, demagoghi, pagani, eretici e repubblicani sembravano avere il loro centro nell’accademia; nel 1468 la polizia fece venti arresti tra gli accademici, che furono torturati, alcuni di loro si rifugiarono all’estero, lo stesso Pomponio fu incarcerato e poi rimesso in libertà.
Come già Analdo da Brescia, nel 1442 anche Lorenzo Valla dimostrò la falsità della donazione di Costantino, fabbricata nel 750 dalla cancelleria pontificia, la quale sosteneva che l’imperatore Costantino aveva ceduto a papa Silvestro I il potere su Roma e l’occidente; il documento fu utilizzato per affermare il potere temporale del papa in occidente, dopo che Costantino e i suoi eredi si erano trasferiti a Costantinopoli.
I sostenitori di questo documento vedevano nell’imperatore d’occidente un funzionario della chiesa, che poteva anche essere revocato dal papa; grazie a questa falsa donazione, Gregorio VII (1073-1085) e Innocenzo III (1198-1216) teorizzarono il primato della chiesa su re e imperatori.
Lorenzo Valla confutava la donazione di Costantino ed era sostenuto dal concilio di Basilea, perciò fu accusato davanti all’inquisizione e si salvò perché era protetto; il re di Napoli incoraggiò Valla a pubblicare la sua confutazione della donazione, già negata nell’anno 1000 dall’imperatore Ottone III, poi dai repubblicani romani e da Dante.
l’umanista si scagliò contro Eugenio IV, definiva il governo pontificio un governo di carnefici, diceva che, a causa della cupidigia e dei delitti dei papi, l’Italia si dibatteva in guerre senza fine, voleva la fine del potere temporale dei papi.
Nel 1443 il cardinale Piccolomini chiese all’imperatore Federico III un concilio per fare chiarezza su quella donazione, che non risultava nemmeno dal liber pontificalis; prima di lui, ne avevano contestato l’autenticità anche Reginaldo, vescovo di Chichester, ed il Cusano. Valla fu poi perdonato dai papi e valorizzato come umanista, però nel 1517 Ulrico von Hutten pubblicò il celebre scritto di Valla sulla falsa donazione di Costantino e propose la creazione di una chiesa nazionale tedesca.

Bibliografia:
K. Deschner “ Storia criminale del cristianesimo” – Ariele Editore,
F. Gregorovius “Storia delle città di Roma nel medioevo” – Einaudi Editore,
Claudio Rendina “I papi storia e segreti” – Newton Editore,
Claudio Rendina “Il Vaticano storia e segreti” – Newton Editore,
Giancarlo Zizola “Il conclave” – Newton Editore,
Bruno Giordano “Gli italiani sotto la chiesa” – Mondadori Editore,
Leopold Rancke “Storia dei papi” - Sansoni Editore.

mercoledì, ottobre 22, 2008

 

LA STORIA SPAZZA VIA TUTTI GLI APOSTOLI. GESÙ DETTO IL CRISTO NON ESISTETTE.

Resoconto del convegno del 18-19 ottobre 2008
Arpiola di Mulazzo
LA STORIA SPAZZA VIA
TUTTI GLI APOSTOLI.
GESÙ DETTO IL CRISTO
NON ESISTETTE.
Nessuno di essi esisterono.
Presentata da Axteismo in anteprima la pubblicazione
degli studi avanzati sulle Origini del Cristianesimo
con la presenza dei tre massimi esperti mondiali di cristologia:
Luigi Cascioli, Giancarlo Tranfo, Emilio Salsi.
La storia stabilisce senza ombra di dubbio
che gli Apostoli e Gesù Cristo
sono personaggi di pura fantasia,
personaggi mai esistiti.

di Ennio Montesi
Redigere un comunicato stampa secco su questa notizia storica così importante è riduttivo. Meglio poche righe con taglio di articolo. Nel convegno ad Arpiola di Mulazzo del 18-19 ottobre 2008 promosso da Axteismo, movimento internazionale di libero pensiero, i molti relatori si sono avvicendati durante le intense giornate di confronto. Luigi Cascioli, Giancarlo Tranfo, Emilio Salsi, Angelo Napolitano, Francis Sgambelluri, Gianni Marucelli, Nunzio Miccoli, Giorgio Vitali, Biagio Catalano, Attilio Vanini, Ennio Montesi, Fiorella Di Stefano, Sergio Martella, Pierino Marazzani hanno trattato temi articolati dalle Origini del Cristianesimo all’Inquisizione, sui tentativi di controinformazione e mistificazione della realtà dei fatti da parte degli apologisti, dall’antropologia, alla storia, dalla psicoanalisi, alla sociologia, dal Medioevo ai giorni nostri. Il problema emerso risulta essere quello delle religioni, del cristianesimo nella fattispecie del cattolicesimo e della Chiesa cattolica. Si sono ribaditi anche dei tanti diritti dei cittadini ancora negati dai legislatori italiani sempre sottomessi al potere secolare della Chiesa cattolica e del Vaticano.

Tema centrale del convegno sono stati gli importanti studi evoluti di cristologia. La presenza contemporanea dei tre massimi esperti mondiali sulle Origini del Cristianesimo: Luigi Cascioli, Giancarlo Tranfo ed Emilio Salsi, ha creato un’atmosfera di pregnante attesa tra l’attento pubblico composto da studiosi, docenti, intellettuali, addetti ai lavori e da persone interessate all’argomento. I video della conferenza verranno diffusi in rete appena pronti.

Luigi Cascioli, Giancarlo Tranfo ed Emilio Salsi hanno evidenziato le enormi e le sottili contraddizioni storiche contenute nei vangeli fino al punto di dimostrare l’inesistenza di personaggi come gli “Apostoli”, “Gesù Cristo” e la “Sacra Famiglia”. Tutto falso, niente di vero, duemila anni di menzogne. Attraverso l’analisi dei “Testi Sacri” comparata con l’antica storiografia laica si è finalmente provato - con ricca documentazione alla mano - che le vicende descritte dalla Chiesa cattolica nei vangeli furono in realtà falsificate unitamente ai loro protagonisti che risultano essere personaggi inventati. È facile capire che questi studi cancellano per intero e da subito quella che viene definita come “Dottrina cristiano-cattolica”.

Studi di tale altissimo livello sarebbero stati da presentare in pompa magna in una sede accademica, in una prestigiosa università italiana come La Sapienza. Tuttavia, piuttosto che bussare alle porte delle università abbiamo preferito organizzare il convegno per conto nostro aperto al pubblico e ai giornalisti. Di giornalisti, come prevedevamo, nemmeno l’ombra probabilmente perché, considerati i temi scottanti del convegno, i loro datori di lavoro hanno impartito l’ordine di non comunicare la notizia. Se un giornalista scrivesse su un giornale o dicesse in apertura del telegiornale di prima serata che: “Un gruppo di studiosi, i più importanti e preparati a livello mondiale, dopo anni e anni di studi approfonditi ed evoluti sulle Origini del Cristianesimo hanno scoperto e lo dimostrano che gli Apostoli e lo stesso Gesù Cristo non esisterono, ma furono favole”, probabilmente li caccerebbero. Dobbiamo capire la miserevole e genuflessa posizione in cui la maggioranza dei giornalisti italiani è costretta a lavorare. L’informazione pubblica è assente perché la maggior parte dei giornalisti “tiene famiglia”.

Se comunque qualche super eroe dell’informazione decidesse di invitare i cristologi a un dibattito televisivo sulle reti Rai, Mediaset, La7 o altre, certamente siamo disponibili a sostenere qualsiasi confronto soprattutto coi più importanti esegeti quali, Vittorio Messori, Gianfranco Ravasi e i più preparati ministri della Chiesa cattolica. Se le agenzie di stampa Ansa, Adnkronos, Reuters, Agi, Apcom, Asca, Emmegipress, Associated Press e tutte le altre agenzie di informazione decidessero coraggiosamente di battere questa notizia nei loro circuiti siamo disponibili a dare le dovute informazioni di copertura. Se le radio decidessero di aprire i bollettini con la seguente notizia: “In base alla storia un importante gruppo di studiosi ha stabilito che gli Apostoli, Gesù Cristo e la Sacra Famiglia non esisterono, ma furono inventati”, saremmo disponibili ad ogni supporto.

Le tante voci libere di Internet di certo daranno una mano in modo che questa grande notizia voli in milioni di sciami e si moltiplichi all’infinito in ogni angolo e anfratto della rete, su ogni byte dei computer, così che il muro omertoso fatto dai “mass media ufficiali” venga abbattuto.

Magari un giorno un editore serio, che meriti questo appellativo, deciderà di pubblicare in un unico cofanetto raggruppando i quattro volumi coi testi in ordine cronologico degli studi sulle Origini del Cristianesimo. Ecco i libri: “La favola di Cristo - Inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù” e “La morte di Cristo - Cristiani e Cristicoli” di Luigi Cascioli www.luigicascioli.itLa Croce di Spine - Gesù: la storia che non vi è ancora stata raccontata” di Giancarlo Tranfo www.yeshua.itGiovanni il Nazireo detto Gesù Cristo e i suoi fratelli” di Emilio Salsi www.vangeliestoria.eu . È attraverso gli studi di Emilio Salsi (lo studioso che viene paragonato come a un Pico della Mirandola degli antichi testi storici e dei vangeli) che tutti gli Apostoli sono spazzati via dalla storia. Storia che dimostra come gli Apostoli furono inventati in personaggi di fantasia. Bisognerebbe domandare ai ministri della Chiesa cattolica del perché di tutte queste invenzioni e menzogne iniettate all’Umanità e a cosa sono servite.

Ennio Montesi

Riferimenti:
http://nochiesa.blogspot.com
www.luigicascioli.it
www.yeshua.it
www.vangeliestoria.eu
Per interviste, conferenze, convegni e altro tel. 3393188116

“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio
che non vivano della loro segretezza.
Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli,
rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima
o poi la pubblica opinione li getterà via.
La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente,
ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer, Fondatore Premio Pulitzer

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è libera e incoraggiata purché l’articolo sia riportato in versione integrale,
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mercoledì, ottobre 08, 2008

 

6.000 MILIONI DI EURO NON REGALIAMOLI PIU' AL VATICANO

Sono soldi dei cittadini italiani
che ogni anno si intascano i preti.
Cancelliamo il Concordato col Vaticano.

Lo Stato Italiano deve smetterla di regalare milioni di euro a Ratzinger e alla sua cricca.
:
«Ma quando una lunga serie di abusi e malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre tutti gli uomini all’assolutismo, è loro diritto, è loro dovere, rovesciare un siffatto governo, e provvedere nuove garanzie alla sicurezza per l’avvenire.» Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776.

di Ennio Montesi
:
E’ giunta l’ora di incazzarsi oppure no? Ogni anno oltre 6.000 (seimila) milioni di euro vengono regalati - re-ga-la-ti - dallo Stato Italiano allo Stato Vaticano, cioè ai preti. In cambio di cosa? di niente. Ogni anno il signor Joseph Ratzinger e la sua cricca di uomini in gonna, pizzi e merletti si mettono in tasca - grazie al furbesco meccanismo dell’8x1000 - la bellezza di 6.000 milioni di euro, nostri. I preti si pappano mezza finanziaria di soldi che appartengono a tutti noi cittadini italiani. Si tratta di un vero e grave sopruso e di una mancanza totale di rispetto, di lealtà e di onestà verso gli italiani soprattutto verso tutti quelli che sono angosciati dall’incubo delle rate del mutuo, dalle bollette da pagare, dall’affitto di casa, dal lavoro precario, dalla disoccupazione e dall’interminabile catena di incubi economici dalla quale non si arriva più né a fine mese, né a mezzo mese.

Ed è anche naturale incazzarsi per l’affermazione cialtrona fatta dal signor Ratzinger il 6 ottobre 2008 al sinodo. Ecco il ridicolo commento di Ratzinger diffuso col solito suo accento tedesco e la sua faccia di bronzo: “Nella crisi delle grandi banche scompaiono i soldi, ma non sono niente, perché tutte le cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine. Lo ricordi chi costruisce la propria esistenza, solo sul successo, la carriera, e i soldi”. Dargli del faccia di bronzo probabilmente è poco, ma ognuno sostituisca col termine che gli aggrada. Ci dobbiamo allora chiedere perché il signor Ratzinger non rinunci ai nostri soldi dell’8x1000, ma anzi ogni anno ce la meni a non finire con pubblicità martellante bussando a cassa, la nostra cassa? Perché lui, il signor Ratzinger, non fa invece un atto di coraggio, di lealtà e di onestà rinunciando al Concordato, quindi ai nostri 6.000 milioni di euro annui? Se qualcuno glielo volesse chiedere lo può chiamare in Vaticano al numero di telefono: 066982, tanto non ha nulla da fare. Per sfornare simili idiozie non ci vuole alcuno studio speciale. Proprio quest’individuo medioevale agghindato in cuffietta rossa, mantellina di ermellino, sciarpa ricamata d’oro, scarpette di velluto, scettro intarsiato e patacche varie appese al collo (come i personaggi delle favole di Andersen) viene spudoratamente a darci lezione sull’inutilità dei soldi mentre l’altra sua mano è già aperta, avida e su un dito spicca un anello d’oro grande come una prugna. Ratzinger pretende, esige, vuole e si mette in tasca la somma colossale di 6.000 milioni di euro di tutti noi italiani. Una specie di super-pizzo di 6.000 milioni di euro che lo Stato Italiano, quindi tutti noi italiani, gli dobbiamo dare senza fiatare e a tutti i costi. Ci vuole una bella faccia da prete per dire quello che ha detto. E Ratzinger ce l’ha.

In concreto, come si fa a risparmiare questi 6.000 milioni di euro ogni anno evitando di sprecarli e non farli entrare nelle tasche senza fondo dei preti? Se esiste ancora uno straccio di parlamento italiano eletto dai cittadini e un seppure miserevole governo e una seppure pietosa opposizione la soluzione è semplicissima. Bastano pochi minuti e il problema è presto risolto: cancellare il Concordato tra Stato Italiano e Vaticano. E’ sufficiente la cancellazione del Concordato e la banda del Vaticano non sarà più mantenuta e foraggiata a spese di noi contribuenti italiani. Senza il Concordato i 6.000 milioni di euro restano in tasca all’Italia e finalmente con quei soldi ci si possono costruire scuole, ospedali, asili, istituti di accoglienza per anziani, di cose da fare certo non mancano in questa Italia alla canna del gas. Con tutti quei soldi si potrebbe dare vita ad almeno altre due nuove compagnie aeree di bandiera italiana funzionanti e moderne ogni anno. Altro che Alitalia! Ci potremmo permettere altre Alitalie, sistemare le strade che fanno schifo, fare funzionare i treni che fanno schifo e gli ospedali che fanno schifo.

Se ci aspettiamo che i volponi del Vaticano non pretendano più i nostri 6.000 milioni di euro significa che siamo un popolo di italioti e di imbecilli. Il debito pubblico è altissimo, il recesso è in atto, le borse tracollano, la crisi economica ci sta inondando come uno tsunami, le banche falliscono e quelle che non falliscono fanno fallire le famiglie e i pensionati, ma nonostante tutto, da mentecatti, continuiamo imperterriti e testardi come muli a regalare 6.000 milioni di euro ogni anno agli stregoni del Vaticano.

Sta a noi italiani esigere dallo Stato Italiano l’interruzione immediata del super-pizzo di 6.000 milioni di euro annui cancellando il Concordato. Così ci togliamo una volta per tutte questo cancro economico che ci assilla e fa regredire la nostra economia. Se non siamo buoni ad ottenere questo semplice atto dovuto, beh, allora significa che ci meritiamo ancora peggio di come stiamo. E dobbiamo incazzarci solo con noi stessi.

Ennio Montesi

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Nella foto, lo scrittore Ennio Montesi, fondatore di Axteismo

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